Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SILVESTRINI
Achille Brisighella (Ravenna) 25 ottobre 1923. Cardinale • «Principe della Chiesa, epperò appassionatamente pastore sin da quando, il 13 di luglio del 46, monsignor
Giuseppe Battaglia lo ordinò sacerdote. Un giorno — “il giorno del destino” — Monsignor Tardini, il mitico Segretario di Stato, comunicò al giovanissimo don Achille ch’era “comandato in servizio a Villa Nazareth”, il che significava sdoppiarsi: metà della giornata in Segreteria di Stato, l’altra metà a Villa Nazareth per la cura religiosa di quei giovani pensionati d’eccezione. A quell’annuncio il giovine “minutante” sentì, dentro, una “strizzatina” di sgomento. “Ce la farò a far l’uno e l’altro?”. Ce la farai, ce la farai: prega un pochino di più, la forza della preghiera è incredibile, e vedrai che tutto andrà bene. Naturalmente comincerai da domani, concluse Monsignor Tardini. “Naturalmente”, assentì don Achille. Villa Nazareth, allora, era una borghese dimora confortevole in
faccia alla Pineta Sacchetti, dono d’un divoto a monsignor Tardini che vi sistemò pochi “giovani meritevoli”. Negli anni quel piccolo pensionato s’è ingrandito notevolmente, ha filiali in tutto il mondo: ospita e assiste giovani
di talento che senza l’ospitalità e l’assistenza di Villa Nazareth non potrebbero frequentare l’Università in Roma o a Bologna eccetera. è la versione laica della Parabola dei Talenti. Negli anni, da Villa Nazareth
sono infatti usciti centinaia di laureati, molti dei quali, come suol dirsi,
han fatto carriera: in medicina, in magistratura, nella scuola, nella
burocrazia eccetera. Prefetti, generaloni, scienziati “danno una mano” a Don Achille e alla dottoressa Groppelli, una psicologa che accoglie e assiste
i giovani pensionati, maschi e femmine, con soave severità e allegra ironia: giusta la formula (vincente) di Monsignor Silvestrini.
Singolare è che Villa Nazareth si preoccupi di forgiare buoni cittadini: pochissimi sono
quelli che vanno in seminario. Assistente, consolatore, braccio destro del
cardinale Casaroli, un Segretario di Stato forse irripetibile col quale ha
vissuto la storica “avventura dell’Ostpolitik”. Uso il termine avventura consapevolmente: in piena guerra fredda, un Papa
Santo, Giovanni XXIII, decide di spedire, vestiti in borghese e dunque
semiclandestini, due prelati di Curia a Mosca, roccaforte del comunismo
sovietico, duro, prepotente, impietoso “per realizzare l’adesione della Santa Sede al Trattato sulla non proliferazione nucl
eare”. Quel viaggio, a ben guardare, è la prima breccia — piccola ma insidiosa — dell’Europa cristiana nel Muro ateo che divide la Germania stabilendo, con la
brutalità d’una violenza continua, la divisione del mondo in due blocchi contrapposti. La
prima breccia, sissignori, in quel muro cui darà la spallata decisiva Giovanni Paolo II, il Papa slavo, lui, Wojtyla, il
cristiano incandescente venuto dal freddo. Sempre dividendosi fra l’accelerato “colmo di grazia” che porta a Villa Nazareth e il supertreno che conduce alla Conferenza delle
Nazioni Unite sull’uso pacifico del nucleare (Ginevra 71) e, ancora a Ginevra, alla Conferenza (da
lui magistralmente gestita) per l’attuazione del Trattato sulla non proliferazione delle armi atomiche (75),
Silvestrini, nel frattempo nominato arcivescovo, guiderà la delegazione della Santa Sede per la revisione dei Patti Lateranensi. “Il signorino”, lo chiamava affettuosamente monsignor Tardini che a lui, a Silvestrini, lascerà la guida di Villa Nazareth. “Signorino” perché indossa la tonaca con innata eleganza, e le sue camicie son sempre immacolate e
le mani curate (“Ho imparato a curare le unghie in seminario, per rispetto dell’Ostia consacrata”); un “signorino” per quel suo sorriso affabile ma vagamente ironico, per le sue “curiosità intellettuali” che lo fanno amico di grandi scrittori e poeti, di geniali uomini di cinema, di
accademici, di personaggi d’ogni razza e paese. Un cardinale invero diverso dagli altri Principi della
Chiesa. Un cardinale che conosce i mille anfratti del Palazzo (apostolico), un
diplomatico di rara esperienza (non si contano le sue delicate missioni all’estero), padrone delle lingue e della Storia di svariati paesi, ricco di
implacabile metodicità intelligente; un pastore che cura un complesso gregge in una parrocchia della
periferia ingrata di Roma, il maestro che guida e consola l’Altro di Villa Nazareth. Il confessore di grandi laici che ha aiutato con rara
riservatezza a rimettere l’anima a Dio: penso soprattutto a due perduti amici comuni: Giovanni Spadolini,
Federico Fellini. In verità don Achille è un cardinale-pastore, un principe sacerdote» (Igor Man).