Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DEL PIERO
Alessandro Conegliano (Treviso) 9 novembre 1974. Calciatore. Della Juventus e della
Nazionale. «Dopato, finito, rotto, omosessuale, cocco di mamma, traditore della patria… Ho dimenticato qualcosa? Niente. Un bel carico, eh, anche per uno che guadagna
miliardi» • «Il calcio non mi fa più sognare; a volte penso che nemmeno mi piaccia più. Però Del Piero mi fa sognare, e io sogno, e so che molti di quei sogni si
avvereranno, perché è un fuoriclasse, è un eroe» (Sandro Veronesi) • Campione del mondo nel 2006 in Germania. Riserva di lusso, messo in campo da
Lippi nell’ultima mezz’ora e non in tutte le partite, ha segnato il gol del 2 a 0 alla Germania (4
luglio 2006) e ha messo a segno impeccabilmente il suo rigore nella finale
contro la Francia (1-1 e poi 6-4, 9 luglio 2006) • Capocannoniere all time della Juventus (dal 10 gennaio 2006). Con la squadra bianconera ha vinto sette
scudetti (95, 97, 98, 02, 03, 05, 06, gli ultimi due revocati), una coppa
Italia (95), una Champions League (96, perdendo tre finali), una coppa
Intercontinentale (96, suo il gol decisivo nella sfida di Tokyo contro il River
Plate) ecc. Con la Nazionale è stato vicecampione d’Europa nel 2000 (è opinione comune che gli azzurri abbiano perso per due suoi errori sull’1-0, gol di Delvecchio, nella finale con la Francia). Nel 95, in Champions
League, fece una serie di gol con tiri a rientrare (Borussia Dortmund, Steaua
Bucarest, Rangers Glasgow), tanto che ancora oggi si parla di “gol alla Del Piero”. Sua migliore stagione il 97/98, quando fu capocannoniere della Champions
League (unico italiano riuscito nell’impresa): si infortunò però nella finale persa 1-0 ad Amsterdam contro il Real Madrid e arrivò al Mondiale fuori forma alimentando nell’opinione pubblica un dualismo con Roberto Baggio ripropostosi nel 2000 con
Francesco Totti. Un grave infortunio ad un ginocchio nel 98 (a Udine) lo ha
tenuto per un anno lontano dai campi di gioco e le difficoltà al rientro hanno a lungo fatto pensare che fosse “un giocatore finito”. Quarto nella classifica del Pallone d’oro 95 e 96, decimo nel 2002, 13° nel 2003, 16° nel 98, 19° nel 97, nomination anche nel 2001
• Figlio di Gino, operaio dell’Enel che gli mise l’impianto di illuminazione nel campetto dietro casa in cui giocava da bambino, e
della casalinga Bruna: «A 7 o 8 anni, quando gli amici venivano a chiamarlo, lo facevo scendere solo con
la promessa che avrebbe giocato in porta per non sudare troppo. Lui non lo
faceva. Mi misi il cuore in pace quando Stefano, suo fratello più grande, mi disse che il portiere non era proprio il ruolo più adatto a lui»
• Da bambino voleva fare il camionista («per poter viaggiare»), o il cuoco • «Arriva a Torino nel 93. Il direttore sportivo del Padova, Piero Aggradi, lo
consegna alla Juventus, “all’amico Boniperti”, per soli cinque miliardi di lire. E lancia la profezia: “è un mini Van Basten. è piccolo, ma somiglia all’olandese per genialità e agilità sotto porta”. Ruolo: punta esterna. Dove ha giocato: San Vendemiano e Padova. Tifa per:
Juventus. Si ispira a: Platini» (Germano Bovolenta) • «La coscienza di sé. Andava alle medie e diceva a sua madre: “Io sono un’aquila e volerò alto”. Ha indossato ali bianconere e non le ha tolte più. La sicurezza del talento. Aveva 10 anni e il poster di Platini sopra il letto.
