Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GAUCCI
Luciano Roma 20 dicembre 1939. Imprenditore. Padrone del Perugia (calcio) fino all’estate 2005 (quando lo portò al fallimento). Latitante • «Quella di Gaucci è la parabola tutta italiana di un uomo tanto vitale e simpatico da riuscire a
gabellare il disprezzo delle regole per eccentrico folclore e vulcanica
intraprendenza. Figlio di piccoli proprietari terrieri, il giovane Gaucci molla
casa e famiglia per tentare nella capitale i mestieri più diversi, da conducente dell’Atac a gestore di trattoria. I primi soldi forti però arrivano con il business dei cavalli: uomo alla mano e appassionato vero,
Gaucci frequenta i guardiastalla dei purosangue migliori e offre loro generose
mance per farsi consegnare vasetti della marmellata pieni del loro prezioso
seme, con cui poi ingravida buone femmine e ottiene ottimi puledri da mettere
in vendita. Una volta guadagnati i primi milioni, Gaucci li reinveste in un’attività sicura come le imprese di pulizia. A dare gli appalti, a Roma, sono infatti
amici di amici, boiardi pubblici e privati legati mani e piedi con il giro
giusto a cui Gaucci è riuscito ad avvicinarsi in fretta: il démi-monde andreottiano dei Ciarrapico e degli Evangelisti che ha il suo nume
tutelare nel cardinale Fiorenzo Angelini, a cui Lucianone è devotissimo. L’impresa di Gaucci è battezzata La Milanese (“Dà un’idea di efficienza”, sostiene il fondatore) ma prende sede a Roma, a due passi dalla stazione
Termini, dove tuttora Gaucci ha quartier generale e abitazione. Un appalto dopo
l’altro, l’aziendina arriva a 3 mila dipendenti e produce abbastanza utili per consentire a
Gauccione di tentare la scalata al mondo del calcio, paradiso di contatti
importanti e di comparsate in tivù. Prima entra nella Roma di Dino Viola, poi capisce di non poter aspirare a
diventarne il numero uno perché nelle gerarchie andreottiane ci sono uomini piazzati meglio di lui. Allora
ripiega sul Perugia, che si compra grazie all’appoggio forte della Banca di Roma, l’attuale Capitalia. Per Luciano iniziano gli anni più belli: allenatori assunti e licenziati a raffica, esibizioni ciarliere al
Processo di Biscardi, pantagrueliche mangiate di agnello, anatra e carni rosse alla brace nel
castello medievale acquistato a Torre Alfina, dalle parti di Orvieto. Intanto,
dopo il primo matrimonio con una coetanea italiana (da cui nascono due figli,
Alessandro e Riccardo), si innamora di Iris, una ragazza dominicana che gli
regalerà altre due creature. Quindi, in età già matura, s’invaghisce di una compagna di scuola del figlio maggiore, Elisabetta, capello
biondo e fisico da Velina. Se la porterà appresso per anni, affidandole anche l’incarico di presidente della Sambenedettese e riuscendo a infilarla come
valletta alla
Domenica sportiva. Certo, anche negli anni d’oro qualche incidente non manca, come la retrocessione a tavolino del suo
Perugia. Gaucci si era fatto beccare nel tentativo di corrompere un arbitro
regalandogli un cavallo prima di una partita. Ma nel calcio il presidente
dimostra di saperci fare, comprando ragazzini sconosciuti dalle serie minori
italiane e straniere e rivendendoli a prezzi stellari alle grandi. Memorabile
il caso di Mirko Pieri, difensore segnalatogli dal suo più acuto osservatore, Silvano Flaborea: il Perugia lo acquista a 50 milioni di
lire per piazzarlo pochi mesi dopo a 16 miliardi. Ma Gaucci porta in Italia
anche il giapponese Nakata, rivendendolo due anni dopo alla Roma con gran
guadagno, e ripete l’operazione con diversi altri carneadi. Non mancano i colpi puramente mediatici:
piazza alla sua Viterbese il primo allenatore-donna del calcio professionistico
(Carolina Morace, silurata pochi mesi dopo). Minaccia di far giocare in serie A
una bionda calciatrice norvegese “perché nessuna norma lo vieta ed è una questione di diritti umani”. In una botta di demagogia patriottica straccia il contratto del coreano Ahn
colpevole di aver spedito l’Italia a casa durante i Mondiali del 2002. Infine porta a Perugia il figlio di
Gheddafi e lo fa perfino giocare un quarto d’ora contro la Juventus. Memorabile la performance di Lucianone quando incita i
suoi calciatori a “giocare alla morte” contro la Juventus per far vincere lo scudetto alla Lazio, società controllata da Capitalia che tiene in pegno anche le azioni del Perugia. La
cosa funziona, la Lazio vince lo scudetto e Gaucci esulta per una settimana
alla faccia della sua antica fede romanista. Nella sua bulimia
calcistico-esistenziale, tuttavia, Luciano inizia a commettere anche qualche
passo falso. Si compra il Catania promettendo mari e monti e lo deve rivendere
poco tempo dopo sommerso dai conti in rosso. Tenta la scalata al Napoli appena
fallito ma viene sconfitto da una cordata più potente, guidata dalla famiglia De Laurentiis. Fa comprare a un suo dipendente
l’Ancona e incappa nel primo fallimento completo, con società messa in mora e indagine della magistratura. La Juventus, memore dello sgarbo,
lo mette nel libro nero. Con il presidente della Figc Franco Carraro è ai ferri cortissimi. Un suo ex giocatore lo accusa di avere la mano pesante col
doping: “Gaucci”, dice, “riempie il bagagliaio della sua Mercedes di farmaci e poi viene al campo per
farceli prendere”. Lui nega, ma i suoi calciatori finiti nelle maglie dei test in quegli anni
sono un po’ sopra la media. Il Perugia intanto retrocede in serie B, Luciano ci piange su (“Così ci perdo 50 milioni di euro”) e molla la società in mano al figlio Alessandro. Ma lascia anche una situazione finanziaria
disastrosa, con decine di milioni di euro tra stipendi non pagati e tasse mai
versate. Anche La Milanese annaspa nei debiti Irpef e Gaucci mette mano a tutti
i numeri del suo cellulare per farsi spalmare le tasse. Nel luglio 2005 l’atto finale della parabola pallonara, con la squadra che fallisce la promozione
e la società che non riesce più a iscriversi nemmeno al campionato di B per eccesso di rosso nei conti. Il
patriarca molla tutto e va ai Tropici, lasciando il figlio Alessandro a gestire
il fallimento» (Alessandro Gilioli).