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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

MENO COSMETICI MA PIÙ CASA

Molti italiani rimangono austeri per necessità. Altri, ma si tratta delle élites, non sono obbligati ma lo fanno perché la crisi li ha spinti a reinterpretare il proprio stile di vita.

Nel 2010, infatti, la spesa mensile media per famiglia è stata pari a 2.453 euro e l’aumento rispetto all’anno precedente è stato solo dello 0,5% (-1,29% sul 2008). Si tratta di una variazione pressoché nulla in termini reali, precisa l’Istat che ieri ha diffuso il suo report annuale, tenendo conto che l’inflazione è stata dell’1,5% e il margine d’errore è 0,6. Dunque, i consumi restano fermi e per circa la metà delle famiglie italiane si collocano sotto la soglia dei 2.000 euro (2040 euro è infatti il valore mediano della spesa). Insomma, il terreno da recuperare è ancora molto, dopo la caduta registrata nel 2009: anche in termini correnti, infatti, le uscite delle famiglie nel 2010 sono ancora inferiori ai livelli 2008 e 2007.

I valori nazionali, inoltre, nascondono gli ampi divari che passano tra le regioni del Nord e quelle del Sud, con un gap di 1.200 euro tra Lombardia e Sicilia (2.896 euro contro 1.668) o tra le famiglie di imprenditori e liberi professionisti e quelle degli operai (1.300 euro di differenza in media). Quanto alla composizione della spesa, si contrae, annota l’Istat, anche a seguito della minore percentuale di famiglie che acquistano questi prodotti, la spesa per la cura personale: si risparmia insomma sul parrucchiere, sul barbiere e l’estetista, ma anche sulle spese che l’istituto di statistica classifica come "altri servizi", vale a dire viaggi, onorari dei professionisti, polizze vita. Continua invece ad aumentare il peso dell’abitazione sulla spesa media mensile (28,4% della spesa totale; in media si tratta di 370 euro al mese per l’affitto e 490 per il mutuo), così come aumenta l’onere per sanità e istruzione, mentre resta invariata la quota destinata a generi alimentari e bevande (19% del totale).

Quanto alle abitudini di spesa, oltre il 69,4% delle famiglie privilegia il supermercato per i generi alimentari, ma il 48,5% ama comprare il pane al negozio sotto casa e solo il 10,1% punta all’hard-discount.

Intanto, passando al 2011, l’indicatore dell’ufficio studi Confcommercio segnala a maggio un incremento tendenziale dei consumi dell’1,1% dopo il +1,9% di aprile: è la seconda variazione positiva consecutiva dall’inizio del 2010. Un segnale di ripresa fragile perché tende a decelerare: la variazione mensile, infatti, sempre a maggio era negativa (-0,1%). Si tratta di un’incertezza e di una tendenza all’indebolimento della domanda non solo italiane: segnali analoghi si registrano infatti a livello continentale proprio mentre cresce il timore che la ripresa mondiale stia perdendo colpi.

A maggio, infatti, secondo le rilevazioni dell’Eurostat, i volumi di vendite del commercio al dettaglio sono diminuite dell’1,1% rispetto al mese precedente, sia nell’area euro che nell’intera Unione europea. La dinamica negativa ha riguardato anche il confronto su base annua: meno 1,9% nell’area euro e meno 1,4% nella Ue a 27. I dati dell’ente di statistica comunitario si sono rivelati più deboli delle attese degli analisti specialmente nel confronto annuale e seguono un aumento di vendite dello 0,7% ad aprile che era stato preceduto da una flessione dello 0,9% a marzo.

Tornando all’Italia, la stasi dei consumi delle famiglie nel 2010 non sorprende Edoardo Lozza, direttore del dipartimento Società e politica di GFK-Eurisko. «I dati confermano le indicazioni emerse nelle nostre indagini trimestrali sul clima di fiducia tra i consumatori» afferma Lozza. Da fine 2008 a tutto il 2009, infatti, la fiducia dei consumatori è cresciuta «fino a diventare quasi euforica, del tutto in controtendenza rispetto agli indicatori economici. Poi si è via via erosa fino a stabilizzarsi sui minimi. Ora si traduce nella calma piatta dei consumi».

Dietro ai dati, però, GFK-Eurisko individua due dinamiche molto diverse che esprimono i crescenti dualismi del paese, non solo tra Nord e Sud ma anche tra le élites e i cittadini con redditi medio-bassi. «Questi ultimi sono in oggettiva difficoltà e sono costretti a ridurre i consumi – spiega Lozza – mentre per le élites è più corretto parlare di stasi che di riduzione dei consumi. Si tratta di una scelta, infatti, che deriva da un nuovo modo di consumare e di possedere. Scattano nuovi comportamenti che vanno al di là del mero possesso o consumo di un bene». Emerge nelle famiglie più agiate «un senso di saturazione insieme ad una virata verso la sostenibilità». Inoltre, ma questo è un trend che va verificato meglio, «c’è uno spostamento dalla quantità alla qualità». La parte più ricca del paese, dunque, sta «reinterpretando» il proprio modo di vivere, pur con dinamiche diverse da settore a settore. «Nell’alimentare prevale la scelta della qualità guardando alla salute e alla sostenibilità. Nell’abbigliamento, invece si segue la strategia della riduzione o si apre il guardaroba alle marche minori. Nella cura della salute e del corpo, invece, le élites badano al prezzo».

Quanto alle imprese, come è stato sottolineato ieri dal seminario annuale di GFK-Eurisko dedicato proprio al nuovo modello di consumo che si va delineando nel dopo-crisi, «devono imparare a produrre contenuti e non più solo prodotti, spaghetti o automobili che siano». Di buono c’è che, mentre cercano di interpretare il «nuovo paradigma dei consumi» come lo ha definito Giuseppe Minoia, le aziende non hanno perso la fiducia sulle proprie prospettive. «Ma questo – spiega Lozza – sembra più un atteggiamento di attesa, per crisi di idee e di strategie più che di mercato, perché si accompagna ad una forte preoccupazione per il futuro del sistema produttivo ed economico nel suo complesso».