Guardava le partite della Juve, poi prendeva una pallina da tennis, scendeva in
garage, diceva al suo pubblico improvvisato: “Adesso colpisco la presa della luce”. E lo faceva, al primo colpo. Poi, di giorno, dopo la scuola, scendeva in
strada e sfidava i più grandi, che con i coetanei non c’era gusto. Suo fratello maggiore Stefano: “Mi voleva sempre in squadra, una volta ha esagerato: io e lui contro 5. Abbiamo
perso di poco, ma che soddisfazione. L’ho sempre detto ai miei: Ale è un fenomeno, presto lo troviamo sui giornali”. Le scontate conseguenze. L’aquila Alessandro Del Piero da San Vendemiano vola al Padova e poi all’Under 21, non ancora diciottenne, e infine alla Juve. Consigliato da Causio,
soffiato da Boniperti al Milan con 5 miliardi ed esaltato da Trapattoni, a suo
modo: “Se chiudo gli occhi, mi sembra di rivedere Paolo Rossi”. Avendo gli occhi chiusi, non aveva visto benissimo. Altri paragoni, nel tempo,
si sono rivelati appena più vicini al vero: Platini, Baggio... ma i fuoriclasse assomigliano solo a se
stessi. Lui, bianconero a 18 anni e qualche mese, confessava la sua passione
sfrenata per Michel: “L’ho studiato in tutti i suoi movimenti. Un giorno lascerò la maglietta fuori dai pantaloncini e magari gli assomiglierò un po’”. Il 12 settembre 93 Alessandro Del Piero fa il suo esordio con la Juve a
Foggia: un quarto d’ora per Ravanelli. Tre giorni dopo, il piccolo genio mette il piedino in Europa:
giusto 60 secondi perditempo in Juve-Lokomotiv Mosca. Quattro giorni dopo,
contro la Reggiana dispone sempre di una manciata di minuti ma stavolta li
sfrutta: passaggio del suo amico del cuore dai tempi di Padova, Angelo Di
Livio, palla che rimbalza e tiro al volo di sinistro. Inizia così la sua serie di prodezze in bianconero, che così lunghe, nel calcio della rincorsa al soldo, pochi avrebbero pronosticato» (Fabio Bianchi)
• «è stato simbolo, idolo, mascotte, fumetto, uomo della provvidenza e, infine,
capitano. Lo hanno chiamato Alex, Pinturicchio, Godot, non è mai stato banale, nemmeno nelle storie ordinarie del pallone. Ha rapito l’amore ai potenti, ha stregato con il suo fascino molto discreto i tifosi “comuni”, quelli che intasano con le e-mail il sito personale. Talento e soldi, magìe e denaro: il mix è quello giusto perché all’alba del Terzo Millennio tutto ha un prezzo. Del Piero, per non sbagliare, con
una parte del ricco ingaggio si è addirittura comprato una collina a Conegliano: ci costruirà il suo maniero e diventerà un produttore vinicolo. Ad aiutarlo ci sono due fratelli italo-giapponesi,
Mario e Zenijro Miyakawa, capaci di completare l’opera di managerizzazione del fuoriclasse che c’è sempre stato in lui. L’Oriente, in fondo, è nel suo destino. Se in Giappone, nel novembre 96, ha raggiunto l’azimut della carriera nella finale Intercontinentale, sempre a novembre, ma due
anni dopo, ha toccato il fondo a Udine, nello schianto con Marco Zanchi. Il
ginocchio “svitato”, l’operazione negli Stati Uniti, in Colorado, dal professor Steadmann (perché mica poteva essere uguale agli altri pure nel dolore), la lenta ripresa, la
paura di non tornare un campione, il riscatto, i gol» (Gino Minguzzi)
• «Il calciatore, il fenomeno del pallone, è rimasto lì sul prato di Udine, quella domenica del novembre 98, quando gli esplode il
ginocchio in un contrasto. Nove mesi di stop, carriera a rischio. A seguire, il
pellegrinaggio a Veil, l’intervento chirurgico, la rieducazione. Anche allora Del Piero non si lascia
andare, mai un attimo di sconforto, mai una volta che maledica l’avversario o il destino cinico e baro. Il suo è un talento naturale. Un istinto infallibile a mettere in freezer tutto ciò che gli capita con la pretesa di turbarlo. L’infortunio è la svolta. Il Pinturicchio restaurato non tornerà mai più quello di prima. Sì, qualche lampo, qualche tacco, una giocata delle sue, ma dentro troppi passaggi
a vuoto, le delusioni in Nazionale, le polemiche, gli allenatori sempre più scettici, i processi sui giornali e in televisione. Invece di scivolare nel
cono d’ombra, il suo personaggio si moltiplica, diventa come Lady D, un virus
mediatico, un pensiero parassitario, gli nascono le stimmate. Di lui si parla e
si titola comunque. Che dialoghi con i passeri, che giochi da schifo o da dio.
