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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

SENESI

Vauro Pistoia 24 marzo 1955. Vignettista. Ha lavorato con Cuore, Corriere della Sera,
Manifesto ecc. • «Uno dei tanti maledetti toscani. Le sue vignette fanno tremare i politici,
indignare i preti, sussultare i benpensanti. È una specie di tritasassi che non guarda in faccia nessuno, nemmeno i compagni
di strada» (Claudio Sabelli Fioretti) • «Non c’È momento della vita che con lui non diventi occasione per scambi di battute.
Talvolta feroci, spesso spassose, sempre indifferenti a ciò che È “politicamente” corretto”. Sono anni che viene accusato di non aver rispetto per i presidenti, di non
aver rispetto per il Papa, di non aver rispetto per la religione. E lui che fa?
Ride. E continua, fregandosene dell’antico adagio, a lasciar stare i fanti e a scherzar con i santi» (Gian Antonio Stella)
• «Devo tutto alla scuola, nel senso che mi consideravano un imbecille. Non
pensavano che valesse la pena di perdere tempo a insegnarmi alcunché, e poiché facevo casino in classe, mi cacciavano fuori. Avevo un banco tutto per me in
corridoio. Dove potevo tranquillamente disegnare. Con me c’era anche Riccardo Mannelli. Anche lui fuori della classe a disegnare. Ero un
imbecille prodigio. Ero un gruppettaro, Lotta Continua. Mi piaceva Sylvie
Vartan perché aveva la fessura in mezzo ai denti. Partii con Riccardo Mannelli per Torino. In
autostop. Non avevamo una lira. Cominciammo da Help, l’unico giornale di satira di allora, che addirittura ci pagava. Poi andammo a
Milano, alla Mondadori. Marco Tropea e Laura Grimaldi che curavano il
Segretissimo ci presero delle vignette. Dormivamo alla Stazione Centrale. Poi
scoprimmo i Quaderni del Sale dell’editore Franco Ventura. Era un accrocco, alto un metro e niente, vestito di
porpora, con tanti anelli alle dita. Il giornale era diretto da Pino Zac che ci
assunse immediatamente e ci mandò in un grande albergo. L’accrocco vestito di porpora lo chiuse e noi fondammo il Male. Il Male fu una
grossa scuola di satira. Purtroppo non ce ne sono state più»
• «Sono convinti che la vignetta equivale a un editoriale. Lo disse un giorno
Giorgio Bocca e non glielo perdonerò mai. Una vignetta È una vignetta. La vignetta È un gioco cattivo, un gioco feroce. Ma È un gioco» • «Sa bene quali sono le cose sconvenienti e perciò le dice. Prendete (per par condicio) il Berlusconi presidente-operaio. Una sola
vignetta, fra le tante: quella in cui l’opportunismo épatant, il fregolismo ubiquitario si esalta nella scissione fisica tra la
replica in tuta blu che sfila in difesa dell’articolo 18 e l’originale (?) in doppio petto che lo apostrofa, “Presidente operaio, dove c... vai?!”. Al posto dei puntini Vauro mette la parolaccia per disteso, come ne mette
spesso nei suoi disegni. Ma lo fa con gioiosa intemperanza, infantilmente
(appunto) immune da volgarità. È lontano dalle miserie nostrane, però, che il nostro dà il meglio di sé. Indisponibile a adeguarsi dove non capisce, per capire meglio È andato in Afghanistan e in Iraq, nei giorni più caldi, come inviato di guerra (“inviato di pace”, preferisce lui). E le vignette che ne ha ricavato sono l’altra faccia — più umana, più morale, più vera — delle verità ufficiali. Afghanistan, Iraq e dintorni. Basta guardare il bambino senza gambe
che esulta per il Nobel a Medici senza frontiere: “Fate come se avessi applaudito” (lui non può, le mani gli servono per reggersi sulle stampelle). O la vecchia cecena in
mezzo alle macerie fumanti, che all’ipotesi di un ritorno alla guerra fredda domanda (e ci domanda): “Cos’È, una battuta?”. Satira per stomaci forti, dalla forte capacità mobilitante. Con uno scopo dichiarato, riassunto nell’immagine della colomba della pace, ramo d’ulivo nel becco, cilindro in testa e dito puntato, come lo Zio Sam: “I want you!”» (Maurizio Assalto).