Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
VIANELLO
Raimondo Roma 7 maggio 1922. Attore. Comico. Presentatore tv • La carriera di attore è incominciata nella rivista satirica Cantachiaro n.2, di Garinei e Giovannini. è poi stato accanto a Wanda Osiris, Dapporto, Macario, Bramieri e Ugo Tognazzi,
con il quale ha poi fatto coppia a partire dal 51 per moltissimi anni in cinema
e tv. Dall’estate del 54 interpreta, con Tognazzi, una serie di sketch che non risparmiano
alcuno (compreso l’allora presidente Gronchi) e che provocano la sospensione del varietà televisivo Un, due, tre. Nel 61 nasce il sodalizio con Sandra Mondaini. Nell’82 passano alle reti Fininvest. Su Canale 5, i due hanno dato vita a numerosi
fortunati programmi, tra i quali spicca la sitcom Casa Vianello, tuttora in onda dall’88. Appassionato di calcio, è approdato nel 91 alla conduzione di Pressing, che ha lasciato alla fine della stagione 98/99. Nel 98 è stato chiamato dalla Rai a condurre il suo primo Festival di Sanremo, con Eva
Herzigova e Veronica Pivetti. Con la moglie Sandra Mondaini vivono alle porte
di Milano con quella che da oltre dieci anni è diventata la loro nuova famiglia: una coppia di filippini e i loro due figli
(Gianmarco e Raimond) che i coniugi Vianello considerano veri nipotini • Divenne attore «per combinazione. Il mio debutto con la Magnani, Cervi e Viarisio, mio maestro,
doveva essere una parentesi. Non avevo, non ho la vocazione dell’attore. Io mi devo divertire, sulla scena e nella vita» • Su Ugo Tognazzi: «Ci guardavamo in faccia e cominciavamo a ridere. Ci prendevamo in giro
reciprocamente. All’epoca di Un, due, tre io gli dicevo: “Guardami, io sono alto, elegante, magro. Invece tu, così tarchiato, che vuoi essere? Un villico”. Ugo mi rispondeva: “è vero, tu sei nobile, avresti dovuto nascere nell’Ottocento. Almeno saresti già morto”» (da un’intervista di Alessandra Rota) • «Tognazzi faceva la rivista, ma non era ancora affermato. Quando ebbe l’occasione di uno spettacolo in proprio, con ballerine e comici, mi scritturò insieme agli altri tre con cui lavoravo allora. Siamo diventati coppia per
caso. Lui aveva una scena su una panchina con un altro signore che se ne andò, io lo sostituii. Quando si aprì il sipario ed eravamo seduti insieme sulla panchina, partì una gran risata. Noi ci guardammo di sottecchi come a dire: l’accoppiata funziona, anche solo dal punto di vista fisico, lui moro e forte, io
esile e biondo. Da allora abbiamo fatto teatro insieme per sei anni. Avevamo
degli autori fantastici, Scarnicci e Tarabusi, ma qualcosa improvvisavamo
sempre. Quando però lo facevo io, lui iniziava a ridere in modo incontrollabile, a volte doveva
uscire di scena. Addirittura per un periodo si rifiutò di recitare se io ero dietro il sipario ad aspettare di entrare. “Ma dove vado, in camerino?”, dicevo io, c’era una complicità fantastica»
• Con la televisione arrivò il successo da grande pubblico: «Una cosa da non credere. Quando seguivamo il Giro d’Italia la gente chiedeva ai ciclisti stremati “dove sono Tognazzi e Vianello?” e quelli li mandavano al diavolo. All’arrivo eravamo assaltati da gente che chiedeva l’autografo. Una volta misi il braccio in un foulard per non firmare gli
autografi, il giorno dopo lo mise anche lui. Avevamo una sintonia di coppia.
