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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

DI STEFANO

Giuseppe (Pippo) Motta Sant’Anastasia (Catania) 24 luglio 1921. Tenore tra i più popolari. Figlio unico di una sarta e di un carabiniere in congedo che campava
la vita facendo il calzolaio. Educato dai gesuiti e persino tentato dal
sacerdozio. Debutto nel 46 a Reggio Emilia (Des Grieux nella Manon di Massenet), l’anno dopo è alla Scala con la stessa opera e lo stesso personaggio. Nel 48 fa il Duca di
Mantova (Rigoletto) al Metropolitan. Al Covent Garden arriva solo nel 61 con la Tosca (fa Mario Cavaradossi). Nel 1973 ha accompagnato l’ultimo concerto della Callas, con cui ha inciso molti dischi • è molto malato anche per i postumi di un’aggressione subita da malviventi che volevano svaligiare la sua casa di Diani in
Kenia (3 dicembre 2004) • «Nei suoi anni d’oro era capace di infiammare la Scala di Milano, arrampicandosi su arabeschi di
note e intrecciando la voce potente con quella di un altro mito, consegnato all’eternità da una morte misteriosa: la Divina Maria Callas, compagna di tanti duetti nel
tempio della musica» (Corriere della Sera) • «Ho cantato per il gusto di cantare, senza dannarmi per ottenere il successo a
ogni costo. “Fighiu miu”, mi raccontava mamma, “a mezzogiorno preciso sei nato, era domenica e tutti li campani sonavano. Occhi
da brigante avevi e li capiddi niuri, niuri”. 1948. Arrivai a New York, con il mio maestro, il grande baritono Luigi
Montesanto. Nessuno mi conosceva. Al terzo giorno di permanenza nella città, al mattino, mentre stavo facendo colazione a letto, squillò il telefono. Andò a rispondere il mio maestro, che a New York era famoso per aver cantato tante
volte. Era un uomo di mondo, padrone delle situazioni, ma al telefono lo vidi
impallidire e balbettava. Quando ebbe finito, si sedette e sudava. “Chi era al telefono?”, chiesi meravigliato. “Toscanini” rispose con un filo di voce. “E che voleva?”. “Dirmi che canti come piace a lui, semplicemente, senza tante smancerie”. Rimasi di stucco. Toscanini era il mito, era il più grande direttore, di cui tutti avevano stima incondizionata e che tutti
temevano. Sapeva che io, giovane e sconosciuto tenore, ero a New York e aveva
voluto telefonarmi per dirmi quelle cose meravigliose. Non credo di avere mai
più ricevuto un complimento tanto importante. Provai una gioia immensa. Tre anni
dopo, il 27 gennaio del 51, Toscanini doveva dirigere alla Carnegie Hall di New
York il
Requiem di Verdi per il cinquantesimo anniversario della morte del compositore. Mi cercò, mi volle in quel concerto, e fu un’esperienza indimenticabile. Mi regalò poi una medaglia d’oro a ricordo della manifestazione, che porto sempre al collo. La musica e il
canto per me non sono stati una professione, ma un modo di comunicare, di
trasmettere gioia, felicità, di stare in allegria con la gente. In tutte le interviste si finisce sempre
per chiedermi della Callas. Non ho mai voluto parlare di lei per una semplice
ragione: ho grande rispetto della sua vita, della sua persona. Di Maria artista
ho sempre parlato, con entusiasmo; di Maria persona e delle vicende che ci
hanno legati, no. Quelle sono cose nostre, private» (da un’intervista di Renzo Allegri)
• Sposato con l’italo-americana Maria Girolami dalla fine degli anni Cinquanta, ebbe in seguito
una lunga storia con Maria Callas (fino al 77), inizata dopo che lei era stata
scaricata da Aristotele Onassis: «Me ne parlava spesso. Pur vivendo con me, era rimasta legata a lui. A volte si
chiudeva in una stanza e stava ore al telefono con lui. Io le dicevo: “Ma perché ti chiudi in un’altra stanza? Lo sai che io non capisco un’acca di greco, potresti telefonare anche da qui”. In un certo senso, era “Onassis-dipendente”. Era stata piantata da lui e lo odiava. Amava fargli dispetti: forse la
dimostrazione che, nonostante tutto, non era riuscita a dimenticarlo».