Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
DULBECCO
Renato Catanzaro 22 febbraio 1914. Scienziato. Premio Nobel per la Medicina 1975. «Dio potrebbe esserci. Ma non lo vedo» • Il padre, Leonardo, «era ligure, di Imperia, ingegnere del genio civile, un esperto di cemento
armato, fu chiamato in Calabria dopo il terremoto». Poi Genova e Torino, ancora dietro al papà, impiegato in una fabbrica di proiettili. La madre, Maria Virdia, «figlia di professionisti, era di Tropea». A 16 anni entrò all’Università di Torino, dove si laureò nel 1936. Allo scoppio della guerra fu richiamato come ufficiale medico: «In Russia, fronte del Don, io ero a capo del servizio sanitario. Tra le mie
braccia posso dire che ho visto morire decine di ragazzi, sono tornati a casa
solo il venti per cento di noi. Arrivavano in condizioni disperate, spesso
fatti a pezzi, sangue ovunque, pance squarciate, ferite orribili. Qualcuno
mormorava tra le lacrime, “non rivedrò più i miei figli”, e io gli dicevo “ti opereremo subito, ce la farai”, ma sapevo che non c’era proprio niente da fare. Una mattina sono caduto sul ghiaccio, mi sono rotto
una spalla. E mi sono salvato». Rientrato in Italia, divenne il medico dei partigiani che combattevano sulle
montagne di Cuneo: «A Torino entrai nel partito dei lavoratori cristiani portato da Giacomo Mottura,
diventai membro del Cln, ma compresi subito che la politica non era il mio
mestiere. A me interessava la ricerca sui geni. La intendevo e l’ho sempre intesa come l’opportunità di giocare attorno a un grande mistero, una cosa affascinante e divertente». Iscritto alla facoltà di Fisica, la frequentò fino al 1947, quando lasciò l’Italia per gli Stati Uniti. Ricercatore all’Università di Bloomington, nell’Indiana: «Mi chiamò Salvatore Luria. Cominciai a studiare nei fagi, i virus batteriofagi, i
meccanismi cellulari che riparano il Dna quando è danneggiato da radiazioni». Un giorno la moglie di un amico e collega si ammalò di tumore al seno. Morì. Era il 1960. Da allora Dulbecco si è dedicato quasi esclusivamente alla battaglia contro il cancro
• «è stato il padre della virologia moderna, uno dei pionieri dello studio del
cancro, l’alfiere della lotta contro il fumo, l’ideatore del Progetto Genoma, un divulgatore di talento, un opinionista da prima
pagina, il presentatore di un Festival di Sanremo, il testimonial d’onore del Telethon e, dulcis in fundo, l’ispiratore di un personaggio di fumetti chiamato Dulby» (Piergiorgio Odifreddi) • «è un uomo che il mondo non finisce più di ringraziare, ma al quale l’Italia non ha saputo volere bene fino in fondo. Nel dicembre del 1975, proprio
mentre a Stoccolma ritirava il Nobel per la Medicina, Roma gli revocava la
cittadinanza. Perché lui voleva fare l’americano. Da allora è stato semplicemente un americano che ha lavorato anche con l’Italia» (Dario Cresto-Dina) • A Torino col professor Giuseppe Levi, ebbe per compagni di studi Salvatore
Luria e Rita Levi Montalcini. Tre premi Nobel: «Bisogna tener presente la personalità di Levi, che ha avuto un’influenza molto utile e benefica. Lui incoraggiava molto a fare, ma era
estremamente critico: quando uno aveva un risultato e glielo faceva vedere,
bisognava convincerlo. Il più delle volte trovava i punti deboli, che è quello che ci vuole per fare uno scienziato: può essere una ragione per cui queste tre persone sono poi arrivate a certi
traguardi. Con Luria ho lavorato negli Stati Uniti per due anni. Con la Levi
Montalcini dividevamo l’ufficio a Torino, e per combinazione siamo partiti per l’America sullo stesso vapore polacco, che si chiamava Sovietsky»
• In occasione del Nobel prese una posizione netta contro il fumo: «Vennero quelli del gruppo di Richard Peto, che aveva dimostrato che il tabacco
produce il cancro del polmone, e, siccome avevo preso il Nobel, mi dissero che
era un’occasione da non perdere. Io mi sono entusiasmato e ho fatto quella
dichiarazione: quando arriva il Nobel si diventa un po’ matti. Dopo il Nobel decisi di concentrarmi su cancri di significato medico, ad
esempio quello del seno. Era chiaro che molti geni dovevano cambiare attività col cancro, ma non si sapeva quali. A quell’epoca se ne conoscevano pochissimi, e ho pensato che bisognava assolutamente
studiarli sistematicamente e sequenziare il genoma. Lo proposi nella primavera
dell’85, in una conferenza a Cold Spring Harbor, e mi ricordo lo scetticismo
generale, pensavano fossi matto. Poi però qualcuno cominciò a dire che non era poi un’idea così pazzesca, e io scrissi l’articolo per Science. Era il marzo 1986. Avevo fiducia, e l’ho scritto. Non avevamo le tecnologie, ma se la gente ci si mette le tecnologie
arrivano. E infatti sono arrivate»
• Nel 2007 fu tra i soci fondatori della Issnaf (Italian Scientists and Scholars
in North America Foundation) con la quale i nostri cervelli costretti a
emigrare all’estero intendono rilanciare le scienze e la ricerca in Italia e favorire il rapporto
tra queste e l’industria • Dalla prima moglie, Giuseppina Salvo (sposata nel 1939, divorzio nel 1962), ha
avuto i figli Peter Leonard e Maria Vittoria. Dalla seconda, Maureen Rutherford
Muir, scozzese di 24 anni più giovane, ha avuto Fiona, cardiologa in un ospedale di San Francisco: «è stata Maureen a conquistare me, io non mi accorgevo di nulla. Ci siamo
frequentati per anni prima di capire che c’era qualcosa tra noi». Dal 2005 vive in California • Legge soltanto libri scientifici. Non va al cinema perché se la storia è bella ne viene letteralmente rapito e la cosa gli mette l’ansia. Suona il pianoforte, soprattutto Bach («raffinato e poliedrico»), pochissimo Mozart («troppo monotono»), il suo mito è Arturo Benedetti Michelangeli. Piange a tutte le feste e a tutte le opere di
Puccini («Soprattutto alla Tosca, lacrime inarrestabili e tanta vergogna di fronte agli sguardi stupefatti dei
vicini»). Da ragazzo era tifoso del Genoa, oggi passa ore davanti al televisore per il
tennis, soprattutto per quello delle donne: «Bellissime e eleganti. Sembrano volare sulla terra rossa». [auo]