Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FIASCONARO

Marcello Città del Capo (Sudafrica) 19 luglio 1949. Ex mezzofondista. Medaglia d’argento nei 400 agli Europei 71. Il 27 giugno 73 a Milano stabilì il record del mondo degli 800, 1’43’’7, tuttora record italiano: «Io ogni anno aspetto che battano il mio primato» • «Impazzii, di fatica. Non c’erano lepri allora, non c’era chi faceva il ritmo. Feci tutto io: la lepre e il record del mondo. Partii
fortissimo, al primo giro. Avevo un mal di testa da spararsi. Il mio avversario
era il ceko Josef Plachy, uno tosto. Mi guardavo indietro e lui era sempre lì, alle spalle. Un’ombra che non riuscivo a scrollarmi: era lì ai 400, era lì ai 600. Io andavo come un matto, ma lui stava incollato. Già mi vedevo perso, quando Plachy finalmente scoppiò, a 120 metri dal traguardo. Arrivai primo, anche nel mondo, ma non avevo le
forze per capire. Cercavo solo un secchio per vomitare. A ripensarci, meglio
così: i record vanno fatti con incoscienza, senza sapere. Anche se con Vittori avevo
lavorato molto per quel risultato. La tattica però era semplice, andare come un razzo dall’inizio, scappare. Non ho mai fatto calcoli in gara. Sapevo di dover morire,
avevo una falcata ampia, dovevo solo cercare di svenire dopo il traguardo e non
prima» • «Ho avuto molti guai fisici ai piedi. Non sai correre, mi dicevano all’inizio. Dovevo per forza sviluppare velocità, non potevo mantenere marce basse. Le punte delle dita battevano di testa, ero
facile alle fratture. E così dopo il mio record all’Arena nel 73 invece di decollare, mi sono dovuto fermare. Avevo perso i Giochi
di Monaco nel 72, persi anche agli Europei a Roma, non ero in grado di
gareggiare. In semifinale di Coppa Europa a Oslo invece mi fermò un giudice per due partenze false. Aveva un fucile a canne mozze, io ero
primatista mondiale e al massimo della forma, lui non all’altezza di una gara così importante. Come certi arbitri che ci tengono a mettersi subito al di sopra dei
giocatori. Mi dispiace ancora per il pubblico e per la brutta figura. Ricordo
ancora l’imbarazzo che provai quando mi cacciò. Io all’Italia ci ho sempre tenuto. Come alle mie origini. Mio padre, di professione
sarto, era siciliano, di Castelbuono, un paese vicino Palermo. Aveva conosciuto
mia madre a Durban, da prigioniero in Africa» (da un’intervista di Emanuela Audisio).