Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

COFFERATI

Sergio Sesto ed Uniti (Cremona) 30 gennaio 1948. Politico. «Successo per il sindaco di Bologna Sergio Cofferati che ha cantato il Rigoletto a Viva RadioDue di Fiorello. La prossima volta canterà il Nabucco, ma prima farà sgomberare gli egiziani» (Gene Gnocchi).



VITA Dal 2004 sindaco di Bologna. Sindacalista. Ex segretario della Cgil, (94-2002).
Ex quadro della Pirelli, società per la quale lavora dal 69. Eletto delegato di fabbrica nel 74, un anno dopo è entrato a far parte della segreteria generale del sindacato dei chimici
Filcea-Cigl, nel 78 è stato eletto alla segreteria nazionale della Confederazione, nell’88 è diventato segretario dei chimici (Filcea), due anni dopo è entrato a far parte della segreteria confederale
• «Sono nato in un mulino nei giorni della merla» (a Luca Telese) • Il padre si chiamava Pietro: «è morto nel 1970. è di quella generazione a cui il secolo breve ha tolto una parte robusta di vita,
perché fece il militare di leva, tornò a casa e partì per la guerra d’Africa, tornò dall’Africa e partì per la Russia. Quando le guerre finirono aveva almeno visto un po’ di mondo e sapeva solo che non voleva fare più il contadino. Fece il muratore, e poi il magazziniere a Milano (presso l’ospedale dell’azienda tranviaria — ndr). A dieci anni diventai un bambino di città» (da un’intervista di Stefania Rossini) • Madre, Norina. Dava una mano a suo padre all’osteria. «Mia madre è una deliziosa donna di 84 anni che vive sola a Milano e che ha una sua
particolare riservatezza. Da quando ho un’attività pubblica, non mi ha mai chiesto nulla. Osserva, ma non chiede. Giorni fa mi ha
detto: “Ho saputo che ti vorrebbero far fare il sindaco a Bologna”. Era il suo modo più loquace di farmi sapere che mi sta vicino» • Era un bambino taciturno, che passava quasi tutta la settimana presso il nonno
oste: «Agli inizi degli anni Cinquanta, nei paesi di campagna, l’osteria era il luogo elettivo di socializzazione. La mia curiosità delle cose e del mondo si è esercitata lì per anni. Dall’osteria passavano tutte le classi sociali, i proprietari terrieri, i
professionisti, i contadini. A volte rimanevano distanti, a volte si
mischiavano col gioco delle carte o con la chiacchiera serale. Era un mondo di
soli uomini, le donne si vedevano poco. Solo la domenica mattina si fermavano
con i mariti a bere un bicchiere di moscato. Era un luogo maschile, anzi
maschilista per definizione, ma mia madre lo governava assieme ai fratelli con
grande autorevolezza. Poi l’incanto dell’osteria finì con l’arrivo della televisione. Mio nonno resistette per un po’, ma il giovedì e il sabato nessuno veniva più. Si arrese»
• Dopo le elementari e le medie si iscrive all’Istituto tecnico Feltrinelli, dove si diploma perito elettrotecnico. Dopo il
diploma, a Matematica. Ma lascia dopo due anni perché incontra il Movimento studentesco di Mario Capanna (nella squadra 5, quella che
si occupava della propaganda politica nella zona Niguarda-Bicocca) e il
sindacato. Intanto (1969) è stato assunto alla Pirelli Bicocca come impiegato addetto al cottimo, cioè il cosiddetto “marcatempo”. A Stefania Rossini, che gli chiede se questo lavoro, molto padronale, non
fosse in contraddizione con la sua contemporanea attività di propagandista del marxismo-leninismo, ha risposto così:
«Non ci ho mai visto contraddizione, perché penso che l’organizzazione del lavoro debba rispondere a dei criteri oggettivi. Quello che
lei chiama marcatempo, e che in realtà veniva percepito anche allora come una forma di sfruttamento del lavoro, era un
ruolo delicato e impegnativo, utile proprio alla tutela del lavoratore. Non le
spiego qui tutto il meccanismo, mi creda sulla parola» • Nel 1972 entra nel consiglio di fabbrica della Pirelli e si iscrive al Pci.
