Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DE LAURENTIIS
Dino Torre Annunziata (Napoli) 8 agosto 1919. Produttore cinematografico. Oscar alla
carriera nel 2001. «Dalla prima star all’ultimo falegname, tutti nascondono un tesoro».
VITA «Ex piazzista del pastificio paterno, ex allievo-attore del Centro Sperimentale,
rapidamente affermatosi come organizzatore, diventò famoso producendo Riso amaro (49) dove lanciò la futura moglie Silvana Mangano. I consensi ottenuti lo incoraggiarono a
ideare, prima in società con Carlo Ponti e poi da solo, pellicole di respiro internazionale come Ulisse, Guerra e pace, La tempesta. Nello stesso tempo, fedele alla filosofia di alternare film spettacolari e d’autore perseguendo sempre la qualità, batte un record vincendo l’Oscar del film straniero per due anni di seguito con altrettanti capolavori del
suo amico Fellini, La strada e Le notti di Cabiria. Ottenne anche il gran premio a Venezia con La grande guerra (59), sostenne Alberto Sordi nel periodo più interessante della sua carriera (ma era stato anche un assiduo fucinatore delle
comiche di Totò), realizzò una quantità di titoli che qualcuno, esagerando, fa ammontare a 600. Nel 64 creò sulla via Pontina i modernissimi stabilimenti di Dinocittà, dove allestì fra l’altro La Bibbia. Ma il suo sforzo fu contrastato da una legislazione per cui le megaproduzioni
in lingua inglese non potevano più ottenere i benefici derivanti dal riconoscimento della nazionalità italiana, come accadde per Waterloo. Crollato il sogno di Dinocittà, che oggi è un ammasso di rovine, nel 73 si trasferì a sorpresa negli Usa, dove produsse film come Serpico e I tre giorni del Condor e kolossal come King Kong, Flash Gordon e Ragtime. Sempre con alterna fortuna, però senza troppo inorgoglirsi né troppo deprimersi, con il piglio del grande giocatore. A Dino tutti riconoscono
la qualità di un cineasta che ama profondamente il suo mestiere e lo conosce come pochi.
La sua vicenda umana, in parallelo con quella artistica, è un lungo e appassionato romanzo che include tre matrimoni, tre figlie avute
dalla Mangano (l’unico maschio, Federico, morì in un incidente aereo) e due bambine avute dall’americana Martha Schumacher attuale compagna di vita e lavoro» (Tullio Kezich)
• «Si deve smettere di pensare a De Laurentiis solo come il tycoon americano, il
produttore di kolossal, il folle avventuriero del cinema, sempre in bilico tra
flop e Oscar. Lui ha rappresentato un immenso ponte fra l’Italia e l’America, perché ha portato il lussuoso artigianato italiano a Hollywood e i sistemi dell’industria americana a Cinecittà. è questo il suo capolavoro» (Giampiero Brunetta) • «Io l’attore volevo fare. A quei tempi facevano furore Gable, Amedeo Nazzari e le
signorine facevano la fila per entrare al cinema. Ero ancora un ragazzo,
lavoravo nel pastificio di mio padre, a Torre Annunziata, venivo spesso a Roma
per vendere la pasta. E quando lessi il bando di concorso per entrare al Centro
Sperimentale, non ci pensai due volte e tentai la sorte. Poi arrivò la lettera di convocazione. A casa la presero così e così, ma alla fine venni a Roma, passai l’esame e fui ammesso al Centro, avevo 19 anni»
• La sorella Raffaella detta Lina: «Eravamo tutti attorno al grande tavolo della cucina per il pranzo, nostra madre
Giuseppina, Don Aurelio e noi sette figli. Calcolate che a quei tempi avere un
figlio attore era come avere una figlia prostituta. Noi lo sapevamo e avevamo
paura per Dino. Mamma, a un certo punto dice sottovoce, “Aurelio, tuo figlio Dino vuole fare l’attore”. Silenzio assoluto, i cucchiai a mezz’aria. Poi papà si alza, va da Dino e gli dice: “Non accada mai che il sogno di un figlio venga ucciso dal padre. Quindi vai
pure, ma ricorda, io ti manterrò solo per un anno”»
• Era il 38: «Esaurito l’assegno mensile feci di tutto, trovarobe, comparsa, generico, insomma la
