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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

GOLINO

Valeria Napoli 22 ottobre 1965. Attrice. Ha vinto il Nastro d’argento per Storia d’amore (87) e Respiro (02), il David di Donatello per La guerra di Mario (2006). «Mi è andata bene, amo il mio lavoro e sono felice. Pensare che da ragazzina avrei
voluto fare la cardiologa» • «Ha un viso antico, Valeria Golino. Una bellezza che profuma di Mediterraneo, un’infanzia vissuta tra Napoli e Atene, la città della mamma pittrice, occhi ingordi incastonati tra riccioli ribelli che le
somigliano. Continua a dare corpo e anima ad un universo femminile all’apparenza identificabile, etichettabile ma, se si va a scavare, profondamente
schizofrenico: dai Piccoli fuochi di Peter Del Monte alla Storia d’amore di Maselli, da Le acrobate di Soldini a Respiro di Crialese fino a Prendimi e portami via di Zangardi. Odia la mediocrità, è convinta che “quando finisce l’incanto per la vita, tanto vale smettere di fare l’attrice” e non si è mai fatta scrupolo di sperimentare set internazionali, fin da giovanissima con
il Rain Man di Levinson accanto a Dustin Hoffman e Tom Cruise e più in là diretta da “grandi” come Carpenter, Figgis, Penn. La Valeria napoletana “doc” che da bambina ha assaporato giornate assolate passate all’ombra dell’Hotel “Bella Napoli” di proprietà del nonno» (Leonardo Jattarelli) • «Io rifletto molto prima e dopo, durante per niente» • «Tappe decisive? Storia d’amore è la prima (di Maselli, 86 ndr). Un altro punto è Rain Man. Poi Lupo solitario di Sean Penn: ho imparato. Le acrobate con Soldini. E ogni volta che torno con Peter (Del Monte): mai semplice, anzi
sempre meno, ma sempre interessante. In America il film a episodi Le cose che so di lei. Per la prima volta non ero una spezia esotica. Ero un’attrice che lavorava lì, punto. La cosa più difficile da raggiungere. E Respiro. Mi ha dato un senso di pienezza mai provato. Il senso della ragione per cui si
fa questo lavoro» • «Il massimo dell’antipatia l’ho raccolto quando mi sono doppiata per Rain Man. Era pure un momento che avevo l’apparecchio per i denti, in aggiunta al fatto che ero quella che “era andata in America”» (da un’intervista di Paolo D’Agostini) • «Quando Hoffman la incontra in ascensore, le dice “io amico” recitando il ruolo dell’autistico, lei che invece non lo recita, sembra più credibile» (Pietrangelo Buttafuoco) • «La differenza si nota quando si lavora per gli Studios. In America ci sono due
tipi di film: quelli indipendenti, più piccoli, spontanei, che assomigliano ai nostri. Io però ho fatto anche sei film con gli Studios e lì ci si accorge della differenza di mezzi. Una troupe generalmente da noi è fatta di 30 persone, le troupe degli Studios sono di cento persone» (da un’intervista di Alain Elkann) • Sta con il collega Riccardo Scamarcio (ha avuto una lunga storia con Fabrizio
Bentivoglio).