Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
BENETTON
Luciano Treviso 13 maggio 1935. Industriale. «Benetton è la Coca-Cola dell’abbigliamento» (Pietrangelo Buttafuoco).
Fondatore e presidente del colosso dell’abbigliamento. «Mi sento un industriale che con il suo lavoro riesce ad avere molta
soddisfazione. Vedo molta gente, contatto persone interessantissime. Sono molto
fortunato. L’industriale è una categoria, una professione che mi ha interessato fin da ragazzino. è seguire un’idea da quando nasce a quando è venduta e messa sul mercato» • «Mio padre nel 1937 aveva un noleggio di auto molto ben avviato, per cui immagino
che coltivasse grandi idee, che avesse già in testa quello che altri hanno poi fatto: una Avis, una Hertz. Invece volle
tentare una strada più rapida. Seguì Mussolini in Africa per iniziare un’altra attività commerciale, ma si ammalò di malaria e dovette tornare a casa. Io ho sempre saputo che, almeno nei
cromosomi, noi quattro fratelli abbiamo ricevuto una grande eredità. è una qualità rara che va purtroppo scomparendo, soprattutto oggi che tutto è fagocitato dalla finanza. Nostro padre era un imprenditore nel senso classico
del termine. E, grazie a questo, noi ci siamo sempre sentiti le spalle coperte,
come accade, appunto, a una seconda generazione. Nostro padre ci aveva lasciato
anche dei beni immobili. Questo può non favorire la leggenda dei Benetton, ma è la verità. Quando morì io avevo dieci anni e ho continuato ad avere la cameriera per almeno tre o
quattro anni. Poi, certo, tutto è stato più difficile. La scuola lasciata, il precoce lavoro di commesso...» (da un’intervista di Stefania Rossini)
• «Mia madre è «morta» in un modo che vorrei definire straordinario. Non saprei come spiegare
altrimenti quello che è successo. Avrebbe compiuto 88 anni il 29 aprile del 2000, stava in ottima
salute, comincia a insistere per festeggiare il compleanno con un giorno di
anticipo. Ci sembra una stranezza, ma l’accontentiamo con una festa molto allegra. Il giorno dopo, all’una del pomeriggio, non risponde più al telefono. La troviamo già senza conoscenza. E muore di lì a poco»
• «Esponente dell’operoso Nord-est, l’indutriale tessile è il mecenate che foraggia l’arte allucinata di Oliviero Toscani, il fotografo che tra un punto a croce e un
telaio fabbrica la felicità felpata delle generazioni occidentali. La divisa che offre, ovviamente, è buonista, cheguevarista, poveraccista» (Buttafuoco) • «La storia della famiglia Benetton comincia negli anni Cinquanta, quando Luciano,
commesso in un negozio di abbigliamento a Treviso, e la sorella Giuliana,
operaia in un laboratorio di maglieria, decidono di mettersi in proprio. Nel
1965 producono 100 mila maglioni al mese vendendoli nelle principali città d’Italia. Viene inaugurato il nuovo stabilimento di Ponzano Veneto, da allora sede
del gruppo, mentre a Belluno apre il primo negozio Benetton, chiamato con il
nome inglese “My Market” sull’onda della moda della Swinging London. La catena di negozi cresce soprattutto
negli anni Settanta. Nel 1986 l’attuale Benetton Group, società a cui fa capo il settore abbigliamento, viene quotata in Borsa. A partire dagli
anni Ottanta la famiglia comincia una radicale diversificazione dei propri
affari. Conosce alterne fortune nella finanza e negli articoli sportivi
(Nordica, Prince, Asolo, Kästle, Rollerblade) ma assume un ruolo da protagonista nelle ricca partita delle
privatizzazioni. Lo strumento di questa campagna d’espansione è la Edizione Holding, capogruppo non quotata che, a sua volta, possiede il 70
per cento di Benetton Group. Nel 1995, con Leonardo Del Vecchio e la Mövenpick Holding, comprano, in parte dall’Iri e in parte attraverso un’Opa in Borsa, il 60 per cento della Sme per 1.456 miliardi. Le attività dell’ex società pubblica vengono separate e ai Benetton resta la catena Autogrill, quotata in
Borsa ma controllata da Edizione al 56 per cento. Nel marzo 2000 acquistano,
assieme ad altri soci di minoranza, il 30 per cento di Autostrade, con un
investimento di 2 mila 900 miliardi di lire. L’azienda si rivela una gallina dalle uova d’oro e nel novembre 2002 i Benetton stringono la presa, annunciando un’Opa sulle quote che ancora non controllano. Il valore dell’offerta, tutta finanziata a debito, è di 8 miliardi di euro. Gli interessi del gruppo spaziano dagli immobili (Beni
Stabili) all’editoria (il Gazzettino), dalle stazioni ferroviarie alle compagnie aeree (Alpi
Eagles). Ma l’operazione più clamorosa è del luglio 2001, quando, in cordata con Pirelli, Banca Intesa e Unicredito,
Edizione acquista il pacchetto di riferimento di Olivetti, società che a cascata controlla Telecom Italia, Tim e Seat Pagine Gialle. L’investimento è di 6 mila 557 milioni di euro. I titoli Olivetti vengono acquistati a prezzi
molto più elevati delle quotazioni di Borsa e gli oneri finanziari sui debiti assorbono
tutti i ricchi utili del gruppo Telecom» (Luca Piana)
• «L’inaugurazione della prima fabbrica a Ponzano Veneto: il ministro Caron di tre