Viene eletto delegato di fabbrica e nel 1976 lascia la Pirelli per dedicarsi
interamente al sindacato. Diventa prima segretario della Cgil milanese, poi
membro della segreteria nazionale dei Chimici (Filcea-Cgil). Nell’88 si trasferisce a Roma e diventa segretario nazionale della Filcea. Nel 94
diventa segretario nazionale della Cgil: «Comincia il mito del Cinese (il soprannome che gli ha guadagnato il particolare taglio degli occhi — ndr), duro avversario del governo Berlusconi, ma fermo anche nelle trattative con i
successivi governi e nei rapporti con i leader della sinistra» (L’Espresso) • «Riformista, Cofferati era stato sempre. Allievo di Napolitano, leader dei
chimici — categoria tradizionalmente non certo estremista —, da segretario della Cgil aveva tenuto una linea opposta a quella di
Bertinotti, che guidava la componente di sinistra. Cofferati uomo della
concertazione (“un destro”, disse Fausto); Bertinotti delle rotture (“uno che firma intese e poi appoggia gli autoconvocati”, disse Sergio). “Vecchi rancori dei tempi del sindacato” dichiarò Pierluigi Bersani all’Unità per spiegare i rapporti tra i due; al che Bertinotti rispose perfido che “io mi scontravo semmai con Bruno Trentin”
» (Aldo Cazzullo) • «La novità da Cofferati, semmai, avrebbe potuto essere un ammorbidimento delle sue
posizioni. L’ho conosciuto a giugno del 1999 nel corso della trattativa per il rinnovo del
contratto dei metalmeccanici. Mi sono convinto che sia un grande negoziatore:
quando chiude una partita con un successo, è il momento in cui lui alza la posta. Come sta facendo dopo il contratto dei
dipendenti pubblici, che lui ha chiuso bene e che noi invece riteniamo molto
oneroso. Ora rilancia» (Andrea Pininfarina, membro della giunta della Confindustria, a Mario Sensini)
• Salito al governo Berlusconi (2001) e montando l’ira della sinistra radicale contro i leader di partito, responsabili secondo
loro di tutte le sconfitte, Cofferati diventò idealmente il punto di riferimento di questi spezzoni di arrabbiati: «Bertinotti si vide sottrarre la guida dei movimenti, che aveva assunto nei
giorni infuocati del G8 di Genova, da un’accolita che comprendeva il professor Pancho Pardi, traduttrici e sceneggiatrici
amiche di Moretti, il correntone Ds, Paul Ginsborg — “Berlusconi is disgusting” —, il clan di Benigni e quello di Micromega, gli editorialisti dell’Unità da Antonio Tabucchi a Fulvio Abbate — “dove sono bin Laden e mullah Omar? Anche Fassino ha votato l’invasione dell’Afghanistan, anche Fassino deve rispondere!”, con Fassino che allargava le braccia ossute come a dire: e che cosa ne so io? —, tutti uniti nel contestare la leadership ufficiale della sinistra e nel
riconoscersi nell’uomo del futuro: Cofferati» (Cazzullo). Cofferati aveva scelto come terreno di battaglia l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che impedisce ai datori di
lavoro di licenziare e che Berlusconi s’era intestardito di abolire. Su questo, il segretario della Cgil fece scendere
in piazza tre milioni di persone (Roma, Circo Massimo, 23 marzo 2002) che
gridavano «Tu sì, tu no/articolo 18 non ci sto»
• «Nella storia di Cofferati ci sono vari tratti che risultano soprendenti agli
occhi di un americano. Primo, la natura del suo sindacato. Ci sono 5,4 milioni
di iscritti. La metà di loro sono pensionati, molti dei quali quando ancora lavoravano non erano mai
stati iscritti a un sindacato. In Italia gli “anziani” sono ben organizzati. E questo è un concetto spaventoso. In America esiste a malapena un’associazione dei cittadini anziani — l’Associazione americana dei pensionati, considerati vecchi ingordi che ottengono
tutto quello che vogliono. In Italia ottengono anche di più. Va da sé che il sistema pensionistico presto manderà in bancarotta il Paese. Il secondo elemento incredibile è la questione su cui Cofferati ha sfidato Berlusconi. L’articolo 18 della legge sul lavoro impedisce il licenziamento di lavoratori
nelle imprese che hanno più di quindici dipendenti. Se Giovanni il saldatore ha preso l’abitudine di farsi un sonnellino nelle ore di lavoro, probabilmente il suo
principale dovrà andare in tribunale per potersene liberare. Nelle imprese italiane ci sono
molti casi di sonnellini (o del loro equivalente morale). Berlusconi ha
proposto un cambiamento minimo: le imprese con quindici dipendenti che
volessero assumere più persone non dovranno attenersi all’articolo 18. La reazione di Cofferati è stata di sdegno istrionico. Lui non sarebbe rimasto in disparte mentre i
diritti dei lavoratori venivano calpestati. Ha convocato lo sciopero generale.
