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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

INGRAO

Pietro Lenola (Latina) 30 marzo 1915. Politico. Dal 1948 al 1994 deputato (Pci/Pds).
Primo comunista a presiedere la Camera (1976-1979). «È rimasto storico il voto con cui Ingrao radiò gli ingraiani dal suo partito» (Nello Ajello) • Tra il 1934 e il 1935 frequentò il Centro sperimentale di cinematografia come allievo regista. Laurea in
Giurisprudenza e in Lettere e filosofia. Nel 1939 partecipò all’attività antifascista nell’Università di Roma, nel 1940 entrò nel Partito comunista, dopo l’8 settembre 1943 fu attivo nella Resistenza a Milano e a Roma. Dal 1947 al 1957
direttore dell’Unità, nel 1948 entrò nel Comitato centrale del Pci, nel 1956 nella segreteria, al Congresso del 1966
rivendicò il «diritto al dissenso», nel 1968 fu eletto presidente del gruppo parlamentare comunista della Camera,
il 5 luglio 1976 fu eletto presidente della Camera, nell’89 si oppose alla svolta di Achille Occhetto che trasformò il Pci in Pds ma fu contrario ad ogni ipotesi di scissione. Nel 1991 aderì al Pds come leader dell’area dei Comunisti democratici, nel 1993 abbandonò il partito
• «Mio nonno Francesco era nato a un passo da Agrigento, a Grotte, paese di
zolfatari, contadini e proprietari terrieri, come era appunto la famiglia
Ingrao. Francesco È una figura del Risorgimento: cospiratore antiborbonico dagli anni del liceo, e
mazziniano: combatte con Garibaldi a Varese, poi tesse congiure repubblicane
contro i moderati, e nel 1868 sta per essere ammanettato dalla polizia regia
sabauda. Riesce a fuggire nascondendosi nelle campagne di Caltanissetta; poi
risale la penisola fino a Napoli, quindi a Lenola, dove vive uno zio,
cospiratore anche lui ai tempi della carboneria. Lenola È a un passo dal confine dello Stato Pontificio; quando c’È odore di sbirri, Francesco scavalca la frontiera e trova salvezza a Roma,
ancora papalina. Ma a Lenola s’innamora della cugina Marianna, giovanissima. Quell’amore viene scoperto dal padre di Marianna; mio nonno fa atto di pentimento e
torna in Sicilia. Ma dopo lunghe traversie quel matrimonio si farà. Francesco resterà a Lenola e diventerà sindaco»
• «Partecipai ai Littoriali della Cultura del 1934. A quelli di critica teatrale,
con la proposta di un Teatro sperimentale: avevo in mente le esperienze di un
regista di genio, Anton Giulio Bragaglia. E alla gara di poesia, con una breve
lirica che si intitolava Coro per la nascita di una città esaltava Littoria e la bonifica delle paludi pontine fatta dal regime. Era una
poesia francamente brutta, ma a quei Littoriali di Firenze arrivò terza, dopo i testi di Sinisgalli e Bertolucci. Anni più tardi, quando ormai lavoravo all’Unità dopo la partecipazione alle dure lotte della Resistenza, quella poesia su
Littoria mi fu rinfacciata da un giornale di destra, Il Tempo mi pare. Arrossii
di vergogna. Chiesi a Togliatti se dovevo lasciare quel giornale di Gramsci.
Togliatti mi rispose con una sghignazzata: “Perché vuoi fare questo favore a dei balordi reazionari?”»
• «Lo stalinismo È stato un errore così grande che È bene ribadirne il rigetto. Io stesso ho riconosciuto lo sbaglio dopo qualche
tempo, ma le cose non erano così semplici. La figura di Stalin non ha un solo volto. Io ho partecipato all’emozione per la sua morte, perché Stalin era il vincitore del nazismo, l’uomo che aveva preso Berlino. Non ho saputo rompere in tempo, e ora l’età mi restituisce il peso del più grande errore della mia vita. Ma fu un errore diffuso, Togliatti ad esempio era
un grande ammiratore di Stalin, e Krusciov ci rimproverò per questo con violenza. Di Castro ho un’opinione niente affatto buona, e non da ora. Quando andò al potere passai un mese a Cuba, e non mi piacque. Mancava, come dire... Libertà È una parola grossa. Diciamo che mancava l’articolazione, la differenza. Una voce che non fosse la sua. I comizi li faceva
solo lui: ore e ore da solo sul palco. Per riprenderci andavamo a fare il
bagno, nelle conche sulla spiaggia dell’Avana. Chiedevo: di chi sono questi stabilimenti? Dello Stato, mi rispondevano.