Bastava, al ristorante, il lieve difetto di un cameriere per farci ridere fino
alle lacrime. Abbiamo rischiato le botte. Ma Ugo mi confidava anche i suoi
tormenti, per lo più amorosi. Sacrificava loro gran parte del suo tempo anche se poi si rivelavano
effimeri. Poi però c’è stato il grande attaccamento alla famiglia, alla fine viveva solo per questa» (da un’intervista di Silvia Luperini)
• «Fu la passione sportiva che aiutò la mia affermazione in tv. Poche persone possedevano il televisore, la gente
andava a guardare le trasmissioni nei bar o davanti alle vetrine dei negozi di
elettrodomestici; io lo comprai perché avevo saputo che sarebbero stati trasmessi i Mondiali di calcio: non potevo
lasciarmi sfuggire l’occasione. Ma, visto che avevo l’apparecchio, seguivo anche gli altri programmi e questa fu la base di partenza
delle nostre parodie nel varietà
Un, due, tre. Tognazzi non aveva la più pallida idea di cosa andasse in onda, stava girando un film a Sorrento ed era
impegnato. In un viaggio di ritorno dal set lo raggiunsi sul vagone letto
Napoli-Roma e gli spiegai le parodie delle trasmissioni che lui non aveva mai
visto. Ugo era preoccupato: “Cosa facciamo?”. Tranquillo, gli dicevo, dammi retta, tanto sono in pochi a guardare la tv. Gli
raccontavo il “Teatro No” giapponese, una gran rottura di scatole, e lui in trasmissione si esibiva nel
lamento giapponese... prestavo attenzione alle donne, attrici o annunciatrici e
ci dividevamo le parti: io interpreto le alte, tu quelle piccole... Con la
parodia di Paola Bolognani, protagonista di
Lascia o raddoppia? espertissima di calcio, rischiammo un po’. Chiesi a Ugo il numero di spettatori di una partita... 32.420 rispose. Bene,
dimmeli tutti in ordine alfabetico. Lui cominciò a snocciolare nomi e cognomi finché arrivò vicino a una parolaccia e cominciò a girarle intorno... riuscii a stopparlo prima del disastro» • Un, due, tre durò sei anni, dal 54 a quando il presidente Giovanni Gronchi, ospite alla Scala di
Milano insieme a Charles De Gaulle, scivolò per colpa di un valletto che gli aveva messo male la sedia: «In Un, due, tre c’era una rubrica, “L’angolo della posta” di solito stavamo seduti, ma quella volta saremmo rimasti in piedi: al momento
di sederci Ugo sarebbe caduto per terra come Gronchi: la cosa fu organizzata
all’ultimissimo momento e nessuno, tranne noi quattro (gli altri due erano gli autori Giulio Scarnicci e Renzo Tarabusi ndr), ne era al corrente. Ricordo la censura. Appena finimmo lo sketch su Gronchi,
trovammo subito in camerino una busta azzurra della Rai: “Restate in attesa di provvedimenti”, c’era scritto. E delle successive e ultime quattro puntate dovemmo registrare l’audio delle prove: i censori volevano ascoltarci. Ugo e io allora ci divertivamo
a dire parolacce, battute contro il clero e le istituzioni. I censori si
infuriavano. E nel 61, quando nacque il secondo canale, ci chiamarono di nuovo.
Entrammo in una stanza con un tavolone circondato da funzionari. Ugo e io ci
appollaiammo su due sedie. “Avete qualcosa di già pronto?” ci chiesero. Io alzai il tiro sull’unico bersaglio più in alto di Gronchi e dissi: “Sì, sul Papa”. Che allora era Giovanni il Buono. Ugo improvvisò una scenetta nel suo solito, maccheronico dialetto simil-bergamasco e attaccò: “Mi sun bergamasco, orcu!”, bestemmiando fra i denti. Calò un gran gelo. I signori si alzarono e ci indicarono la porta dicendo: “Prego”. E così, per amore di una battuta, perdemmo la scrittura» (
in quel momento il direttore generale della Rai era Ettore Bernabei — ndr) • Sul lavoro con la moglie: «I temi sono quelli di sempre, il problema è che io e Sandra facciamo noi stessi, non abbiamo occasione di uscire dal tran
tran quotidiano, facessimo due personaggi potremmo inventarci tutto, avere
anche due suocere, ma le nostre non sono più viventi» • Grandissimo appassionato di sport: «Ammetto, per onestà, di aver sempre organizzato il calendario del mio lavoro in base alle
manifestazioni sportive. Nel contratto per un quiz su Mediaset ho fatto
inserire la clausola: le registrazioni verranno interrotte per il periodo del
Mondiale di calcio e riprenderanno dopo. D’altra parte, dicevo, se ci tenete tanto che io faccia il programma, venitemi
incontro» • «I Giochi di Monaco 72. Avevo un tumore, dovevano togliermi un rene. Ho chiesto
al chirurgo di spiegarmi come avrei passato i giorni successivi all’operazione perché volevo capire se la posizione obbligata mi avrebbe consentito di guardare la
tv. Temevo di dover restare prono, invece il chirurgo mi rassicurò: il taglio sarebbe stato davanti. Mia moglie era inorridita. “Hai un cancro — mi diceva Sandra — e ti preoccupi di come puoi guardare la televisione”. “Certo, ci tengo. Può darsi siano le mie ultime Olimpiadi”. Concordai col chirurgo le date dell’intervento in modo da poter seguire, da convalescente, le gare. Un’organizzazione perfetta».