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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CAPUCCI

Roberto Roma 2 dicembre 1930. Stilista. «Roberto Capucci crede che non possa esservi bellezza se non nell’inatteso, da bambino disegnava ossessivamente le scarpe ortopediche indossate
dalle donne durante la guerra, la cui bruttezza gli pareva piena di fascino» (Giorgio Dell’Arti) • «Fare vestiti mi dà una grande gioia, non vorrei mai venderli, perché sono come dei figli» • «Mi scoprì per caso un giornalista che si occupava di artigianato. Vide i miei disegni e
mi invitò ad aprire una sartoria» • «Straordinario inventore di “architetture per il corpo” e maestro di “sculture in stoffa”. Aristocratico rifiuto per ogni tipo di esibizionismo, ritrosia a
commercializzare il proprio lavoro, perentorio disprezzo per sfilate e
passerelle tv, inclinazione all’isolamento, scelta di esporre vestiti fuori del tempo e meravigliosi, soltanto
in musei, gallerie, palazzi patrizi. A questo personaggio i critici d’arte dedicano inni che possono apparire esagerati, paragonando le sue opere a
quelli di Bernini e di Gaudì, e l’intrecciarsi dei suoi nastri di raso alle luminosità di Vermeer. Attività iniziata nel 1951 con un memorabile debutto a Firenze. Per costruire i suoi
ingegnosi involucri che rifiutano la quotidianità, nell’atelier di via Gregoriana tratta i tessuti come metallo, fondendo seta,
plastica, paglia, alluminio, grani di rosario. Ne nascono soffici corazze,
pezzi unici, crisalidi luminose, ali di plissè, costruzioni realizzate in materiali rari, mikado, ermesino, taffetas o Meryl
Nexten, una speciale fibra cava. Ospite del Victoria and Albert Museum come del
Kunsthistorisches Museum, con personali a Palazzo Strozzi, al Castello di
Schonbrunn, al Teatro Farnese, questo artigiano di ascendenze rinascimentali ha
l’aspetto di un elfo delicato quando con nostalgia ricorda gli studi dell’Accademia di Belle Arti dove come maestri aveva Mazzacurati, Avenali, Libero De
Libero. Sue clienti amiche sono Rita Levi Montalcini, Rajna Kabaivanska,
Valentina Cortese, Elvina Pallavicini e le principesse romane che dentro i suoi
magnifici gusci possono assaporare il privilegio di sentirsi irraggiungibili.
Il suo ideale feminile? La Silvana Mangano ambigua e lunare che vestì per
Teorema di Pasolini» (Donata Righetti) • «Ho studiato Belle Arti e per caso, invece di fare lo scultore o lo scenografo,
ho fatto moda. Mi interessava la moda da un punto di vista creativo, ma poi
odiavo le scadenze, gli orari, le collezioni. Ho fatto parte del mondo della
moda quando si sfilava ancora a a Palazzo Pitti. Dal 1960 al 1966 andai a
Parigi. I giornalisti mi dicevano che ormai avevo avuto tutto a Roma, avevo
vestito le donne più belle e famose, l’America mi aveva dato un Oscar. Furono tutti molto accoglienti e gentili con me.
Ho fatto lo sbaglio di tornare in Italia dopo solo sei anni. Avrei dovuto
chiudere Roma e tenere aperto Parigi. Ma vi furono dei problemi tra mio
fratello e sua moglie, mia madre si occupò della loro figlia, insomma un concorso di circostanze mi fece tornare»
• «Disegno ogni giorno tantissimo. Ho un archivio incredibile. Lavoro sempre e
quando si avvicina la collezione comincio a disegnare in bianco e nero, i
colori vengono dopo. I miei vestiti non sono abbigliamento, sono da guardare,
deve esserci creatività, invenzione. So che i miei abiti sono difficili da capire, da indossare, ma
perché smettere? Io non soffro di gelosie per gli altri sarti. Voglio fare da sempre
il contrario degli altri a andare avanti per la mia strada. I miei vestiti non
piacciono alle donne perché non sono affatto sexy e io non voglio che lo siano»
• «In Italia mi considerano matto e odioso, in Germania e in Austria no» • «Oggi si parla delle modelle e non dei vestiti. Degli amori delle modelle. è ridicolo» • «La cliente più sexy? Silvana Mangano. Quando arrivò la prima volta, per gli abiti di Teorema di Pier Paolo Pasolini, ero talmente emozionato che non riuscivo a parlare.
Magra, pallida, senza un filo di trucco, solo con la fede e una borsa di
coccodrillo. Avvolta nella magia del silenzio. Non ho mai più visto una donna così sensuale, e ho avuto la fortuna di farle una trentina di vestiti. Con Sofia
Loren, invece non funzionò. Lei indossava gli abiti di Christian Dior e voleva tre vestiti di Capucci. Un
onore per me. Mi chiese di provarli nella sua villa a Marino, andai e trovai i
paparazzi. “Facciamoci una foto insieme” disse. “No grazie signora, non amo questa pubblicità”. Il nostro rapporto finì lì. Andò anche peggio con Anna Magnani. Arrivò con in braccio il suo bassotto, Lillina. E io, per rispetto al personaggio, le
feci trovare le sei vendeuse dell’atelier, tutte con una tunica nera e cinque fili di perle, allineate per
riceverla. Lei le guardò con un’aria arrabbiata e brontolò: “Tutte ’ste donne non mi piacciono. Questo non è l’ambiente per me”. Ci fu il gelo. Non fiatai. Lei si fece prendere le misure e ordinò cinque vestiti. Appena uscì, chiamai la direttrice nella mia stanza e avvertii: “Non mettete in prova i vestiti della signora Magnani, non li faremo mai”. In compenso non ho mai perso un suo film e la considero la più grande attrice italiana»
• Nel 1996 mostra memorabile al Teatro Farnese di Parma, poi portata in giro per
il mondo (anche a palazzo Colonna a Roma).