Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DILIBERTO
Oliviero Cagliari 13 ottobre 1956. Politico. Deputato del Pdci. Inizi nel Pci, ha in
seguito aderito al Prc e poi al Pdci. Deputato dal 94. Ex direttore di
Liberazione. È stato ministro della Giustizia nei governi D’Alema I e II • «È arrivato alla poltrona di via Arenula con un colpo di scena, al termine di una
grande sparatoria che ha lasciato sul campo la compagna Salvato, candidata
originaria alla stella di sceriffo-guardasigilli uscita dal saloon neocomunista
sbattendo la porta. Un nonno capostazione. L’altro disegnatore del catasto. La nonna copiatrice di carte giudiziarie. La
madre insegnante. Il padre funzionario del consiglio regionale sardo, poi
avvocato. Viene da una famiglia moderata, ma il suo esordio È da extraparlamentare: “Nel 69 entrai al Dettori di Cagliari, il liceo di Gramsci”. È il 74: entra nei giovani comunisti a 17 anni, 24 mesi dopo È segretario provinciale cagliaritano e inizia il cursus honorum da di
rigente. “Ero solo un dirigente di periferia. Il 77 incalzava”. Finiti gli anni di piombo si arriva a un bivo: “Francesco Sitzìa, il mio professore e maestro, mi chiese di scegliere fra politica e università”. Lui sceglie: “Vado a specializzarmi a Roma prima, Germania poi. Dopo studio anche a Parigi”. Diventa associato di Diritto romano. Ma la svolta della Bolognina lo riporta
in campo. Contro la svolta di Occhetto, dunque, prima nella mozione Ingrao, poi
al fianco di Cossutta. Dopo la prima “guerra punica” contro i garaviniani, va a dirigere Liberazione, dove si guadagna subito un
nome di battaglia, Dili-beria (in assonanza con Lavrentij Berija, capo della
polizia sovietica). Imbarazzato? “Macché, avevo scritto un corsivo pepato contro i trotskisti, e uno di loro, Grisolia,
amichevolmente, mi affibbiò questo nomignolo”. A Liberazione si diverte. Titola, corsiveggia, fa persino l’inviato in Corea del Nord. Torna e affronta una nuova guerra. Vanno via i
comunisti unitari e lui diventa capogruppo» (da un’intervista di Luca Telese)
• «Delfino di Armando Cossutta. Professore di Diritto romano, già capogruppo di Rifondazione comunista. Bella presenza, affabile, spregiudicato.
Appassionato cultore di libri d’epoca e di film western (meglio se B-movie). Grandissimo consumatore di sigari
toscani. I frequentatori del Transatlantico lo stimano come uno dei massimi
esperti mondiali di Sergio Leone. È l’unico neocomunista che può rivaleggiare con Fausto Bertinotti per capacità mediatica e presenza video» (Pietrangelo Buttafuoco)
• «“Io non sono mai stato un estremista. Negli anni Settanta, quando era di moda
Lotta continua, ero nella Fgci. Sono sempre stato un equilibrato di sinistra”. Nel Pci il suo modello non era Berlinguer, vicino per ragioni di sardità — “ne ammiravo la sobrietà, la serietà, l’austerità” — , bensì Amendola. “E sono rimasto amendoliano. Sono gli altri a essere cambiati. Badi che Amendola
non era socialdemocratico, ma comunista. Non sarebbe vissuto tre minuti in
Unione Sovietica, però si È sempre schierato con Mosca perché la considerava un contrappeso necessario a Washington. Ora si vede che aveva
ragione”. Il riferimento ideale però resta Togliatti. “Ho letto tutto di lui, come solo di Marx. I discorsi alla Costituente sono
straordinari. I discorsi sulla politica delle alleanze rappresentano tuttora la
mia bussola politica”. Anche il Togliatti del 37, quello dell’eliminazione del vertice del partito polacco? “Se non ci fosse stato il Togliatti del 37 non ci sarebbe stata la svolta di
Salerno. CioÈ Togliatti non sarebbe sopravvissuto. Certo, la penserei diversamente se fossi
un dirigente del partito polacco”. Nel libro in cui racconta il passaggio in via Arenula, intitolato ovviamente
La scrivania di Togliatti, Diliberto ha parole di comprensione per la svolta di Occhetto. “Dividersi era inevitabile. Come lo È stata la scissione del 98 tra Cossutta e Bertinotti. Io, da equilibrato, non
farei mai cadere un governo di centrosinistra. Cossutta, da cui ho imparato
tutto, neppure. Ma con Fausto il rapporto personale ha resistito”. Per tre mesi non si sono salutati. Poi, dopo l’ennesima volta che si incrociavano facendo finta di nulla, Diliberto ha chiamato
l’ex compagno, e si sono abbracciati. In comune hanno l’assidua frequentazione dei talk show (“ma io non li guardo mai, in tv mi piace solo Minoli”) e il ricco stipendio da parlamentare (“io per me tengo solo 5 milioni di vecchie lire, il resto va al partito”)» (Aldo Cazzullo).