Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
CERATI
Carla Bergamo 3 marzo 1926. Fotografa e scrittrice • «Prima ho fatto la moglie e la mamma. Nel 1960, dopo alcuni anni di matrimonio,
ho cominciato a scrivere narrativa e romanzi, e a fotografare. Con la macchina
fotografica non puoi raccontare il passato ma solo il presente. Con la
scrittura puoi scavare nella memoria, puoi inventare e puoi ricostruire» • Cominciò a esplorare l’universo che stava fuori della porta di casa nei primi anni Sessanta, con una
Nikon, dalle finestre del suo appartamento al primo piano di un palazzo
milanese. «Bill Brandt diceva di aver superato una grave nevrosi grazie all’uso della macchina fotografica. Per me invece fotografare ha significato la
conquista della libertà e anche la possibilità di trovare risposte a domande semplici e fondamentali: chi sono e come vivono
gli altri? Lavorano? E se sì, dove lavorano? Quali sono i mestieri, le professioni e i luoghi in cui le
svolgono? Come trascorrono il tempo libero?» I primi scatti professionali, come fotografa di scena al Teatro Manzoni di
Roma. Poi reportage e ritratti. «Divenni un’assidua frequentatrice della libreria Einaudi, dove in quegli anni si potevano
incontrare poeti come Montale, scrittori come Vittorini, giornalisti come
Enrico Emanuelli, architetti come Ernesto Rogers. Là dentro lavoravo indisturbata, anonima, protetta dalla macchina fotografica come
da un oggetto magico che mi rendeva invisibile, mi muovevo senza rumore, mi
facevo dimenticare, catturavo volti, situazioni, attenta più a queste che ai nomi illustri»
• Nel 1968 il suo lavoro più famoso: un reportage con Gianni Berengo Gardin realizzato dentro i manicomi con
l’appoggio di Franco Basaglia. Le foto uscirono su Morire di classe, libro denuncia edito da Giulio Einaudi. «L’esperienza nell’ospedale psichiatrico di Firenze è stata per me quella più traumatizzante. Ci dissero anche che eravamo stati fortunati ad entrare in
luoghi dove avevano appena fatto le pulizie e che di solito c’era circa un metro di escrementi nei corridoi. Era comunque terrificante vedere
la sofferenza di queste persone. A Parma abbiamo fatto foto interessanti ma
quando gli infermieri si sono accorti di cosa stavamo facendo, ci hanno chiesto
la consegna dei rullini e qui è intervenuto Gianni che, essendo più sgamato di me, aveva preparato dei rullini vergini e gli ha dato proprio
quelli, mettendo i rullini impressionati dentro un ombrello con il quale siamo
usciti tranquillamente»
• Gli altri due lavori più conosciuti sono Forma di donna, con nudi femminili, del 78 e Mondo Cocktail, del 72, dedicato ai vernissage dove tutti sono con i bicchieri in mano e
qualcuno si pianta davanti al buffet con tanto di borsone da riempire. «Allo studio Marconi di Milano ho visto una forma di grana sparire in pochi
minuti, i visitatori sembravano delle cavallette affamate e sarebbe stato
interessante riprendere con una cinepresa la disfatta della forma di formaggio» • Nel 73 scrive il primo libro, Un amore fraterno, «dopo la morte di mio fratello a cui ero molto legata. Quello che racconto nel
libro non lo avrei potuto raccontare con fotocamera perché lui non c’era più» • Nei numerosi romanzi (tra cui Un matrimonio perfetto, La perdita di Diego, La condizione sentimentale, La cattiva figlia, L’intruso) pubblicati fino ad oggi e tradotti in diverse lingue, affronta sempre il tema
dei rapporti affettivi e generazionali, spesso intricati e dilaniati, dentro la
famiglia e fuori. [Lauretta Colonnelli]