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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BONAVENTURA

Luigi Crotone 12 ottobre 1971. ’ndranghetista pentito. Già reggente della cosca omonima, alleata alle famiglie Corigliano e Vrenna,
operanti nel territorio di Crotone • Alias Gnegnè • «Appartengo a questa cosca familiare dalla nascita, diciamo che già da ragazzo sono stato addestrato a fare parte di una metodica mafiosa, una
metodica ’ndranghetistica, non so come poter dire. Da qui mi viene insegnato a sparare già da giovane età, da 12 anni da 13 anni, da mio zio Gianni, da mio padre, da mio zio Mario
Bonaventura...» • Compare nelle pagine della cronaca nazionale dopo l’esecuzione di 39 fermi da parte della Dda di Catanzaro, il 7 aprile 2008,
consentiti dalla sua collaborazione, nel corso della quale dichiarò di essere «schifato da questa situazione, dove si arriva pure a minacciare bambini o mogli». L’operazione, chiamata “Eracles”, infatti, fu la risposta delle forze dell’ordine all’agguato contro Luca Megna, 37 anni (figlio del boss Domenico detto
Mico), che stava facendo manovra per uscire dal garage di casa, a bordo di una Fiat
Panda, con moglie e figlia di cinque anni a bordo, ed era stato bloccato da
alcuni killer che gli avevano addosso all’impazzata. Lui aveva tentato di investirli, ma era stato colpito a morte, mentre
erano rimaste ferite la moglie e la figlia, che colpita in testa rimase in coma
(in Papanice, Crotone, il 22 marzo, vigilia di Pasqua). Dopo Megna furono
uccisi Giuseppe Cavallo (22 marzo), e Francesco Capicchiano (27 marzo),
esponenti del clan Russelli (Russelli e Megna sono i due clan a cui si sono
affiliati molti esponenti fuoriusciti dal gruppo Bonaventura-Corigliano-Vrenna
in seguito a una spaccatura interna)
• I fermi non furono eseguiti per gli omicidi appena consumati, ma, dichiarò il procuratore capo di Catanzaro Salvatore Murone, «l’operazione è soggettivamente connessa ai delitti perché va a perseguire soggetti che non sono estranei a quel contesto» • Tra le persone arrestate un cugino, uno zio e suo padre: Luigi detto Babbà, Mario, e Salvatore Bonaventura, indicato nell’ordinanza di fermo come uno degli organizzatori del pizzo e «magazziniere» delle armi della cosca («arrivò a ipotizzare l’eliminazione del figlio qualora questi non avesse desistito dal proposito di
collaborare con la giustizia») • Dirigeva gli affari della famiglia col grado di «sgarrista», ma quando si accorse che qualcuno estorceva denaro in nome suo, e poi invece
se lo teneva, capì che lo stavano tradendo, e per paura di essere ammazzato (e di ritorsioni nei
confronti della sua famiglia), decise di collaborare.