Ha invitato i sostenitori del centrosinistra a una mobilitazione di massa, a
cui hanno partecipato milioni di persone. Tutti sono stati d’accordo sul fatto che il significato della campagna era molto più vasto della singola questione: se Cofferati fosse riuscito a fermare Berlusconi
sull’articolo 18, poteva riuscirci anche sulle cose davvero importanti. Il risultato è ancora poco chiaro. Ma qualcuno finalmente è riuscito a battere Berlusconi con le sue stesse armi: Cofferati aveva uno
slogan molto semplice: “Difenderò il tuo lavoro”. A Berlusconi rimaneva solo la complicata, astratta nozione che un mercato del
lavoro più libero avrebbe portato a un’economia più forte (e i commercianti detestano avere a che fare con un prodotto complicato e
astratto). Berlusconi — i cui slogan elettorali erano del genere “meno tasse, pensioni più alte” — è rimasto impantanato nella parte sbagliata della grammatica, intrappolato in una
frase complicata. Cofferati è elegante e impossibile. Siede in un ufficio grazioso, circondato da arte
contemporanea. Ha i capelli perfettamente pettinati e una barba tosata al
millimetro che probabilmente richiede le cure quotidiane di un’équipe di esperti barbieri. Parla a voce bassa, lentamente. Al minimo movimento
emana nell’aria un rinfrescante olezzo di talco. Noto tutti questi dettagli perché lui non dice praticamente nulla di interessante. Gli chiedo di Berlusconi. “Non ho niente da dire su Berlusconi”, risponde. Gli chiedo delle conseguenze economiche della sua posizione sulla
flessibilità del lavoro. “Il problema non è la flessibilità del lavoro”, dice, «ma l’incapacità delle imprese a spendere di più per la ricerca e lo sviluppo». Gli chiedo dell’onda di destra che sta attraversando l’Europa e a questo punto dice qualcosa un po’ più interessante: “In Europa le forze progressiste stanno pagando a caro prezzo il sostegno che
hanno dato a un’Unione europea troppo attenta al mercato e non abbastanza alle diseguaglianze
sociali” (questa considerazione è molto simile a quello che mi hanno detto gli esponenti della sinistra francese:
è possibile che ora la sinistra cominci a descrivere l’Unione europea come una burocrazia senza cuore basata sul libero mercato?). Ma
tant’è. Cofferati sta per lasciare la guida del sindacato. Quasi tutti sono convinti
che entrerà in politica, come leader della coalizione di centrosinistra. Ma questo lui non
lo ammetterà mai. Dopo 26 anni, ritornerà a lavorare alla Pirelli. Il suo vecchio lavoro — controllare il rivestimento dei fili elettrici — non esiste più. Lavorerà in una fondazione benefica dell’azienda, farà cose degne di lode (leggi: vuol far carriera politica)» (Joe Klein)
• «Il Giro d’Italia di Cofferati dura ormai da mesi: «Si offre a qualunque movimento si illuda d’essere il nuovo slancio vitale, la risata che potrebbe fare ripartire il gioco
fermo. Così ad Assisi durante la marcia della pace salì sul palco e cantò con Jovanotti: “Io non le lancio più le vostre sante bombe”. Al Piccolo di Milano ha recitato al fianco di Moni Ovadia la storia eroica di
quattro fratelli operai sindacalisti. Ha giocato al calcio nelle partite di
beneficenza. Il cantante Piero Pelù gli ha dedicato un disco dove Cofferati è “l’uomo massa”, “il preservativo della classe operaia”. Dovunque vada firma più autografi di Gianni Morandi, e a Napoli gli fecero persino firmare una
biografia di Churchill: “Sei l’unico che può battere l’Asse” […] Nonno Cossutta, che se ne intende, ha spiegato al Corriere: “Gira l’Italia, stabilisce rapporti con no global, girotondi, studenti cattolici,
ambientalisti. è lui il vero leader della sinistra. Solo un cieco può non vederlo”» (Francesco Merlo nel 2003)
• Spaventati dal seguito di Cofferati, Bertinotti e D’Alema reagirono con una mossa a tenaglia: l’articolo 18, che vieta i licenziamenti, lascia però mano libera agli imprenditori che abbiano meno di 15 dipendenti. Bertinotti
fece sapere che avrebbe proposto un referendum abrogativo di questa parte della
legge e costrinse Cofferati a pronunciarsi. Cofferati, da riformista moderato
qual è, disse che, se il referendum fosse stato indetto, si sarebbe astenuto. Non era
