Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
ANDREOTTI
Giulio Roma 14 gennaio 1919. Politico. «È meglio tirare a campare che tirare le cuoia».
VITA PUBBLICA Sette volte presidente del Consiglio. De Gasperi lo conobbe nella Biblioteca
Vaticana, che Andreotti frequentava per preparare la tesi di laurea. Era il
1941 e De Gasperi lo coinvolse nella fondazione della Dc (Milano, 1942). Nel
1942, su indicazione di Giovan Battista Montini, sostituisce Moro, partito per
il servizio militare, alla presidenza della Fuci (Andreotti era stato riformato
alla visita di leva). Nel 1946 È eletto alla Costituente. Nel 1948 È eletto deputato per la Dc: non lascerà più la Camera fino al 1991, anno in cui Cossiga lo nomina senatore a vita
• Dal 1947 al 1953 (governi De Gasperi e Pella) È sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega allo sport e allo
spettacolo. Vara la legge blocca-fondi, che costringe i produttori dei film
stranieri a investire in Italia gli incassi fatti nei nostri cinema;
nazionalizza il concorso del Totocalcio, inventato dal giornalista Massimo
Della Pergola (11 luglio 1912-12 marzo 2006), e nel 1953, essendo stata l’Italia battuta dall’Ungheria per 3 a 0 nel match inaugurale dello stadio Olimpico (17 maggio), vara
il cosiddetto “veto Andreotti”, che impedisce agli stranieri di giocare in Italia a meno che non siano
oriundi. Come capo della censura, a parte l’infelice battuta contro il film
Umberto D di Vittorio De Sica («I panni sporchi si lavano in casa»), dà prova di notevole finezza intellettuale: difende Ladri di biciclette da certe associazioni americane che ne volevano vietare la distribuzione
(sostiene che È un capolavoro, ammonisce maliziosamente che «ogni divieto viene sfruttato dalle opposizioni a scopo propagandistico contro
gli Stati Uniti»), passa per troppo aperto davanti a Scelba che attacca il film Persiane chiuse (del 1951: riguarda le case di tolleranza), mentre corregge il film La tratta delle bianche ammette «che può essere educativo», fissa, a margine dei tagli previsti per I pompieri di Viggiù le regole del bikini: («La misura del costume da bagno deve essere di 30 centimetri») • L’8 gennaio 1954, I governo Fanfani, È nominato ministro per la prima volta, agli Interni. È di nuovo ministro, alle Finanze, il 6 luglio 1955 nel I governo Segni, e poi
ministro ininterrottamente fino al 19 novembre 1968 (Finanze, Tesoro, poi
Difesa fino al 21 gennaio 1966 e infine Industria e commercio nel III gabinetto
Moro e nel II Leone). In questo periodo si pongono le basi del suo potere: un
collegio elettorale inespugnabile - la Ciociaria -, una corrente piccola, «legata a lui da vincoli personali, una sorta di caravella senza legami e
ancoraggi ideologici, capace di spostarsi dall’uno all’altro capo dello schieramento politico in meno di ventiquattr’ore seguendo le istruzioni del suo capitano» (Scalfari), la messa pienamente in funzione di una straordinaria segreteria
addetta alle raccomandazioni (Martini: «C’È tutta una casistica dell’industria andreottiana della raccomandazione: secondo alcuni se in calce alla
segnalazione la firma di Andreotti appariva ben spostata sulla destra
significava che il soggetto in questione doveva essere oggetto di tutte le
attenzioni»). Avversa inizialmente Fanfani e il centrosinistra, si tiene poi alla larga dai
governi Rumor di fine anni Sessanta. Infine, il 18 febbraio 1972, Leone lo
incarica di formare il suo primo governo
• Si trattava di un monocolore dc, che i liberali dovevano sostenere dall’esterno. Ma non ottiene la fiducia e dopo soli otto giorni Andreotti prepara il
suo secondo governo, un centrodestra con liberali e socialdemocratici che segna
la fine della lunga fase di collaborazione con i socialisti dei governi
presieduti da Fanfani e Moro negli anni Sessanta. Resta in carica dal 26
febbraio 1972 al 12 giugno 1973, poi fa il ministro della Difesa nel V governo
Rumor (14 marzo - 3 ottobre 1974), e del Bilancio (col Mezzogiorno) nel IV e V
governo Moro (23 novembre 1974 - 29 luglio 1976). Nel frattempo, l’inflazione È arrivata al 17 per cento, le Brigate rosse e le altre formazioni terroristiche
