Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CALABRÒ
Corrado Reggio Calabria 1935. Giudice. Dal 2005 presidente dell’Authority delle comunicazioni • «Quando il ministro Gasparri ne annuncia la nomina lo qualifica subito come “un grande giurista”. E “di grandissima qualità”. Grandissima, di Corrado Calabrò, è sicuramente la funambolica capacità di essere magistrato amministrativo, grand commis dello Stato, collaboratore
fidato di importanti uomini politici a cominciare da Aldo Moro di cui fu per
cinque anni, erano gli anni Sessanta, capo della segreteria tecnica e
giuridica. Poi ci furono Taviani, Vittorino Colombo, Marcora, Pandolfi, Misasi,
Galloni. Tutti targati Dc. Ma a compensare pure Maccanico e Pagliarini. E fin
qui nessuna meraviglia visto che l’uomo è laureato in Legge (con 110 e lode ci tiene a mettere in risalto la biografia
ufficiale), è entrato a far parte del Consiglio di Stato e lì ha svolto gran parte della sua carriera di toga amministrativa a mezzo servizio
con la politica prima di approdare, nel 2001, alla presidenza del Tar del
Lazio. Ma a fermarsi qui di Calabrò non si direbbe un bel nulla. “Mi spiace lasciare il Tar perché dopo l’astrofisica e la poesia è l’attività più appassionante che io conosca” diceva subito dopo la notizia della nomina all’Authority delle comunicazioni. E ci teneva a ricordare subito che lui è sì magistrato (tra gli amici più cari del famoso giudice Corrado Carnevale), ma anche poeta. Poeta e romanziere
controverso capace di presentare le sue opere in parterre romani d’eccezione, dove non manca mai un suo eccellente protettore, il sottosegretario
alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Letta compare quando si leggono in
pubblico le sue poesie che la Mondadori raccoglie amorosamente. Il volume s’intitola
Una vita per il suo verso, mette insieme rime dal 60 al 2002, contiene versi del tipo “Di te io so quello che ne sa il vento / molando al tornio l’orlo della bocca / della vena che pulsa in fondo al pozzo”» (Liana Milella) • «Nel 2003 il Corriere della Sera (inchiesta di Gian Antonio Stella) dimostrò come Calabrò fosse già nel 1995 il magistrato più impegnato nei gabinetti ministeriali (11 anni di incarichi) di tutta Italia, ne
seguirono poi altri. E che svolse “ben 13 arbitrati, una miriade, per un totale di 36 miliardi di lire nel solo
1991”. Così replicò allora Calabrò: “Che il numero 13 possa definirsi una ‘miriade’ (nel sistema greco = 10 migliaia, nel linguaggio comune = grande moltitudine,
ad esempio di stelle) sarà anche un’opinione ma certo non basata sulla matematica. I 36 miliardi fu l’importo della controversia, non quello dell’onorario, al quale vanno tolti tre zeri” (“vogliamo dire che sono tantini, per chi conserva posto e stipendio?” controreplicò Stella)» (Paolo Conti).