Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
MONICELLI
Mario Viareggio (Lucca) 16 maggio 1915. Regista. Tra i suoi film: Totò cerca casa (49), Guardie e ladri (51), Totò e Carolina (55), I soliti ignoti (58), La grande guerra (59), I compagni (63), L’armata Brancaleone (66), La ragazza con la pistola (68), Vogliamo i colonnelli (73), Romanzo popolare (74), Amici miei (David di Donatello 76), Un borghese piccolo piccolo (David di Donatello 77), Speriamo che sia femmina (David di Donatello e Nastro d’argento 86), Il male oscuro (David di Donatello 90) • «Il cinema è la settima arte; cioè l’ultima. Non è niente, è una congerie, un accumulo di teatro, musica, fotografia. Almeno un tempo era un’arte popolare. Ora il cinema italiano ha pretese di alta cultura; ma il
borgataro va a vedere gli americani. E il cinema che non passa la prova del
borgataro non ha futuro» • «Mio padre era un giornalista molto noto, mia madre una contadina. Tomaso
Monicelli era stato direttore dell’Avanti! prima di Mussolini. Erano amici. Papà si schierò con i nazionalisti, le camicie azzurre, e appoggiò il Duce fino al delitto Matteotti. Poi passò all’opposizione. Non poteva più firmare i giornali ma divenne direttore editoriale della Rizzoli, lavorò anche per Mondadori, che era nostro cugino. A casa venivano giornalisti come
Missiroli che scrivevano su quotidiani fascisti ma in privato criticavano il
regime, economisti come Maraviglia che ogni volta annunciavano che il fascismo
sarebbe caduto in pochi mesi a causa degli errori economici e dell’ignoranza di Mussolini»
• «Nel 34, a diciannove anni, presentò al Festival di Venezia un film semiamatoriale girato col cugino Alberto
Mondadori, che gli fruttò come premio l’ingaggio come aiuto dell’aiuto dell’aiuto in un film vero, quello che il regista boemo Gustav Machaty, trionfatore
di quello stesso Festival con Estasi e le nudità di Hedy Kiesler poi Hedy Lamarr, avrebbe girato l’anno dopo a Cinecittà. Su quel set il giovane Mario fu molto colpito dalla personalità di Machaty, un creatore e un despota, che per esempio quando gli mancava l’ispirazione esigeva il buio e il silenzio totale nel teatro di posa: tutti,
interpreti e maestranze, dovevano trattenere il respiro anche per molti minuti,
finché il Maestro non si riscuoteva e tornava all’azione. Subito dopo quella esperienza Monicelli trovò lavoro in un altro film, questa volta nell’Africa italiana, dove Augusto Genina girava
Lo squadrone bianco. Genina era un romano pacioso e conciliante: addirittura con raccapriccio
Monicelli notò che non soltanto non impartiva disposizioni precise all’operatore, ma addirittura ne sollecitava i consigli, in base ai quali talvolta
modificava le proprie decisioni. Ricordando la sprezzante sicurezza di Machaty,
Mario disprezzò Genina per questa mancanza di personalità. Quando però i due film uscirono quasi contemporaneamente ebbe la rivelazione:
Ballerine di Machaty era un disastro, e fu addirittura sbeffeggiato dai pochi spettatori;
Lo squadrone bianco era, e sarebbe rimasto, uno dei non molti film italiani memorabili tra le
guerre. Imparai la lezione, dice Monicelli, che quando diventò regista a sua volta non solo evitò gli atteggiamenti dell’artista dispotico e pieno di sé, ma stabilì sempre un clima cordiale con gli attori e con la troupe, badando non a imporsi
ma a convincerli a collaborare» (Masolino D’Amico) • «Inventore di un genere cinematografico più personale che italiano, grande regista, ha girato oltre cinquanta film, ha
raccolto vasti successi, ha avuto nei Cinquanta con la censura persino più guai di Luchino Visconti. Il vero massacro fu per Totò e Carolina, che satireggiava la polizia, il clericalismo, ed esaltava in chiave comica le
