Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
PISANU
Giuseppe Ittiri (Sassari) 2 gennaio 1937. Politico. Senatore. Di Forza Italia. Prima
ministro per l’Attuazione del programma e poi ministro dell’Interno (dal 3 luglio 2002 in sostituzione del dimissionario Claudio Scajola)
nel Berlusconi II (e Berlusconi III) • Laurea in Scienze agrarie. Ha iniziato la carriera nella pubblica
amministrazione come funzionario di enti locali. È stato vicedirettore della Società finanziaria industriale per la rinascita della Sardegna. In politica, dirigente
comunale, poi provinciale e regionale della Dc sarda. Dal 72 al 92 deputato
nelle file della Dc. Sottosegretario al Tesoro nei governi Forlani, Spadolini I
e II, Fanfani V. Sottosegretario alla Difesa nei governi Fanfani VI e Goria.
Dal 75 all’80 a capo della segreteria Dc di Benigno Zaccagnini. Nel 94 È stato eletto alla Camera con Forza Italia
• «Proprio quel che si dice un vecchio democristiano. Non tanto per l’età, ma per gli atteggiamenti, le idee, i compromessi, la prudenza, la solidità e perfino la complessione fisica. È un sardo di Ittiri, paese a qualche chilometro da Sassari, patria dei carciofi
spinosi. In Tribù di Gian Antonio Stella si legge anche che il giovane Beppe veniva al suo paese
soprannominato “Chizzos”, che vuol dire più o meno “Sopracciglione”. Come ogni democristiano sassarese che si rispetti, È stato parrocchiano del celebre don Masia, l’unico ad aver avuto tra i suoi fedeli due presidenti della Repubblica; e ora -
anche se il sacerdote È scomparso - pure tre ministri dell’Interno. Di lui si può dire tutto meno che sia telegenico: ai tempi in cui, dopo la laurea in Agraria,
cominciò a interessarsi di politica, venir bene in tv non era del resto una condizione
sine qua non. Arrivò a Montecitorio nel 72; però i giornalisti lo scoprirono l’estate di 3 anni dopo quando Benigno Zaccagnini, eletto a sorpresa segretario Dc
(per prestidigitazione morotea, in realtà) se lo portò nella stanza a fianco alla sua, a piazza del Gesù, come capo della segreteria politica. Pare di ricordare fosse un antro un po’ buio, con un eccesso di stucchi, dove comunque egli imparò presto quel rude mestiere che sta fra il centralinista telefonico, il
ciambellano di palazzo e l’uomo che fa le nomine. La nuova segreteria era abbastanza sparata sulla linea
del confronto, s’intende con il Pci. Lui stesso si confrontava assai con i comunisti. Decisamente
troppo secondo i parametri berlusconiani, di allora e di oggi. Ma non È mai stato l’orizzonte politico il dato saliente del personaggio. Già più interessante È che, grazie anche a lui, la segreteria Zaccagnini si sganciò rapidamente dalla tutela di Aldo Moro, che in un afoso Consiglio nazionale l’aveva appunto tirata fuori dal cilindro. Già nei primi mesi del 76 Moro, che aveva certamente doti di preveggenza, si
riferiva agli uomini intorno a Zaccagnini con l’espressione: “Quelli lì”. In seguito quelle stesse persone divennero - non s’È mai capito bene se per la fantasia onomastica di Forlani o per quella ancora più geniale di Montanelli — “la Banda dei quattro”, oppure “la cricca di Shangai”. Al congresso del Preambolo, 80, la Banda dei quattro venne sconfitta e
dispersa. Pisanu andò al governo. Sottosegretario di peso. Al Tesoro. E qui per forza di cose e di
memoria occorre serenamente ricordare che nel gennaio dell’83 quella esperienza si concluse malissimo, prima con una serie di accuse e
infine con delle dimissioni. In un cupo svolazzare di memoriali per via dei
rapporti con Flavio Carboni, si disse che fece più del dovuto per salvare Roberto Calvi, anche garantendo ai risparmiatori in sede
parlamentare che tutto era ok, pochi giorni prima che Calvi tagliasse la corda.
Di quella stagione restano un centinaio di citazioni negli indici degli atti
della Commissione P2. Comunque lui rimise il mandato sull’onda dello scandalo del Banco Ambrosiano. Poi però - la Dc era pur sempre la Dc - venne si può dire perdonato, fino a tornare al governo, sempre in qualità di sottosegretario, con Fanfani e con Goria. Nel 92, si legge nella
autobiografia sulla Navicella, “in contrasto con l’onorevole De Mita non È stato candidato”. Stava in realtà per incominciare l’avventura berlusconiana. Questa È assai meno divertente da raccontare, pur con tutto l’evidente tesoro di adattabilità al partito-azienda. Vicecapogruppo alla Camera, poi nel 96 capogruppo, già allora rivale di Scajola, buoni rapporti con Violante, la solita pazienza, la
consueta moderazione, uno scatto contro l’Ariosto e uno (inconsueto) sugli “sculettamenti” del Gay Pride» (Filippo Ceccarelli)
• Da ministro dell’Interno «ha dovuto affrontare diverse emergenze: dall’immigrazione al pericolo del terrorismo interno e internazionale, dalle piazze
talvolta in subbuglio a qualche fabbrica in agitazione, fino alle proteste per
le discariche di rifiuti che rischiavano di degenerare in rivolte e scontri. In
tutte queste occasioni ha dato prova di sangue freddo e razionalità, cercando di limitare i proclami e risolvere i problemi. Tentando sempre la via
del dialogo e della mediazione. Come quando convocò i parlamentari dell’opposizione in vista dei cortei anti-Bush, nei quali si temevano violenze che
non ci sono state, per concordare percorsi e strategie» (Giovanni Bianconi)
• «Quando gli consegnarono un Viminale infangato dallo sproloquio del suo
precedente inquilino, disse che avrebbe seguito, lui cattolico, il consiglio di
un re d’Arabia: “Allah ci ha dato due orecchie e una bocca — disse —, io ho messo in funzione solo le orecchie, la bocca più in là”» (Alessandro Barbano) • Nel 2006 sfiorato dallo scandalo Moggi a causa di una telefonata in cui aveva
perorato la causa della Torres («non ho nulla da nascondere: qualcuno vuole mettermi nel tritacarne»).