Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
MALDINI
Paolo Milano 26 giugno 1968. Calciatore. «Se avessi dovuto immaginare la mia vita, l’avrei voluta esattamente così» • Tutta la carriera nel Milan, squadra con la quale ha esordito in serie A
sedicenne, ha vinto sette scudetti (88, 92, 93, 94, 96, 99, 04), quattro coppe
dei Campioni (89, 90, 94, 03), due coppe Intercontinentali (89, 90) ecc. Con la
Nazionale è stato vicecampione del mondo nel 94, terzo nel 90 (ha partecipato ai Mondiali
anche nel 98 e nel 2002), vicecampione d’Europa nel 2000. Ha il record di presenze: 126 (con 7 reti). Terzo nella
classifica del Pallone d’oro 94 e 2003, sesto nel 2005, settimo nel 95 e nel 93, decimo nel 2000, 14° nel 92, 22° nel 96, 23° nell’89, 28° nel 2004, nomination anche nel 99 e nel 2002
• «Partirei dal settembre 78, dal mio primo giorno di Milan. Avevo 10 anni e la mia
unica esperienza era il campetto dell’oratorio. Arrivo al campo di Linate accompagnato da mio padre e mi chiedono da
quale squadra vengo. Nessuna, rispondo. Allora in che ruolo giochi? Nessuno,
ripeto. La mia carriera è cominciata proprio così» (da un’intervista di Enrico Currò) • «Erede della grande tradizione dei terzini sinistri, dopo De Vecchi, Caligaris,
Maroso, Facchetti e Cabrini. E già confinarlo in un solo ruolo difensivo non rende giustizia a questo talento puro
del calcio, una delle massime espressioni del vivaio italiano di ogni tempo, in
grado di destreggiarsi in qualsiasi ruolo della terza linea con pienezza di
esiti. Il destino di calciatore Paolo Maldini lo trova seminato in famiglia.
Nasce da Cesare, fuoriclasse del Milan e della Nazionale. Paolo arriva per
quarto, dopo tre sorelle, e al padre basta dare un’occhiata per capire di avere in casa un nuovo campione. Logico l’approdo alle giovanili del Milan, dove arriva come terzino destro e da cui l’addestramento sull’altro piede lo fa uscire addirittura terzino sinistro. Quando Nils Liedholm lo
fa esordire in A, è ancora un difensore tuttofare, diviso tra l’impiego come stopper e quello di marcatore-incursore di fascia. D’altronde, non ha punti deboli, se non forse ancora il tiro a rete. Perfetto nel
calciare, eccelle nel tackle in scivolata, che porta con naturale tempismo, e
negli interventi in acrobazia. Prodigioso il recupero, grazie allo scatto, ma
soprattutto alla velocità in progressione. Nella stagione successiva è già titolare, e a diciannove anni, il 31 marzo 88, esordisce in Nazionale con
Vicini ct, a Spalato contro la Jugoslavia (1-1). Si stabilizza come terzino
sinistro, eccellendo a livello mondiale. Difficile trovare un altro difensore
ugualmente completo. Atleticamente perfetto (1,86 per 83 chili), scattante e
snodato nei movimenti, si esprime al meglio sia nelle chiusure difensive sia
nelle fughe sulla fascia, concluse con appropriati cross. La sua resistenza
fisica è proverbiale, la vicinanza di un fuoriclasse come Franco Baresi una formidabile
scuola per migliorarsi continuamente» (Carlo F. Chiesa)
• «Non che sia un fanatico delle coppe in quanto tali. In casa mia ne abbiamo
pochissime, mio padre non ha neppure tante foto dei suoi successi, ne ha
qualcuna mia madre, ma saranno trenta al massimo. Anche mia moglie lo dice
sempre, possibile che non conservi nulla? Ho qualche replica, qualche coppetta
in scala: una l’aveva regalata Galliani a mio figlio Christian, poi si sono aggiunte le copie di
quella che abbiamo vinto con la Champions League 2003, e della Coppa Italia. In
casa però ci sono anche le medaglie: quella del terzo posto ai Mondiali del 90, quella
del secondo posto ai Mondiali del 94, quella del primo posto ai Mondiali
militari. C’è poco da ridere, il Mondiale militari è l’unica cosa che ho vinto con la maglia azzurra, sicché ci tengo anche se ho conquistato coppe Campioni e scudetti eccetera: è una vittoria particolare. Mia moglie ha preso quelle tre medaglie e le ha
incorniciate»
• «Deve molto alla mente di Arrigo Sacchi. è stato in quel Milan che Paolo è diventato il più forte di tutti: da destra, Sacchi lo spostò a sinistra. E lì esplose: mai un errore, mai una sbavatura. Poteva incontrare qualunque
attaccante: non era un problema suo. Lui prendeva e partiva. Punto. Emilio
Butrague o allora era uno degli attaccanti più forti d’Europa. è sua la battuta più felice che descrive Maldini. è uno dei 62 protagonisti del documentario
Paolo Maldini — il film. Butrague o è fermo, deve parlare dell’ex avversario. Allora gli dicono che Paolo ha esordito il 20 gennaio del 1985,
lui sgrana gli occhi ed emette un sibilo. Ammirazione. Non apre neppure la
bocca, perché non c’è bisogno di parole. è questo che ha reso Maldini un Generale di corpo d’Armata: il rispetto indiscusso dei colleghi, che fossero compagni o avversari.
