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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

COSSUTTA

Armando Milano 2 settembre 1926. Politico. Senatore. Diploma di maturità classica, giornalista, entra nel Pci nel 43 e partecipa alla Resistenza, nel 59
è membro della direzione e nel 64 della segreteria nazionale, nel 91 è tra i fondatori di Rifondazione Comunista, nel 98 fonda il Pdci. Già eletto senatore nel 72, 76, 79, 83, 87, 92, deputato nel 94, 96, 2001. «Il comunismo è come il mitologico Anteo, figlio della terra e del mare, che restava potente e
vivo solo fin quando aveva i piedi ben piantati per terra»
• «Il punto di osservazione iniziale è la Lombardia operaia, anzi ciò che a lungo se ne è considerato la “cittadella”: Sesto San Giovanni. Lì Cossutta iniziò la carriera politica, dopo aver militato nelle file della Resistenza ed aver
subìto il carcere. Segretario della sezione comunista della “Stalingrado d’Italia”, vi incontra i massimi dirigenti del partito: da Togliatti, alla cui lezione si
professerà fedele, a quel Luigi Longo, del quale appena può tesse l’elogio. Del primo, Togliatti, apprezza la razionale freddezza, la perseveranza
con la quale privilegiò, nei fatti, “la strada della democrazia” rispetto a quella dell’“insurrezione”. Passa all’opposizione nel partito, diventando capo della corrente denominata, all’ingrosso, “filosovietica”. E ciò determinerà uno stop alla sua carriera, che aveva conosciuto un’ascesa continua fino a sfociare, nel 66, nell’incarico di coordinatore dell’ufficio di segreteria e nella funzione di “sovrintendente all’amministrazione” del partito. Per farla breve, almeno fino al 74, fu lui a procurare al Pci i
finanziamenti che provenivano dall’Unione Sovietica: il cosiddetto “oro di Mosca”. Bersagliato per decenni dagli avversari politici, Cossutta non ha mai nascosto
quel suo ruolo, rivendicandone anzi la legittimità in un universo bipolare, in cui ciascuna delle parti in lotta aveva i suoi
finanziatori internazionali: la Dc gli Stati Uniti, il Pci l’Urss. Anche quando, sulla metà degli anni Settanta, i finanziamenti di provenienza moscovita si affievoliscono
o cessano del tutto, egli continua a percepire contributi, magari modesti, di
provenienza sovietica, stavolta a vantaggio di iniziative giornalistiche
facenti capo alla sua “area” all’interno del partito o comunque predisposte verso Mosca. Moralmente ineccepibile
in quanto persona, l’ex agitatore di Sesto San Giovanni è ormai una sorta di manager internazionale di partito. E questa funzione collima
con la sua visione politica generale. Sotto Berlinguer, egli sarà favorevole al compromesso storico come intuizione di fondo, ma assai critico
verso i governi di solidarietà nazionale appoggiati dal Pci. Considererà “infelice” l’intervista con la quale, nell’estate del 76, Berlinguer afferma di “sentirsi più al sicuro” sotto la protezione della Nato. Per non parlare della dichiarazione in cui lo
stesso leader, alla fine dell’81, dichiarerà esaurita la “capacità propulsiva” della rivoluzione di Ottobre» (Nello Ajello)
• «Difficile dare torto a D’Alema quando, rispondendo a un quesito di Scalfari che si chiedeva come avrebbe
potuto essere definito Cossutta nella geografia interna del vecchio partito, ha
risposto semplicemente: cossuttiano. E si è limitato a rinviare quanti volessero capire meglio alla complessa (e poco
indagata) storia del comunismo milanese nella seconda metà del Novecento, alla sua robusta destra riformista e a una sinistra interna
altrettanto robusta, e a modo suo “responsabile”, poco incline al movimentismo, cioè, ma anche poco curiosa dei cambiamenti dell’economia, della società, del costume, del gusto. Cossutta, in realtà, è stato in qualche misura partecipe di entrambe. Ha interpretato cioè, come lo si poteva interpretare a Sesto San Giovanni operaia e a Milano, poi a
Roma, il ruolo dell’uomo di centro, del togliattiano moderato e aperto ai ceti medi, in un Pci che
dal centro era governato quasi per definizione. A questo ruolo è rimasto fedele fin quando è stato umanamente possibile. Con Palmiro Togliatti, e si capisce. E poi con
Luigi Longo, al quale è stato particolarmente vicino. E anche con Enrico Berlinguer. Ma solo fino a un
certo punto. Perché l’emarginazione politica di Cossutta non inizia nell’81, quando dà battaglia contro lo “strappo” (vero o presunto) di Berlinguer con l’Urss, ma alla metà degli anni Settanta. Quando Berlinguer lo estromette dalla segreteria del
partito, di cui è stato fin lì il coordinatore, sostenendo che, negli anni, ha accumulato troppo potere, anche
se, precisa, senza abusarne: e lo spedisce a occuparsi di enti locali. Che di
questo potere faccia parte integrante il rapporto diretto e privilegiato con
Mosca, e che questo rapporto Berlinguer cerchi di reciderlo, o di attenuarlo,
non è già allora, nel Pci, un mistero per nessuno. E dunque nessuno si stupisce più di tanto quando, sei anni dopo, il dirigente comunista che quasi per
definizione ha rappresentato e governato con mano ferma l’ortodossia di apparato si ritrova, denunciando lo “strappo” e la “mutazione genetica” del partito che ne deriverebbe, nella parte dell’eretico che rivendica il diritto di organizzare i suoi in corrente, e viene
accusato apertamente di dare man forte a un “lavorìo” sovietico per minare l’autonomia del Pci» (Paolo Franchi) • «Uomo di Mosca… Io sono italiano. I russi lo sapevano bene. Agli inizi degli anni Settanta il
nostro paese ha avuto il metano della Gazprom, pagandolo con i tubi dell’Italsider e le macchine della Nuovo Pignone. Un accordo splendido nell’interesse dell’Italia, grazie anche al Pci. Mi ricordo che Kossighin, allora capo del governo,
mi diceva: “L’Italia ha la fortuna di avere grandi manager, Cefis, Valletta, il governatore
della Banca d’Italia Guido Carli…”. Quand’ero presidente dell’Italtrust, l’organizzazione che aveva praticamente il monopolio dei viaggi oltrecortina,
ricevetti una telefonata da Amintore Fanfani, allora ministro degli Esteri. “Devo firmare un accordo con l’Urss, mi accompagni?”. Partiamo insieme, lui fa i suoi colloqui, poi una mattina mi chiama, siamo
alla firma vieni anche tu. La “Pravda” pubblica la foto in prima pagina, Gromiko, Boicenko, Fanfani e io. Così dal Cremlino mi prendono in giro, “ma come, i comunisti italiani sono al governo e non ci avete detto niente?”. Io ho sempre fatto gli interessi del mio paese”» (da un’intervista di Antonella Rampino)
• Interista sfegatato.