Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
GUARINI
Ruggero Napoli 10 gennaio 1931. Scrittore. Giornalista. Tra i suoi libri i romanzi Parodia (1973), Yao (1995), il pamphlet Compagni ancora uno sforzo, dimenticare Togliatti (1989), il poemetto Quando bisbiglio la parola Dio (1991), il librettino di versi Un pizzico sulla mano (Il Notes Magico, 2006), da ultimo Fisimario napoletano (Spirali 2007). Per Adelphi ha tradotto Gian Battista Basile e Paul Valéry • «Napoletano di pelo ruvido» (Giuseppe Galasso), «un illuminista visionario e un demolitore di false visioni, un iconoclasta» (Alfonso Berardinelli), «in grado come pochi di fondere lucidità e retorica, rigore ed eleganza, intransigenza e stile, al servizio di una
visione della realtà senza attenuanti e senza compromessi alla quale non sa rinunciare neanche
quando si ritorce a suo danno. Poco conosciuto è invece il suo dono poetico, benché egli ne abbia dato un magnifico saggio in una traduzione del
Cunto de li cunti di Gian Battista Basile (Adelphi) che gareggia, spesso vincente, con quella di
Benedetto Croce: quanti, infatti, avranno letto quelle stupefacenti poesie sull’inferno animale, sull’“orrenda effervescenza assassina” del mondo degli insetti, che egli ha inserito nel suo Breve corso di morale laica, in realtà un singolare prosimetro, pubblicato da Rizzoli nel 1987?» (Mario Andrea Rigoni) • «Scrittore, giornalista, polemista, uomo di cultura, era stato lui che aveva
contribuito alla stesura del libretto Primavalle: incendio a porte chiuse in cui si era cercato di gettare la colpa sui fascisti. Guarini allora aveva
simpatia per l’ultrasinistra. E prima ancora aveva militato nel Pci» (Claudio Sabelli Fioretti) • «Appartenevo a una famiglia in declino. I miei erano divorziati, mia madre
continuava a dissipare il suo piccolo patrimonio giocando d’azzardo ma aveva la splendida virtù di non farmi capire che lo splendore delle nostre vite era basato su debiti e
su qualche amante che l’aiutava. Io credevo di essere miliardario. Quando capii che non era vero mi
trovai solo e cominciai a frequentare amici alla mia portata, artisti,
letterati. Tutti più o meno comunisti. Credo di essere l’unico intellettuale medio borghese che confessa che è arrivato alla causa proletaria per le frustrazioni e il risentimento»
• «Ho ritrovato me stesso dopo una lunga parentesi di offuscamento del mio cuore e
della mia intelligenza. Io sono orgoglioso di esser stato comunista. Continuo a
meravigliarmi del fatto che i quattro soldi di dottrina che ho racimolato in
quegli anni oggi non sono ricordati da nessun postcomunista. Domandate a D’Alema, Veltroni o Fassino che cosa è la caduta tendenziale del saggio di profitto oppure la teoria del feticismo
delle merci. Non ne sanno nulla»
• «Detesto Eco, Opera aperta, Opera chiusa, sempre scolastica è la sua musa. Ha lo stile Bignami. è meno importante di Liala» • L’aldilà «non si può escludere», tanto meno sostenendo che la ragione non riesce a concepirlo, perché in realtà «assolutamente irragionevole è anche l’aldiquà» • Negli ultimi anni ha scritto per Il Giornale e l’Indipendente, manda letterine pungenti al Foglio di Giuliano Ferrara. [bgl]