Ogni anno, nel periodo del Pallone d’oro, i calciatori dicono che il premio dovrebbe andare a lui. Diego Armando
Maradona dice sempre che il difensore più bravo degli ultimi trent’anni è stato Paolo. Il complimento è ricambiato: “Diego è stata la persona più leale in campo. Prendeva un sacco di botte e non fiatava mai”. Amico di tutti, Maldini. Forse anche troppo: nella sua carriera ci sono grandi
litigi, ma sempre finiti a tarallucci e vino. Come quello con Gabriello
Carotti, quand’era ancora un ragazzino: intervenne Liedholm per fermarlo. Poi quello con
Zvonimir Boban il 10 marzo del 2001, nei minuti finali di Atalanta-Milan. Boban
doveva calciare una punizione e lo schema prevedeva il passaggio a Maldini. Ma
il croato sbagliò: arrivarono allo scontro, li divise Morfeo, un avversario. Poi, però, negli spogliatoi era come se non fosse successo nulla. Amici di nuovo, come
sempre. Anche con Totti: si parla di una lite violenta scoppiata al Mondiale
giapponese nel 2002. Smentita. “Un’invenzione”. Impossibile, invece, smentire le critiche al presidente Franco Carraro dopo la
sconfitta con la Corea: “è la prima volta che mi capita che il presidente non sia presente dall’inizio, forse perché eravamo in un paese lontano, difficile da raggiungere. Penso che le cose che ha
detto a noi sono diverse da quelle che ho letto: a noi Carraro aveva detto che
al suo ritorno in Italia si sarebbe fatto sentire anche attraverso la stampa.
La squadra, nonostante l’ambiente ostile, meritava di andare avanti, e adesso non è giusto scaricare tutte le responsabilità sulla squadra, ma serve anche valutare il fatto che non sono stati dei Mondiali
normali”. Sono state le ultime parole da capitano della Nazionale: Paolo Maldini ha
lasciato senza vincere nulla: terzo a Italia 90, secondo a Usa 94 e all’Europeo del 2000 in Belgio e Olanda. In mezzo i disastri del Mondiale francese
del 98, quando lui era capitano e il papà Cesare commissario tecnico. “è stato un periodo difficile. Più per me che per lui, penso: nessuno ha mai messo in discussione che io dovessi
essere convocato in Nazionale. Ma poi tra compagni si scherza parecchio sull’allenatore, a tutte le età: e quando c’ero io, le chiacchiere erano meno spontanee”. Una brutta avventura anche l’ultima in maglia azzurra, il Mondiale 2002. Allora Maldini ha detto basta
lasciando dietro di sé un po’ di polemiche: con la stampa che ogni volta gli faceva notare che se non
smetteva nel Milan poteva ancora continuare in Nazionale. Insinuare che la
decisione di lasciare fosse legata all’idea di non essere considerato più intoccabile l’ha sempre infastidito. Eppure con Nesta e Cannavaro giovani e forti, Paolo
Maldini ha cominciato ad avere difficoltà vere. Allora meglio dire addio prima di essere messo in disparte. Veleno anche
con Roberto Baggio che aveva espresso il legittimo dubbio: lui non era stato
convocato perché secondo Trapattoni non si era ripreso dall’infortunio, Maldini era stato portato in Giappone e Corea nonostante un
ginocchio malato. La risposta seccata di Maldini: “Io ho fatto tutte le partite di qualificazione dell’Italia ai Mondiali, credo di essere stato un uomo importante per questa
Nazionale, e mi sembra normalissimo che Trapattoni si sia regolato così con me. L’avrebbe fatto qualsiasi altro allenatore al suo posto”. Alla fine di quella Coppa del mondo, Paolo Maldini ne aveva per tutti. Tranne
che per Christian Vieri. Con lui divide anche gli interessi extracalcistici.