quello che il popolo del Circo Massimo si aspettava di sentire. D’Alema allora, completando il gioco, gli offrì di candidarsi a sindaco di Bologna, contro Giorgio Guazzaloca, l’uomo che aveva a suo tempo strappato la città alla sinistra. Cofferati, che aveva bisogno di una via d’uscita, accettò
• «A sinistra c’è un caso misterioso, l’affare Cofferati. Un incidente di percorso che rimane oscuro a noi italiani. Non
si capisce cosa sia successo tranne il fatto che uno invece di diventare capo
della sinistra di opposizione è diventato sindaco di Bologna» (Erri De Luca) • Durante la campagna elettorale chiamò sempre Guazzaloca «il sindaco attualmente in carica». Guazzaloca non lo nominava mai e sosteneva che il suo avversario col voto non
c’entrava niente: i bolognesi, preferendo lui o l’altro, avrebbero in realtà espresso un giudizio su Guazzaloca. Cofferati vinse al primo turno col 56 per
cento dei voti • Come sindaco, Cofferati ha nuovamente sorpreso tutti, proclamandosi paladino
della legalità e facendo la guerra ai lavavetri, agli occupanti di case, ai romeni accampati
abusivamente lungo il Reno. «Rifondazione, che sta in giunta, è insorta in difesa di questi diseredati, Cofferati è fermissimo, la sinistra spaccata di fronte al caso di un sindaco che fu
segretario della Cgil e che sembra fare una politica di destra» (Giorgio Dell’Arti). Il 2 novembre 2005 Cofferati fece votare un ordine del giorno sulla
legalità, incassando il voto contrario di Rifondazione. Il giorno dopo gli fu recapitato
in ufficio un pacco bomba, fortunosamente neutralizzato da una segretaria (in
una videocassetta erano stati stipati 60 grammi di polvere e innesco)
• «Le iniziative di Sergio Cofferati da sindaco di Bologna su occupanti abusivi di
case e clandestini lavavetri si distinguono nettamente da quelle prese dai suoi
colleghi schierati come lui a sinistra. Persino Sergio Chiamparino — si consideri il suo atteggiamento dimesso verso il corteo di squatter e
autonomi di sabato scorso — che pure è di formazione riformista come l’ex segretario della Cgil, non mostra analoga fermezza. E non parliamo di Walter
Veltroni, che quando c’è un problema si rifugia in Africa o si perde in una notte bianca, o del
distratto governatore della Campania, Antonio Bassolino. Le scelte cofferatiane
nascono anche da esigenze tattiche: il sindaco deve consolidare rapidamente un
rapporto con la società bolognese perché nella sua coalizione conta solo un tiepido sostegno dei ds che bene o male lo
considerano uno straniero, e ha a che fare con una Margherita che come nel
resto dell’Emilia (e come fece Romano Prodi nel 1996) per riequilibrare il potere
postcomunista, ama superare il sindaco a sinistra e allearsi con Rifondazione:
con particolare attenzione ai risultati che questi scavalcamenti possono
produrre nei consigli d’amministrazione di ricche municipalizzate. Cofferati, per altro verso, nella
vicenda, esprime anche elementi fondamentali del suo stile e carattere
politici: pragmatico sindacalista riformista, in tutti gli anni Settanta e
Ottanta è sempre stato uno che sapeva fare i conti con la realtà e prendersi le proprie responsabilità. Un sindacalista che al contrario di Fausto Bertinotti sapeva chiudere un
contratto. Molti sono stupiti perché ricordano la stagione delle follie massimaliste della Cgil sotto la sua guida:
gli insulti a Marco Biagi, gli scioperi a ripetizione, le gigantesche
manifestazioni controriformiste, il pacifismo scatenato. Bisogna, però, comprendere com’è nato il Cofferati furioso. Nel 1996 Prodi giocava a scavalcare la Cgil a
sinistra, bruciandosi peraltro le dita e cadendo da cavallo. Poi Massimo D’Alema con il suo abituale cinismo si mise a corteggiare Sergio D’Antoni sulla testa di Cofferati, facendolo infuriare. Da qui la deriva della
Cgil che quando arrivò il governo di centrodestra, si trovò a dover intensificare il massimalismo per non lasciare la guida del movimento
alla Cisl. I guasti combinati da Cofferati nella stagione della sua furia sono
di fronte a tutti: una Cgil senza più nerbo culturale, la prevalenza di posizioni radicali nei settori chiave (dai
metalmeccanici al pubblico impiego), una generazione di neoestremisti che
adesso il neosindaco si trova anche alla soglia del comune che amministra.