Le mutande da calciatore restano per il principino un inconveniente da
indossare una volta la settimana, con la necessaria noncuranza. Piace alle
mamme, ai bambini, ai preti. Il cardinale Ersilio Tonini esterna tutto il suo
dispiacere quando Capello lo “umilia” in panchina contro il Brescia. I tifosi fanno di più, insultano l’allenatore che li fa vincere e urlano in coro al loro Alex umiliato: “Sei la cosa più bella che c’è”. Le sue apparizioni televisive garantiscono due, tre punti di share in più. Pretende e riceve 10 mila euro per un’ospitata, il doppio dei suoi colleghi più famosi. Più corteggiato di Totti, di Zidane e di Vieri messi insieme, che pure continuano a
fare i fenomeni la domenica. Popolare come lui in Italia e nel mondo solo
Valentino Rossi. Alex non sbaglia una mossa, non sbaglia una scarpa, la
citazione di uno sponsor. Mai una polemica, una parola fuori posto. Incassa
pernacchi, striscioni grevi e barzellette salaci (”La nuova Fiat? Si chiamerà Del Piero, per via del cambio automatico”). La Bild scrive che è un ex giocatore? Lui li ignora. Non esulta troppo e non si lamenta mai.
Lucidissimo sempre. A
Controcampo va come ospite una volta l’anno, ma a fine stagione, così li tiene al gancio ed è sicuro che non ne parlino male. Nella mutazione da calciatore a fenomeno
mediatico la prima cosa che fa è cambiare manager. Si libera di Carlo Pasqualin e di Andrea D’Amico, di cui era stato il testimone di nozze, per affidarsi a due fratelli
giapponesi che gli ha presentato Jean Alesi. Mario e Zenjro Miyakawa, due ninja
da combattimento, completano l’opera. Tra Italia e Giappone Del Piero diventa un ologramma, l’immagine sostituisce il calciatore, anche quando si cala nelle mischie brutali
del pallone» (Giancarlo Dotto)
• «Arrivò bambino dal Padova, dove aveva esordito in serie B. La gente immaginava di
veder crescere con lui un fuoriclasse immenso come Maradona, mentre appartiene
a una categoria meno raffinata, i campioni che quando sono al 100 per cento
inventano cose che non riescono a tutti, altrimenti faticano a brillare. Lo
hanno fregato gli inizi. Non segnava moltissimo ma i gol erano capolavori degni
di Raffaello più che del Pinturicchio, cui lo accostò l’avvocato Agnelli. Quel tocco al volo per battere la Fiorentina in una storica
rimonta nell’inverno del 94. La rete storica di Tokyo per l’Intercontinentale contro il River Plate. “Se fa queste cose a vent’anni, che gli vedremo fare a 25?” ci chiedevamo. Prima che arrivasse a quella età lo bloccò l’infortunio, a Udine. Un giorno ne parlammo con un chirurgo. “Non lo scriva ma non sarà mai più lo stesso, è già molto se tornerà a correre senza zoppicare”. Si sbagliò. è tornato a giocare con sprazzi dei vecchi tempi. Pretendono una continuità di mirabilie, lo confrontano con l’attaccante che segnò 21 gol nel 97/98, senza interrogarsi se l’anomalia non fosse in quel campionato, perché prima non aveva toccato i dieci gol. L’attesa è rimasta quella di quando l’Avvocato disse che era come aspettare Godot e Umberto Agnelli lo definì “cocco di mamma”» (Roberto Beccantini)
• «Uno che doveva fare miracoli e invece è rimasto impigliato con i piedi e con la testa in una magia sempre più impossibile mentre tutti già gli gridavano impostore, ridacci il mago vero. Quelli del Toro in un derby lo
offesero anche sul piano sessuale con la scritta “Del Piero, studente Cupio”. Ma insomma ci sono quelli destinati alle curve e alle buche. Magari se segni
21 gol in campionato vinci la classifica marcatori, macché, nel 98 lo fregò Bierhoff allora all’Udinese con 27. Magari se in un Mondiale vai a fondo, Francia 98, ti rifai poi
con la tua squadra, macché ad ottobre con la Juve si fermò per il grave incidente al ginocchio. Magari se sei uno a cui quasi tutto va
male alla gente riesci simpatico, macché Del Piero è l’unico giocatore che pur non avendo mai alzato la voce contro nessuno, è osteggiato, maltrattato, odiato. Perfino l’avvocato Agnelli si è rivolto a lui come ad un operaio svogliato: “Bisogna che si svegli”. Altro che Pinturicchio del calcio, piuttosto Cipputi del gol. Quando si era