sezioni comuniste: quaranta tagli circa. Quasi quanti Guardie e ladri, diretto con Steno, protagonisti Totò ladruncolo e Aldo Fabrizi ansimante poliziotto: siccome i due fraternizzavano,
al ministero dello Spettacolo considerarono questa fraternizzazione come una
bomba posta sotto le istituzioni, una maniera per minare la società italiana. A Monicelli, Totò piaceva moltissimo, per lui ideò il “primo film comico neorealista”, Totò cerca casa. Diretto con Steno: proponendo il tema degli alloggi mancanti, degli sfollati,
dei senzatetto, fu il primo film comico a trattare un argomento reale, di
attualità, e da allora questa fusione verità-comicità diventò una tendenza. La commedia italiana degli anni Cinquanta era un’evoluzione della farsa, gradatamente mutatasi in commedia di costume. I Soliti ignoti era già una commedia di costume su ladri inetti e poveri, comprendeva persino il primo
morto d’un film del genere. Per il divertentissimo film divenuto proverbiale, rifatto da
Louis Malle negli Stati Uniti, portatore di battute indimenticate (“Ma come ti sei vestito?”. E il vecchio Capannelle, l’attore Carlo Pisacane in pantaloni da equitazione e stivali: “Sportivo!”), le invenzioni di Monicelli furono tante: l’idea di sfruttare le grandi costruzioni di Visconti per
Le notti bianche e quella di affidare a Totò un piccolo ruolo di professore di scasso; le alterazioni alla faccia di
Vittorio Gassman, cotone nelle narici, spessore sotto il labbro, mascheramento
della gobba del naso, parrucca; l’assunzione di Claudia Cardinale che veniva dalla Tunisia; il sardo Tiberio
Murgia trasformato in siciliano. Per il film che è forse il capolavoro di Mario Monicelli, La grande guerra con Gassman e Sordi, altre gravi difficoltà: produttore e distributore non potevano accettare che i due protagonisti d’un film che doveva essere comico finissero fucilati, né che la coralità del film (una massa di gente, soprattutto di origine contadina, che per quattro
anni combatte una guerra assurda) prevalesse a volte sulle star della risata.
In più, toccare Caporetto era ancora un tabù e la Grande guerra “era avvolta nella retorica più fastidiosa e sciocca”. Ma, insistendo e lottando, il film venne completato, ebbe un successo
clamoroso, è rimasto a rappresentare la guerra dei bisnonni, l’improvvisazione dell’esercito, il coraggio e la viltà degli italiani. Così come un altro dei film più belli e popolari di Monicelli, il suo preferito,
L’armata Brancaleone (“Branca, branca, branca/leon, leon, leon”) ha impresso nell’immaginario italiano, colmo di pittura squisita e lussuosa, un Medioevo
realistico, popolato da analfabeti, malattie, guerre assurde e tornei
grotteschi, squattrinato, straccione, spaccone, impasticciato in un linguaggio
incomprensibile. E I compagni con un magnifico Marcello Mastroianni, sulle origini del sindacalismo italiano,
sulle prime grandi battaglie operaie alla fine dell’Ottocento, sulla lotta di classe, in un mix di commedia e dramma, rimane l’unico esempio italiano di epica proletaria. Eppure Mario Monicelli non è affatto l’inventore e neppure il capofila della commedia all’italiana. Questa commedia è spesso complice, compiacente, indulgente, accarezza i vizi nazionali mentre ne
ride; la durezza severa di Monicelli invece è irriducibile quanto la classicità senza sbavature del suo stile. Monicelli giudica i suoi personaggi, non si
limita ad osservarli; ne fa emergere gli errori e i comportamenti disgustosi
senza pietà. è cattivo come dev’essere un satirico e mai sentimentale. Sono pochi i suoi film commoventi ma la
commozione che suscitano è alta, mai melensa, non ti fa vergognare d’esserti commosso» (Lietta Tornabuoni).