insanguinano il Paese, il referendum per l’abolizione del divorzio, che vede insieme sul palco contro la Dc i dirigenti di
tutti gli altri partiti antifascisti, viene respinto (1974), i comunisti
ottengono 12 milioni di voti alle amministrative del 1975 (33,4%, +5,6 rispetto
alle elezioni precedenti) e alle politiche del 1976 (34,4%, +7%). Si stavano
cioÈ preparando le condizioni generali che dovevano portare al “compromesso storico”, l’alleanza cioÈ tra democristiani e comunisti. Il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, aveva
scritto nel 1973 tre articoli sulla rivista Rinascita in cui teorizzava l’incontro - già preconizzato da Gramsci - tra le masse cattoliche e quelle comuniste. Aldo
Moro, presidente della Dc, aveva spiegato al consiglio nazionale democristiano
del 20 luglio 1975 (dopo le amministrative) che il Partito comunista «anima la nuova lotta per i diritti civili e postula una partecipazione veramente
nuova alla vita sociale e politica. È un fenomeno che può essere anche, per certi aspetti, allarmante, ma È senza dubbio vitale e ha per sé l’avvenire». Anche le basi teoriche dell’alleanza erano quindi gettate. Per tener buoni gli americani, che non volevano
nessuna apertura ai comunisti e avevano messo microspie nella casa del
portavoce di Berlinguer, Tonino Tatò, - dove si svolgevano le trattative - l’incarico di formare il governo venne affidato a Andreotti: di Moro la Casa
Bianca non si fidava
• Il primo governo dell’alleanza fu un monocolore dc, che si reggeva grazie all’astensione di Pli, Pri, Psi e Psdi e alla “non sfiducia” (equivalente all’astensione) del Pci. È interessante ricordare che Andreotti tenne fino all’ultimo momento segreti i nomi dei ministri e che poi i comunisti giudicarono l’esecutivo - dal punto di vista delle persone - “mediocre”. Ciononostante, “non sfiduciarono”. E d’altra parte il vero passo avanti (il secondo, in attesa di chiamare dei
comunisti a fare i ministri) doveva ancora compiersi: un governo con il voto
favorevole del Pci. Ci si arrivò dopo trattative serratissime. Ma di nuovo Andreotti tenne nascosta fino all’ultima la lista. Che, resa nota ventiquattr’ore prima del voto di fiducia, si rivelò identica al 99 per cento a quella precedente. Non ci fu però tempo né di ridere né di far polemiche: la stessa mattina in cui Andreotti presentava il nuovo
esecutivo alla Camera - 16 marzo 1978 - le Br rapirono Moro in via Fani,
uccidendo i cinque uomini della sua scorta
• Il presidente della Dc fu tenuto in ostaggio per 55 giorni e il 9 maggio il suo
cadavere venne fatto trovare, crivellato di colpi, in una Renault rossa
parcheggiata in via Caetani, a mezza strada tra la sede democristiana di piazza
del Gesù e quella comunista di via delle Botteghe Oscure. Una settimana dopo il Senato
varò definitivamente la legge 194, che rendeva legale l’aborto e che Andreotti avrebbe voluto non firmare: la firmò invece solo per non compromettere una situazione politica delicatissima (se ne
rammaricava ancora nel 2000: «Fu uno dei momenti più tormentati della mia vita, la mia giornata più nera»; e nel 2003: «che Dio mi perdoni»). Di quegli anni anche l’infatuazione per Michele Sindona, chiamato «salvatore della lira» e visto come possibile creatore di un polo cattolico della finanza da
contrapporre al polo laico (massonico?) della Mediobanca di Enrico Cuccia. È di questo periodo l’attività ricattatoria di Mino Pecorelli, direttore del settimanale OP, a stretto
contatto con i servizi, che imputava a Andreotti di aver preso soldi da Sindona
e, soprattutto, lo accusava di aver tenuto bordone ai cinquecento che avevano
esportato valuta attraverso la Finabank dello stesso Sindona. Pecorelli venne
ammazzato a Roma, in un agguato, il 21 marzo 1979. Dieci giorni dopo, il 31
marzo 1979, finì l’esperienza di solidarietà nazionale
• Andreotti passò un lungo periodo appartato alla presidenza della commissione Esteri della
Camera. Divenne poi ministro degli Esteri il 4 agosto 1983, tenendo la carica
fino al 22 luglio 1989 (governi Craxi I e II, Fanfani VI, Goria e De Mita).
