Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
DI LAURO
Paolo Napoli 26 agosto 1953. Camorrista. Boss del clan omonimo • Detenuto al 41 bis, ha due processi in corso per associazione camorristica e
spaccio internazionale di droga. Latitante dal 1996, è stato arrestato il 16 settembre 2005 • Alias Ciruzzo ’o milionario, dalla sera in cui il boss Luigi Giuliano lo vide sedersi al tavolo da poker e,
nel farlo, lasciarsi cadere dalle tasche decine di biglietti da centomila lire
(Giuliano esclamò: «E chi è venuto, Ciruzzo ’o milionario?») • Sposato con Luisa, dieci figli, di cui sei avviati nel clan (Cosimo, Vincenzo,
Ciro, Marco, Nunzio, Salvatore). Uno, Domenico, è morto anzitempo, per aver preso male una curva in moto, e la sera stessa del
decesso Paolo Di Lauro, ricevendo in visita un sottoposto disobbediente,
Gennaro Marino, alias “Genny McKay”, ne approfitta per offrirgli da bere il proprio piscio al posto della birra
(buttato giù senza fiatare) • Inizia la sua carriera a metà degli anni Settanta, come sottoposto del boss di Secondigliano Aniello La
Monica, che si fida talmente di lui da fargli tenere i libri paga del clan.
Nell’82 Di Lauro decide di liberarsene per prendere il suo posto, e per realizzare il
piano coinvolge i fedelissimi del boss (i fratelli Giuseppe e Antonio Rocco,
Rosario Pariante, Raffaele Prestieri, e Domenico Silvestri), convincendoli che
La Monica non sta ai patti, poiché trattiene per sé una somma superiore a quanto gli spetta. L’omicidio viene consumato il 1° maggio 1982: «La Monica venne attirato fuori di casa con una scusa. Gli dicono che deve vedere
dei brillanti da acquistare, ma appena esce dal portone l’auto su cui viaggiava il commando lo investe in pieno… C’era pure Paolo Di Lauro… Cominciarono a sparare prima ancora che il corpo ricadesse a terra dopo l’urto (Antonio Rocco, interrogato il 12 ottobre 1994). La stessa fine tocca dopo
poco tempo anche a Domenico Silvestri, che aveva partecipato alla spedizione.
Di Lauro viene arrestato, ma rilasciato in poco tempo, perché non ci sono prove contro di lui. Solo dopo la pronuncia delle sentenze di
assoluzione per i due omicidi, il 3 novembre 2004, Luigi Giuliano, pentito, ha
raccontato: «Paolo Di Lauro ha ammazzato i suoi amici più cari, perché i camorristi fanno in questo modo. Per avere più potere ammazzano gli amici più cari. Ha ucciso Aniello La Monica e Domenico Silvestri, i suoi più cari amici d’infanzia, quelli con cui faceva il ladruncolo quando erano giovani e con cui è cresciuto dal punto di vista camorristico» (Gigi Di Fiore)
• La scalata si compie con la morte di Gennaro Licciardi (per ernia ombelicale,
nel 1994). Approfittando del vuoto di potere, in poco tempo Di Lauro
monopolizza il traffico di droga a Napoli, e ne fa il più grande mercato europeo, rifornendosi direttamente dai cartelli sudamericani
(produttori) e alleandosi con i cartelli albanesi (distributori della grande
rete) • Il clan è organizzato come un’impresa, secondo il modello di azienda in multilevel (garantisce che, in caso di
arresto e pentimento di qualcuno, la conoscenza sia limitata a singoli
segmenti). Primo livello: dirigenti del clan controllano l’attività di traffico e spaccio attraverso affiliati diretti. Secondo livello: affiliati
del clan trattano direttamente la droga, curando acquisto e confezionamento
dello stupefacente, gestione degli spacciatori e relativo supporto legale in
caso di arresto. Terzo livello: con mansione di capi-piazza, membri del clan
coordinano pali e vie di fuga, e controllano i magazzini dove la merce è stoccata e tagliata. Quarto livello: gli spacciatori. Con questa organizzazione
Paolo Di Lauro si garantisce un profitto pari al 500 per cento dell’investimento iniziale (per un fatturato di 500 mila euro al giorno) (Roberto
Saviano)
• Avviata l’impresa del narcotraffico, Di Lauro deve preoccuparsi di reinvestire. I due
settori merceologici più redditizi sono l’abbigliamento e la tecnologia. Le grandi griffe sfruttano la manodopera a basso
costo gestita dalla camorra in Campania, in parte immettendo nel circuito
