Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
MUSSI Fabio Piombino (Livorno) 22 gennaio 1948. Politico. Deputato (dal 92). Ds. Ministro dell’Università e ricerca nel Prodi II • Laureato in Filosofia
MUSSI Fabio Piombino (Livorno) 22 gennaio 1948. Politico. Deputato (dal 92). Ds. Ministro dell’Università e ricerca nel Prodi II • Laureato in Filosofia. Iscritto al Pci dal 66, è stato condirettore dell’Unità e segretario regionale del partito in Calabria. Passato al Pds, è stato membro del consiglio nazionale del partito e responsabile dell’area politiche del lavoro • «Faccione tondo e roseo, sembra il soddisfatto gestore di una salsamenteria ben avviata. Gli manca solo il lapis sull’orecchio» (Guido Quaranta) • «Ex goliarda della Normale, era famoso soprattutto per le stoccate autoironiche. Come quella rifilata al Pci (da responsabile propaganda) dopo una sconfitta elettorale, nel 79: “Pubblicità ottima, prodotto invendibile”» (Andrea Testa) • «Ha rotto con D’Alema, ed è una rottura non solo politica, ma anche personale. I due erano stati legatissimi da giovani: «D’Alema usò la sua influenza perché il partito scegliesse come capogruppo alla Camera Luciano Violante facendosi scappare parole che inutilmente avrebbe smentito: “Non possiamo fare opposizione con uno che sa solo raccontare barzellette”. Eppure quella tra Fabio e Massimo, prima della sventurata battuta dalemiana e della astiosa reazione mussiana riassunta nell’accusa al “commilitone” di “culto della personalità”, è stata una delle rare amicizie vere e profonde di tutto il “palazzo”. Si erano incontrati la prima volta, racconta Fabio, una mattina di ottobre di tanti anni fa, sulle scale del pensionato della Normale di Pisa: “Avevamo due borse a testa, una per mano. Dalla Casa dello Studente arrivava un gran casino. I fascisti avevano tentato di metter su una manifestazione per i colonnelli greci. Quelli di sinistra avevano reagito. Mollammo le borse sulle scale e ci precipitammo. Capitando in mezzo a un massacro infernale”. Si conobbero così, “nel furore della battaglia, diciamo. Lui era asciutto come un’acciuga, aveva i baffetti appena accennati e una testa enorme tutta riccia. Era tutto spigoli ma aveva un’intelligenza scintillante”. Per anni e anni furono inseparabili. Assemblee, manifestazioni, feste, seminari, esami, corteggiamenti, scampagnate sui colli con la “MotoMussi”, una vecchia Ducati 98. Fu a Fabio che Massimo telefonò la notte in cui, davanti alla Bussola, venne coinvolto negli incidenti in cui rimase paralizzato Soriano Ceccanti: “Mi chiamò a Piombino verso le due. Disse: ‘Vieni, è successo un disastro’. Mi cambiai, mi misi un giaccone pesante, presi la ‘MotoMussi’ e arrivai a Pisa che era ancora buio”. E fu di nuovo da Fabio che si rifugiò l’estate più straziante della sua vita: “Quando in un incidente stradale morì Giusy, la sua compagna, Massimo venne da noi a Piombino. Si fermò un mese. Uscivamo con un gommone piccolissimo io, mia moglie, le bambine e lui. Fu un’estate di solitudine, dolore, malinconia...”. Dentro la loro rottura c’è dunque qualcosa di più della crisi di un rapporto politico. C’è sullo sfondo, al di là del caratteraccio di D’Alema che spesso cede alla tentazione di infilzare chi gli sta intorno, il guaio umano prima ancora che politico di una generazione di leader di sinistra alle prese con un problema più grave ancora che non le sconfitte elettorali o il rapporto con gli elettori. La mancanza della “colla” indispensabile per dar vita a ogni progetto: la reciproca stima» (Gian Antonio Stella).