Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
CAPROTTI
Bernardo Milano 7 ottobre 1925. Imprenditore. L’uomo che nel 1957 aprì in viale Regina Giovanna a Milano il primo supermarket italiano, proprietario
di Esselunga, catena di supermercati tra le più profittevoli e consolidate al mondo (presente in 27 province sparse tra
Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Toscana, a fine 2006 contava 129
punti vendita per un totale di 17 mila dipendenti). «In questo mestiere si lavora anche di sabato e domenica»
• «Una specie di Enrico Cuccia della grande distribuzione» (Panorama) • «Caprotti è di gran lunga il migliore nel suo campo: l’indice di produttività di Esselunga è di 2,51 contro l’1,38 del sistema Coop Italia, secondo in classifica» (Massimo Mucchetti nell’ottobre 2007) • «Mi sono sempre sentito figlio e cittadino della Brianza, di quel particolare
territorio che sta fra Monza e il lago di Como nel quale i miei vecchi per
lunghi anni hanno tessuto e filato “cottoni”: così, nella corrispondenza di oltre 150 anni fa, loro chiamavano il cotone, giacché con l’industrializzazione l’inglese “cotton” venne a sostituire l’italiano bambagia, parola oggi incredibilmente dimenticata, usata già nel
Milione di Marco Polo, anno 1298. Là, con alterne fortune, stringendo i denti nei periodi di magra, quando come
ultime risorse rimanevano gli affitti delle terre e l’allevamento del baco da seta, ha operato per sei generazioni la mia famiglia.
Mio padre, Giuseppe, era un “ragazzo del ’99”, apparteneva cioè a quella classe che, dopo Caporetto, fu mandata in guerra a 17 anni per
rimpolpare le armate del re. Era educato “in tedesco”. Aveva cominciato a 10 anni come allievo dell’ancor oggi notissimo Rosenberg Institut di San Gallo in Svizzera, dove trascorse
quattro anni. Sua nonna era tedesca e l’influenza tedesca e francese erano allora prevalenti in Italia. L’Inghilterra era tanto lontana. Da mio padre e da mia nonna Bettina ho imparato
il culto della libertà, dell’indipendenza e la passione per le “visual arts”, architettura, pittura, grafica e... l’ossobuco fatto con un’ombra di acciuga»
• «Uomo di poche parole, freddo, egli si scioglie solo sulle cose che veramente lo
interessano. Come appunto la Esselunga, sua grandissima - forse esclusiva -
passione. Alla quale ha sacrificato anni or sono il figlio Giuseppe che, dopo
essere stato amministratore delegato della società, venne licenziato per ragioni mai rese pubbliche. Per “lei”, la Grande Esse, pochi anni dopo l’inizio dell’avventura aveva rotto i rapporti anche con il socio e amico fraterno Marco
Brunelli, col quale aveva deciso di tentare questa nuova attività lontana dalle tradizioni familiari: Marco figlio di antiquario e antiquario a
sua volta, Bernardino erede coi fratelli di una dinastia tessile. Nel progetto
essi avevano coinvolto Nelson Rockefeller che, proprietario di supermercati
americani, poteva fornire il necessario know-how. Quando, avviata l’attività, Rockefeller decise di uscire dall’investimento, la sua quota venne acquistata da Caprotti e l’amicizia con Brunelli saltò per aria. Nessuno capì come andarono le cose, ognuno dei due amici accusò l’altro di averlo voluto imbrogliare. Bernardino, sostenne qualcuno, riuscì a volare a New York qualche ora prima di Marco. Una cosa è certa, la frattura fu sanguinosa. Perduta la Esselunga, Brunelli non si diede
comunque per vinto e, dopo aver creato per la Sme le catene Gs e Unes, fu il
primo a dare l’avvio ai grandi ipermercati situati nei centri commerciali fuori città. Oggi la sua Finiper, nel cui capitale è presente Carrefour, gestisce 25 ipermercati, raggruppa i marchi Iper, Unes,
Ristò e Botanic e sta costruendo, intorno al centro commerciale già attivo al Portello (ex Alfa Romeo), un vasto quartiere residenziale. A sua
volta, negli ultimi anni, Caprotti ha investito nell’immobiliare, comprando grandi aree edificabili nella cintura di Milano e in città. Insomma, benché divisi da quasi mezzo secolo, i due ex amici danno l’impressione di rincorrersi ancora l’un l’altro. Come padrone, Bernardino è un padrone all’antica, rigidissimo col personale che per anni l’ha temuto (convinto che da un momento all’altro potesse arrivare in incognito per controllare) e in perenne antitesi con
il sindacato (tra gli esempi cui si ispira, l’americana Wall Mart). Ma rigido anche con se stesso. Narra la leggenda — che leggenda non era — che per molti anni cominciasse a lavorare alle sei del mattino per scegliere
lui stesso le carni e controllare in prima persona le merci. Grandissimo
lavoratore non fu però all’antica nell’impostare e plasmare la sua formula di supermercato che, ancora oggi, evolve e
non è superata. Egli non solo fu artefice del primo supermercato d’Italia, dei primi esperimenti di
private label, della spesa ordinata sul web ma, nel passaggio dalla lira all’euro, si mise subito dalla parte del consumatore e fu tra i primi, se non il
primo, a introdurre una efficace politica di “calmiere” dei prezzi. Non a caso, molte signore romane invidiano alle milanesi la
Esselunga» (Valeria Sacchi) • Da anni illazioni su un’imminente vendita del gruppo: «“Vendere? I quattrini non contano nulla, saranno sempre troppi. La questione è: a chi?”. Wall Mart? “è l’antitesi di Esselunga. è un discount del Mid-West: io non ho niente contro i negri, ma sono una fascia
molto bassa, noi facciamo qualità”. Tesco, allora? “La vigilia di Pasqua, alle quattro del pomeriggio, l’agnello è già finito”» (Raffaella Polato).