Comunque, personalmente, come l’Orlando ariostesco, Cofferati ha fatto il suo viaggio sulla luna a recuperare il
senno e ora sostiene con coraggio l’unica posizione che può risolvere i problemi del disagio sociale: impedire che si formino sacche d’illegalità di massa destinate a diventare man mano, sempre più irrecuperabili» (Ludovico Festa)
• Nel 1970 ha sposato Daniela Grazioli, nata nel suo stesso paese e conosciuta in
età di 16 anni, insegnante di Educazione fisica. Costei gli è stata vicina tutta la vita, risolvendosi anche a fargli da autista (Cofferati
non guida). Il 17 marzo 2005, il settimanale Oggi ha pubblicato il seguente
testo, ripreso poi da tutta la stampa nazionale: «Raffaella Rocca, 34 anni, genovese, impiegata nelle relazioni esterne del Teatro
Stabile di Genova, naso importante su un viso ovale e regolare, capelli neri e
lisci lunghi alle spalle, finora sposata con un funzionario di banca. Di lei s’è innamorato il sindaco di Bologna Sergio Cofferati, 56 anni, che alle persone più vicine avrebbe confessato: “Non avrei creduto che alla mia età potessero accadere certe cose; invece ci si può innamorare in ogni momento: a me è successo”. L’incontro, la primavera scorsa quando Cofferati, ancora aspirante sindaco, fece
organizzare a Bologna una kermesse dello spettacolo con attori di tutta Italia.
Nonostante i pettegolezzi, la storia è rimasta segreta fino a domenica 27 febbraio, quando al Teatro Comunale di
Bologna, durante la prima di
Pierino e il lupo, sono stati visti far capolino dal buio di un palco. La di lui moglie Daniela
Grazioli, 54 anni, originaria di Sesto e Uniti nel Cremonese come l’ex marito, insegnante di Educazione fisica che lo ha sempre seguito nella sua
carriera, già da qualche mese ha lasciato la casa per trasferirsi a Roma, col gatto di
famiglia» • Daniela Grazioli è sperimentatrice di terapie antidolore in campo pediatrico. Aveva una cattedra a
Imola. Con Cofferati ha un figlio, Simone, nato nel 1972.



FRASI «Fare il sindaco è molto bello e impegnativo. Ma in comune con l’attività di un sindacalista non c’è nulla. Richiede la pazienza di ascoltare tutti, ma anche di assumersi la
responsabilità di scegliere».