Craxi lo detestava e lo chiamava Belzebù. Andreotti: «La fama luciferina non mi pesa. In politica, È sempre meglio essere attaccati, anche pesantemente, che ignorati». Craxi: «Andreotti È una volpe, ma presto o tardi tutte le volpi finiscono in pellicceria». In questo periodo rifulge la sua irremovibile posizione filoaraba: «Se fossi nato in un campo profughi del Libano, forse sarei diventato anch’io un terrorista»; «Ogni volta che ho incontrato Arafat era accompagnato da una persona diversa,
perché l’altra era stata uccisa»; «Non dobbiamo dimenticare che viviamo nel Mediterraneo. Vivere nel Mediterraneo
vuol dire avere molti arabi come nostri vicini di casa. E dunque dobbiamo
ricordarci che È importante difendere lo Stato di Israele ma non certo dimenticare che con i
vicini di casa i rapporti sono molto importanti» (dichiarazione del 2005). Nel 1982 avvia il disgelo occidentale con Arafat
invitandolo a Roma, alla Conferenza dell’Unione Interparlamentare («Quella volta, da Montecitorio, Arafat lanciò i primi segnali di pace»). Difese Gheddafi davanti a Reagan e a Shultz al tempo dell’attentato di Lockerbie (volo 103 della Pan Am esploso per un attentato sul cielo
di Lockerbie, in Scozia: 270 morti di 21 paesi, il più grave atto terroristico prima dell’11/9), si adoperò poi per il riavvicinamento tra Usa e Libia che portò alla riapertura dell’ambasciata americana di Tripoli
• Dal 22 luglio 1989 al 24 aprile 1992 torna a fare il presidente del Consiglio,
prima in un governo pentapartito e poi in uno senza repubblicani. In questo
periodo firma il trattato di Maastricht, che impegna l’Italia a entrare in Europa, e induce il presidente dell’Iri, Romano Prodi, a vendere il Banco di Santo Spirito alla Cassa di Risparmio
di Roma: quell’aggregazione, capitanata da Cesare Geronzi, costituisce il primo nucleo del polo
cattolico della finanza che s’incarnerà più tardi in Capitalia (e, politicamente, nella nomina di Antonio Fazio a
governatore della Banca d’Italia). La nomina di Bruno Pazzi a presidente della Consob (1990) testimonia
tuttavia il disprezzo del vecchio democristiano statalista per i mercati: «Bruno Pazzi fino a quel momento aveva diretto solo il pur famoso cine-teatro
Brancaccio di Roma» (Ceccarelli). Pazzi fu poi arrestato e condannato per fatti connessi a
Tangentopoli. Assolutamente contrario all’unificazione tedesca (3 ottobre 1990). Ancora nel 2001 ribadì: «Amo la Germania, per questo vorrei averne sempre due» (Pieroni)
• Nel 1991 Cossiga lo nomina senatore e vita. Nel 1992 l’improvviso voltafaccia di Bossi gli fa mancare i voti per diventare presidente
della Repubblica. Nel 1993 la Procura di Palermo, diretta da Giancarlo Caselli,
gli recapita un avviso di garanzia per concorso in associazione mafiosa.