Hanno fondato insieme la Sweet Years, azienda di moda casual. In società c’è pure Maurone, uno dei capi ultrà dell’Inter. Sono quegli strani incroci del calcio moderno, dove le vite dei tifosi s’intrecciano con quelle dei loro idoli. Investimenti e sentimenti per triangoli
che a volte sembrano un po’ fuori luogo, oppure troppo belli per essere veri. Perché poi il fratello del capo ultrà interista è il marito della sorella di Maldini» (Il Foglio)
• «Nel mondo dello sport, Maldini gode di una ammirazione ecumenica e smisurata.
Trovare in giro qualcuno che ne parli male è praticamente impossibile. Maldini rispetta le regole, non salta un allenamento,
non va quasi mai alle trasmissioni in tivù, ha una bella moglie e due figli che adora e tutti dicono “Paolo ha una bellissima famiglia”. Maldini ha vinto tutto ma non se la tira, non alza mai la voce, non lascia mai
trasparire, almeno in campo, tensione o incazzature» (Maurizio Maggi)
• «“Per la mia generazione Maldini è un mito”. Questo ha detto la commediografa iraniana Cista Yarabi, che al terzino
rossonero ha dedicato la pièce La Regina e Maldini. Soggetto: dopo che l’Olocausto nucleare ha distrutto la Terra, tre marionette cercano di mettere in
piedi uno spettacolo. In mancanza di burattinai, trovano un vecchio rotocalco
con le foto del matrimonio tra Paolo Maldini e sua moglie Adriana Fossa, grazie
alle quali imparano a parlare e ad amare proprio come facevano gli Uomini.
Successivamente una delle marionette incontrerà il figlio di Paolo Maldini, unico superstite della Bomba, col quale proseguirà la specie. Delirante, no? Abbastanza, sì. Per completezza di informazione ricordiamo che, nella realtà, l’esclusiva di quelle foto (dicembre 94) venne lautamente pagata da un noto
rotocalco e fu difesa al prezzo di una megarissa tra bodyguard e giornalisti
concorrenti» (Alberto Piccinini)
• «Quando ho iniziato a giocare Maldini era già Maldini, adesso che ho smesso Maldini è ancora Maldini» (Demetrio Albertini) • «Avrei voluto finire la scuola, ma avendo esordito in Serie A a 16 anni era
veramente un casino! C’era allenamento tre volte al mattino e tre volte al pomeriggio ogni settimana, e
a volte si tornava dalle trasferte di domenica a notte fonda, era durissima
andare al liceo scientifico Volta, il lunedì mattina. Ho provato anche qualche mese di scuola privata, allo Studium, poi ho
mollato. Comunque al Volta s’imparava di più» • La moglie Adriana Fossa, venezuelana, faceva la modella: «Paolo mi ascolta, ma non è sempre così. Sulla rinuncia alla Nazionale, per esempio, io non ero d’accordo e ho tentato fino all’ultimo di fargli cambiare idea, ma lui aveva già deciso e i miei “pensaci, dai pensaci” non sono serviti a niente». Vide la sua prima partita il 22 novembre 87 (Milan-Avellino 3-0): «Lo avevo appena conosciuto: mi ha invitato a San Siro lasciandomi due biglietti
arancio. Io ero in Italia da due settimane, non conoscevo Milano, non avevo
idea di cosa fosse il calcio qui. Vado allo stadio con un’amica, ci arriviamo in taxi e all’uscita pensiamo di fare altrettanto. Ovviamente non è stato possibile: tram, tram sbagliato, altro tram... insomma per una partita
cominciata alle 14.30 siamo tornate a casa di sera. Comunque quella domenica
Paolo segnò, cosa che non capita spesso. E la mia amica vedendo lo striscione “Fossa dei leoni” mi diceva: “Guarda che carino, ha scritto il tuo nome”. Questo per dire, quanto capivamo»
• Il figlio Christian (14 giugno 96) gioca nelle giovanili del Milan.