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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CARDINI

Franco Firenze 5 agosto 1940. Storico. Insegna Storia medievale all’Università di Firenze e da oltre un trentennio si occupa di crociate, di pellegrinaggi e
di rapporti tra la cristianità e l’Islam. Ha lavorato e viaggiato a lungo in Terra santa. Libri: L’avventura di un povero crociato, Il Barbarossa, Francesco d’Assisi, La vera storia della Lega lombarda, Quell’antica festa crudele, Alla corte dei papi ecc. • «Anarchico di destra, cattolico tradizionalista, qualche ispirazione
socialisteggiante: e in Spagna l’hanno accusato perfino di pensiero “falangista” per qualche idea controcorrente sulle corride e il destino dei tori. In ogni
caso, è l’esponente di una destra imprendibile, non omologabile. Franco Cardini non è soltanto un professore di Storia medievale a Firenze: è in primo luogo lo studioso che nel 1981 lasciò allibita la categoria degli storici con un libro, Alle radici della cavalleria medievale, una prova di insolito spessore letterario, che contaminava archeologia,
antropologia, storia della spiritualità. In seguito, una produzione senza argini» (Edmondo Berselli) • «Lo storico è parente del detective e del clinico: ha dinanzi segni, indizi, sintomi; deve
trovar delle prove e formulare delle diagnosi. “Lo storico è come l’orco: dove sente odore di carne umana, là sa che c’è il suo pasto”, diceva ancora Marc Bloch. E questo vale per chi indaga sul passato prossimo
come su quello più remoto: in questo senso resta valido l’aforisma crociano che tutta la storia è storia contemporanea. A patto d’intenderlo correttamente, cioè con un occhio affinato dalla filologia e dall’antropologia: perché la gente del passato ragionava diversamente da noi e noi siamo obbligati a
decodificare in modo giusto quella diversità. E perché il passato, una volta passato, non c’è più: al massimo lascia tracce che spesso vengono cancellate intenzionalmente,
spesso si cancellano da sole e che comunque possiamo anche ignorare: quelli che
cambiamo però siamo noi. E con noi cambia il nostro modo d’intenderlo, di comprenderlo, di ricostruirlo. Ecco perché, contrariamente a quel che si ripete, per fare storia sono fondamentali i “se” e i “ma”: non per elaborare costruzioni fantastoriche, le quali possono anche esser
divertenti, ma perché soltanto il chiederci come avrebbero potuto andare le cose se qualche fattore
fosse mutato ci aiuta a comprendere appieno le reali potenzialità che si sono sviluppate traducendosi in dati reali. Lo storico deve avere delle
passioni. E deve imparare a padroneggiarle, a dirigerle. Deve sapere che l’obiettività assoluta non esiste e che alla verità definitiva non si arriva mai; che la Storia non è un tribunale, che non assolve e non condanna mai nessuno definitivamente e che
ufficio dello storico non è comunque il giudicare, bensì il comprendere».