Mi appariva così assurdo. Il comunismo non poteva essere lo Stato che fa il bagnino. Tantomeno
lo Stato che condanna a morte. Mao lo incontrai per la prima volta nel novembre
del 1957, dopo il XX congresso e prima della rottura tra sovietici e cinesi: fu
l’ultima grande riunione dell’Internazionale comunista. Mao venne a trovare Togliatti e me nella dacia dove
alloggiavamo. Era un uomo di grande suggestione, però disse cose terribili: il comunismo vincerà, al prezzo di centinaia di milioni di morti. Mi parve eccessivo. Per fortuna
non È andata così»
• «Sulla storia aleggia qualcosa che rasenta il mistero: ed È il seguito di cui ha goduto il suo protagonista all’interno del Pci, soprattutto presso la base giovanile emarginata e
protestataria. Antonio Galdo, militante nei tardi anni Settanta d’un collettivo universitario, ricorda che, “quando si discuteva del Partito comunista, sempre criticamente, un solo nome
riusciva a metterci tutti d’accordo. Era quello di Ingrao”. L’enigma si rafforza di fronte a un’ennesima ammissione autocritica di Ingrao (“Come capo di corrente valgo un fico secco”) e assume le tinte del martirologio se si pensa alle rappresaglie che nel Pci
si scatenarono contro gli ingraiani dopo la sconfitta subìta dal loro capo all’XI congresso del Pci (1966), quando le sue tesi “di sinistra” furono sopravanzate — per ricordarlo in sintesi — da quelle, opposte, di Giorgio Amendola. È un ex ingraiano perfino quell’Achille Occhetto che, cambiando fra l’89 e il 1990 il nome e la collocazione del partito di cui È segretario, induce Ingrao ad abbandonare la casa politica che lo ha accolto per
più di mezzo secolo» (Nello Ajello)
• «Sul perché del fascino esercitato da Pietro Ingrao, in stagioni diverse, su tanta parte
della sinistra italiana, si sono interrogati in parecchi, anche molto lontani
dalla sua parte. Gli estimatori hanno posto l’accento soprattutto sulla passione politica, sulla tensione intellettuale, sulla
fibra morale: tutte qualità incontestabili dell’uomo. Gli avversari, sulla fumosità dell’analisi, della proposta e, conseguentemente, del linguaggio; sull’astrattezza, sulla vocazione alla sconfitta: tutti vizi ben radicati nella
sinistra. Ingrao, magari, non ne sarà tanto lieto. Ma forse la spiegazione più azzeccata È quella che diede Indro Montanelli, quando il vecchio Pietro si oppose alla “svolta” di Achille Occhetto e diede battaglia in nome di un comunismo che per lui
restava al tempo stesso un “grumo di vissuto” di tutta una comunità e un insopprimibile “orizzonte”. Scriveva Montanelli: “Ha un volto rincagnito e parla con un plumbeo accento ciociaro. Eppure non si può guardare senza provare per lui un profondo rispetto. Ciò che dice può essere sbagliato, ma il suo È un dramma autentico, senza nulla di recitato, anzi contenuto nei toni più sommessi: il dramma di un uomo che, messo alla scelta tra una carriera e una
bandiera, sta con la bandiera, pur ridotta a un brandello”. Il comunismo cui Ingrao non intende proprio rinunciare È, né più né meno, lo “stare dalla parte degli sfruttati”» (Paolo Franchi)
• «I sogni degli ex ragazzi del Pci-Pds-Ds si sono realizzati solo in parte e
spesso si ritrovano in lotta l’uno contro l’altro. Perché? “La prego, non mi faccia questa domanda! Posso solo dirle che, prima di loro, c’È una sconfitta più grande che li scavalca ed È la sconfitta del comunismo. Loro sono stati ragazzi in quel mondo che guardava
a Marx e a Gramsci, nei cui testi c’erano risposte segnate da errori anche pesanti. Quel vincolo ha inciso su di noi
in modo straordinario”» (Monica Guerzoni)
• Nume tutelare della Sinistra l’Arcobaleno, nel dicembre 2007 ne disertò gli stati generali: «La Federazione non mi persuade, avrei capito una fusione. Ossia la nascita di un
nuovo Partito e pure consistente. Ma così non ne capisco il senso. Quando per esempio Mussi ha rotto coi Ds, secondo me
avrebbe dovuto entrare in Rifondazione. CioÈ in un Partito riconoscibile e riconosciuto dalla gente che incontro per strada.
Per non parlare di Diliberto. Chi rappresenta Diliberto?» (a Riccardo Barenghi)
• Ha raccontato la sua vita in Volevo la luna (Einaudi, 2006) e la sua passione per il cinema in Mi sono molto divertito (Centro Sperimentale di Cinematografia, 2006). Nel 2007 ha pubblicato La pratica del dubbio (dialogo con Claudio Carnieri, Manni) • Vedovo di Laura Lombardo Radice (1913-2003), cinque figli. [bhu]