Varie, 6 luglio 2011
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Mauriello Imma
• 2000 (~) Il 31 luglio 2010 sopravvisse 15 ore sotto le macerie di una palazzina crollata al civico 5 di via Calvanese, ad Afragola, nel napoletano • «“Ho paura. Nonna dove sei?”. Alle 13.14, dodici ore dopo il crollo, un vigile del fuoco sente la voce di Imma Mauriello. La macchina dei soccorsi sull’orlo del cratere di via Calvanese 5 si blocca. “Zitti. Ho sentito una voce”, dice il vigile. È Imma che grida. Imma che chiama la nonna. Imma che ha paura. Imma che ha dieci anni ed è viva sotto le macerie. A trecento metri, al civico 21 di via Calvanese, nel cortile di casa c’è il fratello gemello, Raffaele: “Mia sorella non è morta, sono sicuro”. È l’unico a non perdere la speranza, anche quando si sparge la falsa notizia che la piccola non ce l’ha fatta. “Non è vero - ripete - me lo sento”. Empatia tra gemelli. È proprio lui, che nel cuore della notte, ha lanciato per primo l’allarme. “Non riuscivo a dormire, ero agitato - racconta - ho chiesto a mamma di telefonare e quando non ha risposto nessuno siamo subito corsi in strada e abbiamo visto cosa era accaduto”. E mentre Raffaele dice a tutti che Imma è viva, sua sorella parla con i soccorritori. È accoccolata sotto un solaio, che ha creato intorno a lei una bolla d’aria. Antonio Capone, vigile del fuco di Afragola, decide di raggiungerla. Si infila sotto le macerie. Chi scava si ferma. Imma grida: “Ho paura”. Poi la voce della piccina tace e si sente quella di Antonio: “Sono con lei. È lucida. Sta bene. Dobbiamo solo tirarla fuori di qui”. Sono le 14. Antonio Capone riemerge dalla terra e dal tufo. Riprendono gli scavi. Da questo momento in poi Imma non è più sola. Il cielo si copre di nubi. “Ci dobbiamo sbrigare. Se ricomincia a piovere tutta la polvere diventa fango e rischia di sommergere Imma”, sussurra uno dei soccorritori. E allora si corre, ma si scava a mani nude, masso dopo masso. Imma chiede della nonna e i vigili le spiegano che è stata portata via. Non le dicono che è morta. “Tutte le sere vengo dalla nonna, per tenerle compagnia - racconta Imma - perché lei non vede bene e non sente neanche. E io vedo e sento per lei”. Parla la piccola Imma sotto le macerie. E chiede acqua. Le passano prima un panno umido: “Poggialo sulle labbra”. Poi il varco si amplia e alla bimba arriva una bottiglietta. Sta meglio e allora, oltre l’acqua, chiede: “Vorrei un grande gelato alla nocciola”. I vigili le promettono il gelato e lei per la prima volta ride. Il varco lentamente si amplia. Sono le 14.30. Un altro soccorritore, Francesco De Martino, riesce a accucciarsi tra le macerie, allunga una mano e tocca il viso caldo della bimba: “Imma hai fatto la comunione? Imma cosa ti piace studiare a scuola?”. De Martino le passa un tubicino collegato ad una bombola. Comincia a piovere. Sono le 16. Dal crollo sono passate ormai 15 ore. I soccorritori sono esausti, ma Imma è quasi fuori. Una dottoressa del 118 la visita e via radio comunica all’ospedale Santobono: “La piccola sta bene. Respira da sola”. Il varco ormai è aperto. Ma tutte le volte che i vigili cercano di tirarla fuori, Imma grida di dolore. E i soccorsi si fermano. La piccola ha il piedino sinistro incastrato tra un materasso e una trave. Tra le macerie arriva la mamma, Carmela: “Piccina mia sei salva. Ti ha salvato la Madonna. Ora ti portano fuori”. Carmela scoppia a piangere e viene allontanata. Le nubi si allontanano. Sono le 16.30. Il sole illumina gli scavi e Imma è fuori. Nella mano destra stringe una bambola: “Si chiama Imma e Anna, come me e la nonna” dice, e la regala al vigile De Martino, che la porta al cuore, mentre la piccina esce dalle macerie. Imma è salva e la tensione esplode in un applauso. I soccorritori, in lacrime si abbracciano. È finita. La bimba del miracolo è salva. “La voglio vedere subito voglio andare da lei”, Raffaele scoppia a piangere, felice. “Non adesso. Quando sarà tutto finito faremo una bella festa” dice la mamma, stringendo al petto Raffaele e sapendo che quell’abbraccio arriverà ad Imma» (Beniamino Daniele, Cristina Zagaria, “la Repubblica” 1/8/2010) • Vedi anche Cristina Zagaria, “la Repubblica” 2/8/2010.