legale i manufatti, in parte tollerando un mercato parallelo direttamente
gestito dalla camorra, che vende gli stessi capi con marchio contraffatto, ma a
prezzi accessibili (nella sua rete distributiva Di Lauro predilige la Francia,
con negozi a Nizza, Parigi, in rue Charenton 129, e a Lione, in Quai Perrache
22). In Cina, invece, Di Lauro fa produrre apparecchi fotografici identici alle
Canon e alle Hitachi, salvo apporre un altro marchio, per venderli nel mercato
dell’Est Europa
• Nel 1989 fonda l’impresa Confezioni Valent di Paolo Di Lauro & C. (che secondo lo statuto sarebbe cessata nel 2002, ma nel novembre 2001 è sequestrata dal Tribunale di Napoli). Oggetto sociale universale: commercio di
mobili, prodotti tessili, carni, distribuzione di acque minerali, fornitura
alimentare a strutture pubbliche e private, attività alberghiere, catene di ristorazione, compravendita di terreni, attività edilizia, apertura di centri commerciali. La licenza commerciale è rilasciata dal Comune di Napoli nel 1993, amministratore Cosimo Di Lauro, ma
all’inizio della sua latitanza, nel 1996, Paolo Di Lauro cede le sue quote alla
moglie Luisa
• Trascorre in latitanza dieci anni (lo inseguono anche i servizi segreti, che
scoprono il suo avvenuto ricovero in una clinica marsigliese), per tutti
diventa il “Boss fantasma” (smaniando dalla voglia di vederlo, un affiliato si rivolge perfino al boss
Maurizio Prestieri: «Ti prego, fammelo vedere, solo per un attimo, solo uno, lo guardo e poi me ne
vado») • Ricompare per siglare il patto con gli scissionisti, che a forza di agguati
hanno spezzato il monopolio del clan Di Lauro (a Secondigliano chiamati gli “Spagnoli”, sono gli uomini legati a Raffaele Amato, a vicchiarella, responsabile delle piazze spagnole, che cominciò a versare sempre meno capitale nella cassa del clan Di Lauro). Il patto,
quattro i punti d’accordo, è diffuso a mezzo stampa sul quotidiano Cronache di Napoli, in data 27 giugno
2005: «Il territorio dovrà essere diviso in manieria equa. La provincia agli scissionisti, Napoli ai Di
Lauro» (punto 2); «Gli scissionisti potranno servirsi dei propri canali per l’importazione della droga senza più ricorrere obbligatoriamente alla mediazione dei Di Lauro» (punto 3); «Le vendette private sono separate dagli affari ossia gli affari sono più importanti delle questioni personali. Se si verificherà una vendetta legata alla faida questa non farà riaccendere le ostilità ma rimarrà sul piano privato» (punto 4)
• Il suo ultimo nascondiglio è la casa di Fortunata Liguori, donna di un affiliato di basso rango (Napoli, via
Canonico Stornaiuolo), dove i Ros lo arrestano, il 16 settembre 2005, dopo aver
individuato la vivandiera che acquistava il suo pesce preferito, la pezzogna • Pochi giorni dopo l’arresto è tradotto in tribunale nell’aula 215, jeans, polo scura e Paciotti ai piedi, dalla gabbia parla solo per
dire «presente», per il resto esprimendosi a gesti, occhiolini, sorrisi e ammiccamenti.
Separato dal figlio Vincenzo, lo saluta, dopo anni che non lo vede, baciandolo
attraverso il vetro blindato con le mani attaccate alla superficie trasparente.
Senza la fede al dito, a domanda del figlio gli fa capire che gliel’hanno tolta i carabinieri, in realtà i due si sono comunicati chi è stato il traditore che ha portato all’arresto. Anello, in napoletano “aniello”, allude insieme alla fede tradita e ad Aniello, patriarca della famiglia La
Monica, ucciso anni prima dal suo stesso figlioccio Paolo Di Lauro, e
vendicato, secondo il clan Di Lauro, con la delazione di Edoardo La Monica, a
sua volta torturato e ammazzato, a meno di ventiquattr’ore dall’arresto (tagliate le orecchie con cui ha sentito, cavati gli occhi con cui ha
visto, spezzati i polsi con cui ha preso i soldi, tagliata la lingua con cui ha
parlato). Solo a fine udienza Paolo Di Lauro ritrova la parola, quando l’avvocato chiede di autorizzare padre e figlio ad abbracciarsi («sei pallido», dice il figlio, e il padre risponde: «da molti anni questa faccia non vede il sole») (Saviano). [Paola Bellone]