COMMENTI «Cofferrati» (Fassino, pronunciando insistentemente la doppia erre al congresso diessino del
2001) • «In piazza Verdi non esiste legge, per quanti ruggiti faccia Sergio Cofferati,
leone sdentato che non mette paura nemmeno al cane più pulcioso di punkabestia» (Camillo Langone) • «Sono amica di Sergio Cofferati, che secondo me è una persona eccezionale. Vorrei essere adottata nella famiglia Cofferati,
vorrei lui come padre, sua moglie come madre, i suoi figli come fratelli» (Sabrina Ferilli) • «è stato un grande leader sindacale. Che ha perso però un’occasione storica e ha impresso anche una battuta d’arresto alla linea politica della sinistra. Un’occasione che nessuno prima di lui, da Giuseppe Di Vittorio a Luciano Lama e
Bruno Trentin, ha avuto: è stato a capo del sindacato della sinistra quando la sinistra era al governo, ma
non ha usato il potere del sindacato per sostenere un processo di riforme, bensì per bloccarlo» (Franco Debenedetti)



COFFERATI-BERTINOTTI «Riformista, Cofferati era stato sempre. Allievo di Napolitano, leader dei
chimici — categoria tradizionalmente non certo estremista —, da segretario della Cgil aveva tenuto una linea opposta a quella di
Bertinotti, che guidava la componente di sinistra. Cofferati uomo della
concertazione (“un destro”, disse Fausto); Bertinotti delle rotture (“uno che firma intese e poi appoggia gli autoconvocati”, disse Sergio). “Vecchi rancori dei tempi del sindacato” dichiarò Pierluigi Bersani all’Unità per spiegare i rapporti tra i due; al che Bertinotti rispose perfido che “io mi scontravo semmai con Bruno Trentin”. Alla prova del potere, anche gli stili personali si sono confermati molto
diversi. Entrambi hanno passato la vita accanto alla fidanzata della
giovinezza. Ma il nuovo sindaco di Bologna ha ora una nuova compagna, che
protegge con un riserbo assoluto. Il presidente della Camera in pectore ha
ancora al fianco la signora Lella (e lei esterna con una generosità che chi vuol bene a Bertinotti farebbe bene a non incoraggiare). Oltre a stile,
gusti, dettagli — uno ama la lirica, l’altro la mondanità; uno si fa fotografare in mutande mentre gioca a pallone, l’altro abbina la cravatta ai calzini; uno apprezza Margherita Buy, l’altro Valeria Marini —, li ha divisi la polemica su legalità, centri sociali, immigrati clandestini, occupazioni, sgombero dei baraccati,
critiche ai giudici. “Cofferati poteva essere il nuovo capo della sinistra, ora fa le multe ai
lavavetri” commentò la “iena” Riccardo Barenghi. Ma è un fatto che, dopo alcune difficoltà iniziali, il sindaco abbia conquistato Bologna, senza perdere la parola nel
dibattito nazionale. Mentre a Montecitorio sin dal discorso di insediamento
Bertinotti avrà il problema — che già indusse nel 79 il suo modello Ingrao a rifiutare la rielezione — di rivolgersi all’intero emiciclo, senza tagliare i ponti con i movimenti. Di sicuro, stavolta non
potrà contare su D’Alema» (Aldo Cazzullo).



TIFO La Cremonese.


VIZI «Si è scelto come biografo, e come giornalista preferito, un cronista politico del
Giornale di Belpietro, Luca Telese (La lunga marcia, Sperling & Kupfer) con il quale esordì. Poi gli ha confidato i rimpianti di ex artigliere, le emozioni del matrimonio
in Comune, i brividi di famiglia, e così, giorno dopo giorno, ha costruito il proprio mito sul giornale di quel nemico
di classe col quale dice che non bisogna neppure trattare. è infatti contro D’Alema, e non certo contro Berlusconi, che predica “un ritorno all’austerità di Enrico Berlinguer”, veste ancora alla “come capita”, si fa fotografare dal quotidiano spagnolo El País con i polsini logori, “perché non butta mai niente” spiega la moglie Daniela
» (Francesco Merlo) • «Quando lavorava al sindacato dei chimici, Sergio teneva sotto la scrivania un’enorme palla di almeno un metro di diametro, muovendo la quale teneva in
esercizio le gambe. Non aveva la patente, o almeno non usava la l’automobile» (Giuliano Cazzola) • Adora i fumetti (in particolare Tex Willer) e l’opera lirica (in particolare Verdi). Sui fumetti: «Mi piacciono tutti i fumetti. Da ragazzo adoravo il Superbone del Monello che
era disegnato da Erio Nicolò. Poi ho fatto tutto il percorso del Linus di Oreste Del Buono e oggi penso che
disegnatori come Dino Battaglia arricchiscano di immagini esplosive i
capolavori di Poe, Melville o Maupassant» (a Stefania Rossini). Sulla musica: «è vero, amo l’opera lirica, una passione della mia terra, ereditata dal babbo. Ho conosciuto
prima
Rigoletto di Cappuccetto rosso e a quattro anni ascoltavo rapito “Bella figlia dell’amore”. Però non disdegno affatto le altre forme musicali e sono innamorato del rock, specie
di quello di Springsteen e dei primi U2. Di mio le posso aggiungere una sincera
passione per tutto il teatro di prosa, per Philiph Dick, ingiustamente
considerato un autore di fantascienza, e per il cinema di impegno civile, sia
nelle sue forme leggere alla Full Monthy, sia in quelle più impegnate come il recente Il posto dell’anima» (ibidem).