quarti, la sorella Giuliana stretta in un cappottino chiaro e lui, Luciano,
alto e magrissimo, quasi irriconoscibile con quegli occhialoni dalla montatura
scura. Il 13 settembre del 1965 era stata costituita ufficialmente la Benetton
e in famiglia si respirava un grande ottimismo» (Giorgio Lonardi) • «Mia sorella Giuliana faceva la maglia per un negozietto e un giorno mi regala
questo maglione giallo. Beh, tutti lo volevano disperatamente, stanchi dei
colori necrofili dell’epoca. Ma nessuno, a parte me, ce l’aveva. Allora ho detto: dai proviamo, tu fai e io vendo. Abbiamo comprato una
vecchia macchina che faceva le righe alle calze a rete, la vendevano al peso
del ferro, e l’abbiamo trasformata. Da lì non ci ha più fermato nessuno. Il mio primo negozio l’ho aperto in un vicolo cieco di Belluno con un idealista rivoluzionario di nome
Marchiorello. Era un bugigattolo spartano targato ancora My Market, il nostro
primo marchio. Vendevamo solo maglioni dai colori sparati. Erano le tinte di
Kandisnky e di Klee. Successo pieno. L’anno dopo aprivamo a Cortina, che per noi era come il Lidò. I colori erano il nostro tatuaggio. Lì abbiamo avuto una delle intuizioni guida. Vendevamo alle signore impellicciate
e ai ragazzi allo stesso prezzo: 3.900 lire. Dunque il mercato dei giovani e
quello degli adulti si era finalmente sovrapposto»
• «Il clima era giovane allora, stava emergendo un’Italia non tanto conosciuta, non ancora sviluppata. Ognuno si faceva largo con i
propri mezzi. E noi ci siamo lanciati. Io allora non sapevo nulla, non
conoscevo i mercati, non avevo esperienza. Però capivo che qualunque problema si può risolvere trovando le persone giuste con le idee chiare, così diventa tutto facile e divertente. Prima ci sembrava un grande obiettivo
svilupparci in Italia. Poi è stata la volta dell’Europa. Un bel traguardo anche quello ma è bastato raggiungerlo per renderci conto che l’Europa è un piccolo paese e che bisognava puntare sui mercati emergenti. Fino al 1978
abbiamo fatto poca pubblicità. Il nostro problema era un altro: non riuscivamo a soddisfare il mercato. La
nostra crescita era così forte che ci mancava la capacità produttiva. Toscani è arrivato nel 1982 e il suo apporto è stato importantissimo. Ma anche la Formula Uno ha dato valore aggiunto a un
prodotto che andava per conto proprio. In realtà la pubblicità ci ha reso unici aiutandoci ad esprimere emozioni, a comunicare il nostro
mondo. La pubblicità ha contribuito a costruire la nostra identità nella mente della gente. Lo stesso discorso vale per la Formula Uno. Abbiamo
vinto tre campionati del mondo e abbiamo avuto un’esposiziome mediatica molto alta per tanti anni. Per noi la comu
nicazione è sempre stata un prodotto dell’azienda, un modo per trasmettere la cultura di tutta l’impresa. E questo spiega perché abbiamo fondato Fabrica, il nostro laboratorio di ricerca sui nuovi linguaggi
della comunicazione, che consideriamo un avamposto di ricerca» • «Trovo un po’ ingenuo il rifiuto acritico della globalizzazione, che non solo è un fenomeno inarrestabile, ma è anche un’opportunità per i Paesi poveri. Se invece, come spero, dietro a un generico no ai prodotti
e ai mercati globali, c’è la denuncia della sperequazione tra Paesi ricchi e poveri, allora ben vengano i
no global» • Dicono che è l’Adriano Olivetti moderno: «Il paragone non funziona. Lui doveva essere una persona eccezionale, ma si
avverte che era più un mecenate che un imprenditore. Io sono e resto soprattutto un imprenditore» • Sposato, non ha mai divorziato dalla prima moglie: «Non è un atto di attaccamento, né di anticonformismo. Credo che sia una ragione più profonda. è come se confermassi, ogni giorno, l’amore per i figli che abbiamo fatto insieme» (quattro). Dopo una lunga storia con Marina SALAMON (vedi scheda), è stata la volta di Laura Pollini: «Ci siamo conosciuti in azienda, dove lei si occupava delle relazioni esterne, e
ci siamo apprezzati reciprocamente. è una buona base per un rapporto. Da quando siamo insieme il mio umore è cambiato»
• Nel 92 è stato eletto senatore per il partito Repubblicano: «Non mi piacque, non era un ambiente adatto a me. Avevo accettato la candidatura
per un’antica devozione a Ugo La Malfa. Mi ritrovai all’interno di meccanismi lontani dalla mia mentalità e mi sono guardato bene dal ripresentarmi» • Da giovane faceva il canottiere: «Ricordo il mio fiume, il Sile. In quelle acque, per anni, ho fatto canottaggio.
C’erano nel Sile molte correnti sotterranee, anche se in superficie non le vedevi.
In quei momenti capisci quanto è efficace un equipaggio e, soprattutto, il valore del timoniere» • «Sognava di gareggiare alle Olimpiadi di Roma nel 1960, Luciano Benetton. Non ce
la fece. Andò lo stesso ai Giochi con l’amico Giorgio. Avevano risparmiato per comprare i biglietti delle gare e la
notte dormivano nell’appartamento del signor Reteuna, un conoscente di Giorgio, che era in vacanza.
Gli azzurri del canottaggio vinsero, quell’estate, tre medaglie; due d’argento nel quattro senza e nella canoa e una di bronzo nel quattro con» (Chiara Beria d’Argentine).