Andreotti rinuncia all’immunità parlamentare e sceglie come difensore una giovane donna siciliana, Giulia
Bongiorno. Assolto in primo grado, condannato in secondo, assolto
definitivamente dalla Cassazione (2003). Il processo dura 11 anni e 268
udienze, vengono ascoltati 362 testimoni e 37 pentiti. Le motivazioni occupano
4000 pagine. Tutto il dibattimento costa 87 miliardi di lire. Assolto, dal
tribunale di Perugia, anche dall’accusa di essere il mandante del delitto Pecorelli. La rivelazione
mediaticamente più clamorosa (anche se non suffragata dai riscontri) È del pentito Balduccio Di Maggio (17 omicidi, compensato con un miliardo e mezzo
di lire per le rivelazioni che portano all’arresto di Totò Riina): l’intimità tra Andreotti e i capi della mafia È a suo dire dimostrata dal fatto che un certo giorno, nell’attico palermitano di Ignazio Salvo, Andreotti e Totò Riina si sono baciati, come usa tra padrini. Enzo Biagi: «Andreotti, per non compromettersi, non ha mai baciato neppure la moglie»
• Alle ultime elezioni (politiche del 9-10 aprile 2006) ha votato per An alla
Camera (in appoggio a Giulia Bongiorno, eletta) e per Dc-Nuovo Psi al Senato
(stima nei confronti del comico del Bagaglino Pippo Franco, non eletto). È sostenitore convinto della necessità di trattare col governo di Hamas. Avversario di Berlusconi, che però non ha mai attaccato e di cui anzi ha lodato la fierezza. Dopo la vittoria
risicata del centrosinistra, s’era detto disponibile a votare il governo Prodi. È stato candidato dal centrodestra per la presidenza del Senato (battuto da
Franco Marini)
• Autore, nel 1950, della circolare con cui si stabilisce l’ordine di precedenza delle varie cariche dello Stato anche in presenza di
visitatori stranieri (ispirata dagli appunti scritti quattro anni prima dal
presidente Enrico De Nicola su grossi quaderni neri). Nel 1977, per rilanciare
l’economia, ha abolito un gruppo di festività, e tra queste quella della Befana.
VITA PRIVATA Infanzia a Roma, in piazza Firenze, vicino alla trattoria Dalla Sora Emma, dove
andavano a mangiare i calciatori della Roma. Ultimo di tre figli, una sorella
morta di meningite a 18 anni, casalinga la madre (Rosa Falasca, scomparsa nel
1976), maestro elementare il padre, Filippo, morto quando Andreotti aveva due
anni: «Era tornato malato dal servizio di guerra e non ce la fece. L’incubo che avevamo io e mio fatello era quello di morire a 33 anni. A quell’età se n’erano andati sia mio padre, sia il padre di mio padre. Fino a che non abbiamo
superato quella soglia abbiamo avuto paura». Scuole elementari con la maestra Orsola Bruscani, liceo al Tasso, dove i figli
del Duce - Bruno e Vittorio - «ci fecero conoscere la libertà: tutto era permesso a tutti, perché tutto era permesso a loro» (di quell’epoca Andreotti ricorda anche le gambe di Mary, la sorella di Vittorio Gassman).
Nel 1937 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, aderisce subito alla Federazione degli universitari
cattolici, e si mette a lavorare come avventizio dell’ufficio imposte, addetto all’imposta sui celibi
• Sposato con Livia Danese dal 1945. Quattro figli. Non ricorda di aver mai
baciato i suoi figli e raramente ha posato le labbra sulla moglie Livia, «una donna pazientissima» che ha fatto anche da padre ai loro figli perché lui li ha visti pochissimo, tranne quando da piccoli li accompagnava la mattina
a scuola. «Livia non si È impicciata di politica... Quando ero ministro degli Esteri ed era costretta a
seguirmi in qualche viaggio non era affatto contenta. In casa il bastone di
comando lo tiene lei, anche per mia vigliaccheria. Non ho mai sgridato un
figlio perché non potevo permettermi di essere, oltre che assente, anche cattivo». Soprannominata “la marescialla”, la signora Livia tiene tutta la famiglia sull’attenti: «Mi rimprovera di non averla mai fatta ballare, le rispondo che non l’ho mai tenuta incatenata a casa. Sulla faccenda dei pasti, da quando non faccio
politica, È diventata piuttosto drastica. Pretende che alle 13 e alle 20 in punto io sia a
casa, e sono tenuto a rispettare queste regole. È lei che le detta, decide anche quando È il momento di smettere di giocare a gin, come facciamo spesso i pomeriggi
domenicali». La signora Livia, che impone al marito anche il modo di vestirsi, ogni mattina
gli fa trovare gli abiti nello spogliatoio: «Non l’ho mai contraddetta sulla scelta di una cravatta: poteva sembrare una critica.
