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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CLERICI

Gianni Como 24 luglio 1930. Giornalista. Famoso commentatore del tennis (su la Repubblica e su Sky, con Rino Tommasi).
Il 15 luglio 2006 è stato ammesso alla Hall of Fame del tennis, a Newport (California). Primo
giornalista europeo ad avere questo onore, e secondo italiano in assoluto, dopo
Nicola Pietrangeli. La motivazione è una specie di biografia: «Per il suo contributo alla diffusione del tennis, per aver seguito 170 tornei
del Grande Slam in più di 40 anni di attività, per aver scritto oltre seimila articoli seguendo a bordo campo le gesta degli
eroi della racchetta, prima per Il Giorno e poi per Repubblica e Espresso». Commento di Clerici, dal museo del tennis creato nel 1954 da James Van Alen,
dove si è svolta la cerimonia: «Gli americani sono pazzi. Ho trovato una vetrina intera con i miei 15 libri e la
mia gigantografia. Gli americani, che non hanno dei, si divertono a mitizzare i
comuni mortali. Una signora mi ha visto e mi ha chiesto: “
Are you the legend?”» • «I miei nonni materni erano tessili, i paterni vinai» • «Enfant prodige tennista, giovane staffetta partigiana, laureato in Storia delle
religioni con tentativo monacense buddista. Giocatore a Wimbledon, avvocato,
playboy. Autore di romanzi, commedie teatrali e un volume, 500 anni di tennis, semplicemente indispensabile. Il poeta Clerici rimanda ad Ariosto, Leopardi,
Saba. Rilegge l’odi et amo di Catullo, ed è un bel leggere. E rileggere. Pure sotto questa pudica veste, lo “Scriba” mostra quello sconfinato bagaglio di conoscenze e guittezze che solo una
critica miope può non vedere. “Quando avevo 27 anni, accompagnandomi al Premio Strega, Soldati e Bassani mi
dissero che, se volevo continuare con il giornalismo sportivo, dovevo
inventarmi un nom de plume. Avevano ragione. Negli ambienti letterari vengo
ancora guardato con un certo fastidio: ‘Ma lei è quello del tennis?’”. Non distante Italo Calvino: “Clerici è uno dei più grandi scrittori che abbia mai conosciuto. Purtroppo scrive di sport”. Un “vizio” che non gli ha fatto smarrire la propria grandezza. E unicità» (Andrea Scanzi)
• «Sarà stato il 53 o il 54. Nonostante la diagnosi di morte per disturbi epatici
fattami dall’esimio professor Frugoni, mi ritrovo numero 10 in Italia nel periodo in cui
eravamo primi in Europa con Gardini, Merlo, Pietrangeli, Sirola. Ero un
giocatore modesto, ma con un bel record giovanile di 13 vittorie su 15
incontri. Ho l’occasione di andare a Wimbledon con Antonio Maggi, che però rinuncia: “Mia mamma sta male, non vengo”. “Ma ti hanno ammesso!”. Niente, parto da solo, un venerdì mattina, con una 500 giardinetta color marroncino, quella con il legno sulla
carrozzeria. Il rimborso previsto era di cinquanta sterline. Ci ho messo due
giorni. La domenica mattina arrivo a Londra e voglio allenarmi. Poco dopo sono
davanti ai cancelli di ghisa nera, le Doherty Gates di Wimbledon, Doherty sono
i fratelli che hanno vinto lì nove tornei. E i cancelli sono chiusi. Sì. Era domenica. Una perfetta figura da provinciale. Nel pomeriggio mi allenai al
Queen’s club. Al torneo mi ritrovai al campo 16 contro uno jugoslavo: fuori per crampi
al quarto set, non ero abituato all’erba»
• «Sarà il 1950 e viene a Sanremo per seguire un torneo dove giocavo Luigi Gianoli
della Gazzetta dello Sport, allora diretta da Brera. Un grande, Gianoli.
Diplomato al Conservatorio, espertissimo di cavalli e vivamente omosessuale, ciò che gli creava non pochi problemi nell’ambiente del giornalismo sportivo. Io gli ho dato una mano, non capiva di
tennis. Legge gli articolini che pubblicavo gratuitamente su Il Tennis
Italiano, fra parentesi la rivista esiste dal 1928, e dice: “Però, tu devi scrivere sulla Gazzetta”. Dubbio: gli sarò piaciuto io? Ma no, a Gianoli piacevano i maschioni. Brera mi fissa un
appuntamento al giornale: non c’è e mi indigno: “non scriverò mai per questo giornale”. La sera stessa mi telefona e riusciamo poi a vederci in galleria a Milano,
dove studiavo all’università. Sono laureato in Storia delle religioni, ho anche fatto un master alla
Sorbona: volevo diventare monaco buddista. Scrivevo sulla Gazzetta degli
elzeviri in terza pagina, ricordo i disegni di Ottorino Mancioli, un artista.
Quando Brera mollò, lo seguii a Sport Giallo, un quotidiano che aveva fondato per far concorrenza
al Guerino. Durò poco. Nel 1956 nacque Il Giorno e da Sport Giallo ci travasammo tutti lì. Una vita al Giorno, con Brera, Giulio Signori, Mario Fossati, Pilade Del
Buono, il fratello di Oreste. Eravamo amici, goliardi anche, quasi un club, ma
lavoravamo duro. L’ho lasciato quando non ho potuto farne a meno, erano alla frutta, con certe
firme...
• «Ci fu un tempo in cui Berlusconi non era ancora straimpegnato e giocava a
tennis. Il suo maestro, Luzzi, cui avevo fatto pubblicare qualche articolo, mi
telefona: “Il dottor Berlusconi ha comprato la finale degli Us Open. Farebbe lei il
commento?”. Accetto. Vado al Palazzo dei Cigni a Milano 2, l’avventura tv di Berlusconi era appena iniziata, e provvedo al commento. Lui
controllava tutto, girava nel corridoio, mentre ero in onda ficcava dentro la
testa. L’esperienza sembra terminare lì. Invece ritelefona il Luzzi: “Il dottore vorrebbe vederla ad Arcore”. Ci vediamo, parliamo, mangiamo e Berlusconi: “Vede, Clerici, io penso in grande, voglio fare una televisione europea e lei è la persona adatta per dirigere lo sport”. Gli rispondo che ho sempre accuratamente evitato di approfittare delle
occasioni che ho avuto di diventare un giornalista importante. Alla fine, visto
che Belusconi voleva uno che parlasse bene l’inglese, gli ho indirizzato Rino Tommasi. Cosa che Rino non ammetterà mai».