Alberto Alesina, Corriere della Sera 6/7/2011, 6 luglio 2011
I VIRTUOSI TEDESCHI NON HANNO COLPE
In Europa sta nascendo (di nuovo verrebbe da dire, dopo la storia drammatica del secolo scorso) un «problema tedesco» . La Germania sembra isolata e gran parte del resto dell’Unione Europea l’accusa con crescente fastidio di due cose. La prima è che con il suo surplus di bilancio commerciale contribuisce allo squilibrio negativo di altri Paesi dell’area euro. Si dice che la Germania tragga vantaggio da una moneta unica indebolita per stimolare le proprie esportazioni (a me pareva che fino a qualche tempo fa l’euro a quasi 1,5 sul dollaro fosse considerato elevatissimo, ma sorvoliamo).Berlino, si dice ancora, dovrebbe invece aumentare il suo deficit pubblico, i tedeschi risparmiare meno e aiutare la periferia europea. La seconda accusa è che l’intransigenza tedesca verso la Grecia ha contribuito a creare una crisi che si poteva evitare, turbando i mercati e il funzionamento del governo europeo in questa fase delicata. Entrambe le accuse sono infondate. Una valuta comune ha costi e benefici per tutti. I Paesi più «deboli» monetariamente parlando, come l’Italia, hanno guadagnato una riduzione dei tassi sul debito. Senza questo effetto positivo dell’euro non saremmo riusciti a ridurre i deficit e ora servirebbe altro che la manovra Tremonti, avremmo anzi un debito ben più alto. L’euro inoltre ha consentito più concorrenza, guadagni di efficienza e lo sviluppo del commercio intraeuropeo. Certo la moneta unica impedisce ai Paesi che nel breve periodo ne potrebbero giovare, di svalutare. Vi sono, appunto, costi e benefici nella scelta per l’euro. La Germania ha fornito quell’attendibilità per cui i tassi d’interesse si sono ridotti per tutti. Se poi Paesi come Grecia e Portogallo ne hanno approfittato per indebitarsi troppo sull’estero, beh non è certo colpa dei tedeschi. Potrebbe anche essere vero che il marco si apprezzerebbe ancor di più della moneta unica, visti i surplus della Germania. Il motivo del successo tedesco non è principalmente un euro «debole» , ma l’aumento della produttività di questo Paese grazie anche a varie riforme degli anni Novanta. Non si può chiedere a un Paese solo, la Germania appunto, di farsi carico dei problemi degli altri senza trarne alcun vantaggio dalla unione monetaria. L’idea che poi sia colpa principalmente di Berlino se la crisi greca è precipitata è un’altra favola. Se non vi fossero Paesi a rischio contagio come Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia si sarebbe fatto un ripudio del debito di Atene con ben pochi scossoni (a parte per i greci che comunque se lo meritano ampiamente). È il pericolo contagio che ha creato il problema e quindi sono i Paesi a rischio i veri colpevoli. Come dimostra il declassamento del Portogallo deciso ieri da Moody’s. A tutto ciò vanno aggiunte l’inadeguatezza e la confusione del governo europeo nel far fronte al problema Grecia. Prima di tutto Atene non sarebbe neppure dovuta entrare nell’euro. La decisione di ammetterla fu solamente politica, non basata su una realistica valutazione dell’adeguatezza dell’economia greca. Fu dettata dal vizio di quei politici europei per i quali l’Unione più grande è e più forte diventa. Secondo, ancora i politici europei hanno chiuso non uno ma due occhi quando la Grecia ha nascosto un deficit pubblico del 9 per cento del Pil; o Eurostat (l’ufficio statistico europeo) non se n’è accorto o gli è stato impedito di indagare. Neppure la Banca centrale europea ha capito cosa stesse succedendo. Infine, quando la crisi è esplosa, la confusione è stata totale. Certo, a questa inadeguatezza e confusione ha contribuito anche la Merkel. Non dimentichiamo però, che il governo tedesco deve rispondere al suo elettorato come in qualunque altro Paese democratico. La sua economia sta volando eppure il partito della Merkel traballa e perde elezioni locali una dopo l’altra. Perché? Perché i tedeschi sono stufi di farsi carico di problemi di altri, dalla Grecia ai Paesi a rischio contagio. Parafrasando il Vangelo, scagli la prima pietra chi non ha mai peccato di voler fare prima i propri interessi e poi, se possibile, aiutare gli altri. Non si può organizzare un’alleanza politica, un’unione monetaria o perfino un gruppo di amici se sempre a uno e a un solo membro sono chiesti i sacrifici. Le unioni che sopravvivono sono quelle nell’interesse di tutti.