In un catalogo dell’artista Antonio Fiore, ho visto un gilet futurista che non mi dispiacerebbe
affatto, ma bisogna vedere cosa ne dice Livia»
• Colleziona campane e francobolli. Dice di aver dovuto vendere la collezione di
francobolli per pagare gli avvocati. È comunque esperto di filatelia, specializzato in emissioni del Vaticano da Porta
Pia in poi • Soffre di mal di testa, È socio onorario dell’Accademia Romana del Mal di testa. Dice che il mal di testa gli viene dalla
madre e dalla madre della madre. Soffre di mal di schiena, che cura con
massaggi shiatzu • Antipatia per il mare, anche se adesso va in vacanza al Circeo. Per tutta la
vita ha passato l’estate a Cortina • Molto mattiniero, sveglio sempre alle 6-6.30 e spesso anche alle 5 («Dossetti alle 3 e un quarto: ma lui era un santo») • Ha interpretato se stesso nel film Il tassinaro di Alberto Sordi e in tre spot tv, uno per la Diners, uno per il Consorzio del
Gorgonzola e l’ultimo per la compagnia telefonica 3, con Valeria Marini. Clamoroso quello del
Consorzio del Gorgonzola, andato in onda durante il processo per mafia: vi si
vedeva Andreotti che, con molto gusto, ficcava furtivamente il dito nel
formaggio • È il più ricco dei senatori a vita: 398.978 euro di reddito l’anno.
SCRITTORE Scrittore di successo, specialmente con la serie dei Visti da vicino (tre volumi, 23 edizioni, 300 mila copie) • Però il giornalista Filippo Ceccarelli lo beccò nel 1996 a proposito del saggio Cosa loro: metà era stata copiata dal precedente Governare con la crisi. Stile di pacata ricercatezza, per molti anni ha tenuto una rubrica sull’Europeo. Apprezzato dai più, stroncato però da Beniamino Placido • Scrive la mattina o in viaggio, poi la sua segretaria signora Enea (famosissima
tra gli addetti ai lavori per la sua fedeltà, assunta subito dopo la guerra tra il personale del Minculpop) ricopia • Fu visto scrivere in tribunale durante la testimonianza del mafioso Brusca e
spiegò che stava preparando un racconto per pagarsi le spese del processo • Ha definito “piacevolissimi” i diritti d’autore.
FRASI Gli sono attribuite le battute: «Il potere logora chi non ce l’ha» e «A pensar male si fa peccato ma si indovina» • «La storia È una cosa seria. Io appartengo alla cronaca» • Montanelli: «Una volta scrissi di lui che i primi scatti di grado se li guadagnò accompagnando ogni mattina De Gasperi in chiesa, dove sedevano sullo stesso
banco, ma non per fare la stessa cosa: mentre De Gasperi parlava con Dio,
Andreotti parlava col prete. Mi hanno detto che, leggendo queste malignette
parole, Andreotti commentò. “Sì, però a me il prete rispondeva”» • «Ma che fa? Le contravvenzioni?» (a Giampaolo Pansa che prendeva appunti stando in piedi davanti alla sede della
Dc in piazza del Gesù) • «Lo dicevo io che bisognava fare l’euro di carta...» (quando l’arbitro Frisk fu colpito da una monetina all’Olimpico) • «A Roma c’È la Bocca della Verità. Io la mano non ce l’ho messa mai!» • «A proposito di bugie, mi viene in mente una frase spiritosa di Mario Melloni
(Fortebraccio) su un presidente del Consiglio: “Diventava rosso quando diceva la verità”» • «La trippa al sugo È di destra» • «Della famiglia Rutelli apprezzo in particolare la moglie Barbara» • «Una o due donne avrebbero dato un colorito di vera novità democratica al ministero ma sei donne avrebbero rappresentato una spinta decisa
verso il matriarcato», ecc. Ha ribattezzato «cazzarolette» le foglie di fico con cui i dc hanno voluto coprire «i maschioni di marmo del Foro Italico» (Ceccarelli).
