Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CHECHI
Yuri Prato 11 ottobre 1969. Ex ginnasta. Medaglia d’oro degli anelli alle Olimpiadi di Atlanta (96) bronzo a quelle di Atene (2004).
Ha debuttato con la Nazionale juniores il 5 aprile 1985 a Colorado Springs. L’anno successivo ha vinto il primo titolo italiano assoluto. Nell’87, l’esordio agli Europei di Mosca e ai Mondiali di Rotterdam. Due anni dopo arriva
la prima medaglia: il bronzo agli anelli ai Mondiali di Stoccarda. Nel 90, a
Losanna, conquista il primo di 4 titoli europei agli anelli, la sua specialità per eccellenza: i successivi a Budapest 92, Praga 94 e Copenaghen 96. A pochi
giorni dall’Olimpiade di Barcellona 92, si è rotto il tendine d’Achille della gamba destra. Un anno più tardi, tornando alle gare, ha vinto a Birmingham il primo di 5 titoli mondiali:
i successivi a Brisbane 94, Sabae 95, San Juan di Portorico 96 e Losanna 97.
Nel 97 si è ritirato dall’attività per la prima volta. Tre anni più tardi ha ripreso con l’obiettivo di gareggiare ai Giochi di Sydney, ma pochi mesi prima ha subito il
distacco del tendine brachiale del braccio sinistro
• «Nella palestra dell’Etruria di Prato, dove fu portato dalla madre per seguire la sorella Tania
(altro nome russo, una passione di famiglia), aveva cominciato a lottare anche
contro qualche strano pregiudizio. Piccolino di statura, gracile, con quei
capelli rossi non poteva passare inosservato. Eppure prima di vincere una gara
dovette aspettare a lungo e accettare di trasferirsi a Varese, a 14 anni, nel
Centro diretto da Bruno Franceschetti» (Pier Bergonzi)
• «I miti della mia gioventù sono stati Ayrton Senna e Gilles Villeneuve. Forse per affinità caratteriali. Io ero bambino e ricordo in modo nitido quanto mi entusiasmavano
le loro imprese. Erano fuori dalla norma, con doti tecniche e umane al di sopra
della media. Quando sono morti, facendo il lavoro che amavano, ho provato una
profonda tristezza» • «Mio padre mi aveva costruito una bicicletta alta poco più di mezzo metro, Franco Bitossi che mi vide correre disse: “Non ho mai visto uno così piccolo stare così bene in sella”. Ma io mi innamorai della ginnastica, anche se il mio eroe è rimasto Coppi per la forza e la fragilità, per tutto quello che ha dovuto sopportare nella vita privata. Io a 14 anni ho
dovuto lasciare casa e andare in collegio a Varese, perché per la ginnastica in Italia c’erano solo due palestre. è stato triste, duro, penoso. Ho sofferto tanto. Io a dieci anni mi facevo da
mangiare da solo, stavo cinque ore in palestra, uscivo da casa a Prato alle
sette di mattina per tornarci alle dieci di sera. Con lo sport vivi cose molte
belle, ma ne perdi altre. Impari il prezzo di ogni scelta: e lo paghi»
• «I miei sono atei, però mi accompagnavano in chiesa e mi aspettavano fuori. Nell’86 Federico Chiarugi, detto Chico, mio amico e compagno, nel riscaldamento mi
passa avanti e corre a fare un esercizio, lo stesso mio, cade male, resta
paralizzato dal collo in giù. In quel momento ho pensato di smettere, ho chiesto aiuto alla fede ma non l’ho trovato. Avevo 16 anni. Non riuscivo a capire perché se Dio amava ognuno di noi, aveva permesso che un giovane ragazzo non
camminasse più. Alla fine chi mi ha aiutato è stato proprio Federico che all’ospedale mi ha detto: “Yuri non abbandonare, tu sei nato per vincere”»
• «Quando ad Atene, sono rientrato al villaggio olimpico, scortato e con la
medaglia al collo, sono entrato in camera, ho fatto la pipì, e mi sono detto: e adesso? Che faccio, dove vado? Ho sentito dentro un vuoto
pazzesco, non è che il mondo finiva, ma una parte della mia vita si chiudeva. è difficile scendere dallo sport senza scossoni, chiunque dice di no è bugiardo. Dove lo trovi un altro attimo d’immortalità così immenso? Leopardi aveva ragione: la vita sta nel sabato del villaggio. La
domenica è bella, ma è un’altra cosa»
• «Il mio problema da sportivo era la stitichezza. Ogni viaggio, ogni cambiamento
di abitudini ha avuto effetti drammatici su di me. E poi come ginnasta a
tormentarmi sono state le piaghe sulle mani, i calli grossi come bistecche che
si aprivano e contro i quali non c’era niente da fare se non stringere i denti e gareggiare lo stesso» • «Da mio padre ho preso molte lezioni di vita, ma ho fatto bene a non mollare la
ginnastica deluso da giudici e punteggi. Nello sport deve vincere il più bravo, non il più baro. E per questo bisogna impegnarsi. Capisco che dove decide l’uomo ci può essere sempre lo sbaglio, ma spesso è pura malafede. Non puoi mettere quattro anni della tua vita in mano a chi non
vuol vedere con occhi puri» • «Non mi riesce tifare per squadre di calcio. Ci ho provato con Fiorentina, Roma,
Inter. Proprio non ce la faccio. Preferisco Mohammad Alì e Coppi che hanno saputo dare un segnale al mondo. E l’hanno pagato. Mentre i calciatori non pagano mai niente» (da un’intervista di Emanuela Audisio) • «Posizione preferita agli anelli? La croce. è una delle più antiche. Mi viene con naturalezza, con facilità. Questo mi ha anche differenziato dagli altri ginnasti che quando fanno la
croce mostrano una grande fatica sul loro volto. Io l’ho eseguita in maniera molto serena, senza mostrare troppa fatica, che c’era naturalmente, dando così una buona impressione alla giuria. Questo mi ha aiutato molto per il punteggio».