gavetta, quella dura. Poi, sul set di Mario Camerini che stava girando Batticuore, conobbi Peppino Amato e riconosco che per me è stato un grande maestro. Da lui ho capito che, dalla prima star all’ultimo falegname, tutti nascondono un tesoro, il produttore deve avere la
pazienza di capirlo e saperlo tirar fuori. L’8 settembre andai allo sbando, come la maggioranza degli italiani. Mi rifugiai a
Capri dal mio amico Mario Soldati. E finalmente, alla liberazione, tornai a
Roma. Eravamo di nuovo tutti insieme, vecchi e giovani, De Santis, Camerini, De
Sica, Rossellini, pronti a ricostruire, a ricominciare. C’era una povertà desolante, avevamo pochissima pellicola, si girava per strada, senza attori,
con la gente scelta dal marciapiede. I critici lo chiamarono Neorealismo, ma
quello era il cinema della fame. Eppure quel nostro cinema conquistò il mondo» (da un’intervista di Andreina De Tomassi)
• Giovanni Grazzini: «Dal 48 e per molti anni, Dino si associò con Carlo Ponti e fu una coppia di ferro. Anche perché i due produttori si potevano permettere la Mangano e la Loren, le loro
rispettive mogli dive. Ma Dino era più curioso, ricco d’iniziative, produsse il primo film italiano a colori, appunto, Totò a colori, un altro in 3D, quello con gli occhialetti. I suoi punti di forza furono i
film con Totò, la grande amicizia con Fellini, per lui volle fare a tutti i costi La strada, Le notti di Cabiria, i primi kolossal all’italiana, i film con Sordi» • «Nelle Notti di Cabiria Federico aveva messo una scena con un uomo che esce da un tombino. Logica ma
agghiacciante. Frenava l’emozione dello spettatore, almeno per me. “Levalo Federico che ammazza il film”. “No, non lo levo”. Sapevo di avere ragione. Andai di notte al laboratorio dove c’erano le pizze del montaggio, usai le forbici e feci sparire la scena. Fellini
quasi impazzì. “E mo’ che faccio, Dino?”. “Che ne so, fai causa al laboratorio”, risposi. Il film senza la scena fu un successo. Quindici anni dopo, in
America, Fellini mi telefonò. “Dino”, mi fa, “devo proiettare
Cabiria in un cineclub, me la rendi per favore quella scena? Ho sempre saputo che l’avevi rubata tu”. Ripristinò la scena e mi ritelefonò. “Avevi ragione, senza è meglio”. Avevo seguito l’istinto (oltre tutto Federico era un regista che amava molto farsi violentare) e
avevo avuto ragione» • «Una mattina in un albergo a New York mi sveglio all’alba e non ho niente da leggere. Apro un cassettino e trovo una Bibbia. Io non la conoscevo. Comincio a leggere ’sta Bibbia. Cavolo, mi dico, qui ci sono dei film straordinari. E mi è nata l’intuizione. Mi han dato del pazzo e del folle. Lo stesso dicasi per Guerra e Pace. Che fa De Laurentiis: si mette a girare Tolstoi? Per questo sono una star, se
mi è permesso dirlo. Decido mentalmente, mi prendo responsabilità, azzardo e ho dato dimostrazione di aver avuto naso, mi sembra» • «In Italia sono il dottor De Laurentiis e in America “mister D”, o al massimo “Dino”. Come Sinatra che era “Frankie” e basta. Qualcosa significa, no?» • «Se vedendo un’attrice o una donna mi accorgo che mi attrae sessualmente è una prima indicazione. Se mi lascia indifferente, non mi arrazza, vuol dire che
non ha sex appeal. Non farà carriera. Non bucherà lo schermo. Lascerà gli spettatori indifferenti, freddi. Pochi biglietti. Questo non significa che
ci debba andare a letto. L’attrazione sessuale immediata è però un cartina di tornasole» • Su Silvana Mangano (e Riso amaro): «Avevamo un copione di Peppino De Santis, il regista, ma non riuscivamo a trovare
la protagonista femminile. Disperati, io e Peppino camminavamo per via Veneto.
Alzando gli occhi vidi un manifesto elettorale. C’era una ragazza selvaggia, aggressiva e composta allo stesso tempo. Una bomba.
Eccola là, dissi, è lei. La cercammo e lei non voleva neanche fare l’attrice. Fu suo padre a convincerla. La nostra storia d’amore è iniziata dopo che il film è finito. Il film ebbe un grande successo anche per la carica sessuale delle
ragazze, di Silvana, delle mondine» (da un’intervista di Dante Matelli).