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A novembre 2006 pubblicò su 37 quotidiani nazionali un’inserzione con la quale definiva «attenzioni indesiderate» l’interesse della Coop per il suo gruppo e rivendicava il diritto di fare ciò che voleva della propria azienda, quindi anche venderla ad acquirenti esteri,
spiegando come la proprietà della grande distribuzione non implicasse la vendita di prodotti non italiani • Nel 2007 ebbe grande successo col libro Falce e carrello (Marsilio, prefazione di Geminello Alvi), «pam­phlet al vetriolo contro le Coop rosse» (Paola Pica). Non percepì diritti d’autore, il ricavato di tutte le copie vendute nei negozi Esselunga fu
donato all’Associazione per il bambino nefropatico. «L’accusa essenziale mossa da Caprotti alle Coop non sta tanto nel fatto che la
tassazione pesa sul loro utile lordo al 17%, rispetto al 43% di una società commerciale come Esselunga. Chiunque attacchi solo per questo mostra di essere
un somaro, perché l’agevolazione fiscale è legittima e anche giusta, se poi però il fine mutualistico viene osservato. Non tutte le Coop infatti attuano la
mutualità allo stesso modo. Nella Conad ad esempio i soci della cooperativa sono gli
imprenditori che gestiscono i punti vendita, ma a quel punto la mutualità - che si identifica nel “ristorno” ai soci, cosa diversa dal profitto - deve identificare beni e servizi prodotti
ai propri soci non secondo una logica di prezzi inferiori a quelli di mercato,
bensì in una differenza complessiva, nel bilancio d’esercizio, tra prezzo pagato e costo effettivo. Quando invece la vendita del
bene o del servizio da parte di una cooperativa avviene a fronte di soci
dipendenti o consumatori che dovrebbero “toccare con mano” la mutualità attraverso minori prezzi rispetto a quelli di mercato, come dovrebbe avvenire
alla Coop, il problema che si pone è che tale mutualità probabilmente è negata e violata, quando i prezzi si dimostrino invece addirittura superiori a
quelli del concorrente privato, e caratterizzati da una logica tanto più di cartello territoriale, quanto meno al concorrente privato viene consentita l’apertura di esercizi nell’area limitrofa. è questo, il punto di fondo sollevato da Alvi e Caprotti: le autorizzazioni
mancate a Esselunga in Emilia, Toscana, Umbria e Romagna, sfociano in prezzi
delle Coop ancor meno vantaggiosi per i consumatori locali, di fatto
prigionieri di un cartello. Ed è questa, l’unica vera accusa che in nome del mercato bisogna ringraziare Caprotti di
lanciare a testa bassa, offrendo casi e documenti concreti» (Oscar Giannino)
• Grande successo di vendite, non percepì diritti d’autore (il ricavato di tutte le copie vendute nei negozi Esselunga fu donato all’Associazione per il bambino nefropatico Clinica pediatrica G. e D. De Marchi di
Milano) • Nel marzo 2008 ha acquistato pagine a pagamento su alcuni giornali dopo che era
stata diffusa la notizia dell’aggressione subita in un suo supermercato da una cassiera autrice di una
denuncia per mobbing: «Una manovra di media e sindacati» • Inserito in una possibile cordata italiana per il salvataggio di Alitalia, si è presto sfilato dal progetto: «Un personaggio non certo sospetto di simpatie a sinistra. Ha definito Alitalia
un’azienda gloriosa ma decotta» (Gad Lerner).