CRITICA «Andreotti È una persona seria» (Fortebraccio, corsivista dell’Unità, nel 1976) • «La Dc ha avuto due soli statisti: De Gasperi e Andreotti» (Cossiga, 2005) • Gli «manca quell’insieme di bontà, saggezza, flessibilità, limpidità che fanno, senza riserve, i pochi democratici cristiani che ci sono al mondo» (Moro, nel memoriale scritto durante la prigionia) • «Gran maestro di scacchi, dall’aspetto ingobbito, da barbagianni, e le orecchie aguzze che facevano la gioia
dei vignettisti» (Gardner, ambasciatore Usa) • «Oltre alla giovinezza a fianco di De Gasperi, È da ricordare la sua maturità come capo corrente “nel centro del centro” e come uomo- ponte verso il mondo cattolico. Si È fatto portatore di interessi statuali pur conservando un’anima interamente guelfa» (Rumi) • «Poiché il potere corrompe sempre almeno un poco, un potere di lunga durata corrompe di
più. In maggior misura in un paese dove il crimine organizzato ha forte peso, come
la mafia in Italia. Da qui i lati oscuri della sua storia politica con decine
di richieste di autorizzazione a procedere, sempre respinte dalle Camere quando
egli era intoccabile e inossidabile» (Galli) • «Il pubblico ministero ha formulato la sua ipotesi [...], la difesa ha obiettato
e dimostrato che non c’era una prova [...] Cancellata una responsabilità penale, il senatore ha diritto di tirare un sospiro di sollievo. Ma noi tutti
davvero possiamo tirarlo con lui fino a dirci contenti? [...] Quando, al di là delle responsabilità penali, si potrà finalmente discutere pubblicamente sulle responsabilità politiche di Andreotti? O l’opacità dei suoi comportamenti e relazioni sarà cancellata da questa sentenza di assoluzione?» (D’Avanzo)
• «Andreotti È sempre stato il tarlo che ha minato la stabilità delle istituzioni, uno stridìo di uomini e di ideali apparentemente inconciliabili, un pascolo immenso che
oggi si rivela più longevo e più solido della grande Dc, del grande Pci, della cosiddetta Prima Repubblica, di
Tangentopoli e dell’epoca dei grandi processi della Storia. L’andreottismo È un’umanità bonaria e cinica che di nuovo mostra la sua durezza, la sua forza, la sua
eternità di foresta» (Francesco Merlo, il 25 aprile 2006, dopo che il centrodestra lo aveva
candidato al Senato)
• «Sembrava avesse una reale avversione per i princìpi, anzi la profonda convinzione che un uomo di princìpi fosse condannato a essere ridicolo. Vedeva la politica come un generale del
XVIII secolo vedeva la guerra: un vasto e complesso scenario di manovre di
parata per eserciti che non si sarebbero mai veramente impegnati in
combattimento, ma avrebbero invece dichiarato vittoria, capitolazione o
compromesso a seconda di ciò che dettava loro la forza apparente. Per poi collaborare nel vero e proprio
affare di dividersi le spoglie» (Margaret Thatcher).
VIZI Andreotti ammette che le donne gli piacciono parecchio («l’importante È non esagerare») e tra le attrici predilige Maria Grazia Cucinotta («l’ho conosciuta a un matrimonio, direi che si presenta assai bene») (Pardo) • In passato manifestò ammirazione per la Pampanini, portata anche a Sora, nel 1953, per un comizio • Passione per i cavalli, per il gin runny, per il gelato di riso. Colleziona
campane.
TIFO Romanista da quando aveva otto anni e i calciatori della Roma, dopo aver
mangiato dalla sora Emma, davano quattro calci con i ragazzini del quartiere
(tra cui Andreotti) • Telefonò alla mamma di Falcao raccomandandosi che il figlio accettasse di venire a
giocare alla Roma. Non esitò ad assicurare la signora e il procuratore del calciatore - «un tizio che aveva un nome straordinario, Cristoforo Colombo» - che anche il pontefice s’aspettava quella firma.