bloccato in campionato, quando gli era venuta per due anni l’allergia al gol e tutti dicevano che era finito, al massimo poteva diventare un
grandissimo fornitore di assist, se ne uscì fuori con un gol di testa al Parma. E il 18 febbraio 2001 a Bari, gli era
appena morto il padre, di tumore, dopo una lunga malattia, lui fece una corsa
lunga e rabbiosa, piena di pianto, quasi da invasato. è stata l’unica volta che ha fatto uscire un po’ di dolore. Forse è questo il suo problema, lui non suda, trattiene. Calpestatelo pure nell’anima. Vi risponderà che preferisce “stare solo”. E che la sua rinascita interiore è cominciata proprio dopo gli Europei del 2000, quando si mangiò due gol in finale. “Ci rimasi molto male e mi assunsi la responsabilità di quella disfatta. E lì che ho cominciato a pensare che dovevo concentrarmi più sulla Nazionale e riuscire a riprendermi quello che avevo perduto”. Non si ricordano sue reazione bestiali. Bottiglie scagliate? Sedie rotte? Lui è così, gentile e civile» (Emanuela Audisio)
• «Ci sono stati equivoci importanti nella sua carriera. Il primo è che fosse un grande fantasista. Erano i tempi di Maradona, sembrava non si
potesse fare a meno di un giocatore così e lo si vedeva dietro ogni talento. Il secondo equivoco netto è stato fosse un trequartista. Aveva il dieci, che è un numero talmente magico per noi da rasentare lo stupido, e con il dieci
poteva stare dietro le due punte. Una piccola maledizione che ha colpito tutti
i grandi di questo ruolo, da Mancini a Baggio, una vecchia fissazione italiana.
Siamo così poco abituati all’idea di attaccare, che per noi i più bravi è meglio giochino lontano dall’area di rigore. In realtà non è mai stato né questo né quello, né Maradona né Zidane, tanto per riassumere. è stato e resta una straordinaria seconda punta, un attaccante di fantasia, non
un fantasista. In quel ruolo ha aperto forse una strada. Non solo agile, non
solo rapido, ma anche di buon fisico e piedi eccezionali. Un attaccante
diverso, in anticipo sui tempi, un po’ atleta e un po’ prestigiatore. Ci sono stati in questi anni giocatori più straripanti di lui, per esempio Signori, a tratti Vialli, lo stesso Nedved, ma
Del Piero è stato un giocatore realmente diverso, con un suo carisma placido, una sua
interpretazione della vita che metteva insieme epoche profondamente diverse
della nostra storia sportiva, quelle del matrimonio immediato, della famiglia
giovane e forte, con quella del giocatore single, mondano e nuovo sogno erotico
italiano. Il terzo equivoco è che fosse un leader. è un errore frequente. Si pensa che la leadership sia direttamente proporzionale
al talento. Così si diceva per esempio che Franco Baresi guidava lo spogliatoio del Milan. Non
era vero, Baresi non parlava mai negli spogliatoi. Né sono stati leader Rivera o Baggio. Spesso il ragazzo di talento pensa molto a
se stesso, non ha visione d’insieme. C’è chi dice che in questi casi l’egoismo sia addirittura un pregio. Comunque Del Piero non è un leader, è un esempio, è come vorremmo fosse il fidanzato di nostra figlia, è quello che non sa gestire la pace della squadra, ma va comunque a portarla. L’ultimo equivoco è il più serio, direi il più grave e ha investito molta gente di religione diversa dal delpierismo, e cioè che fosse un giocatore ormai più ingombrante che utile, più dannoso che necessario. Aveva avuto uno di quegli infortuni che funzionano da
spartiacque, tardava a riprendersi, era ingrossato e appesantito, non saltava
più l’uomo, sembrava onestamente sproporzionato al suo ingaggio e alla sua squadra.
Invece stava soltanto cambiando pelle per l’ultima volta, stava girando intorno alla sua modernità. L’ultimo Del Piero è un grande attaccante compiuto» (Mario Sconcerti)
• Secondo il Foglio politicamente è «un Dc veneto doc», «tendenza Casini» • è sposato con Sonia Amoruso • Successo dello spot per un’acqua minerale in cui compare insieme alla miss Italia Cristina Chiabotto e a un
uccellino.