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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

MENNEA

Pietro Paolo Barletta 28 giugno 1952. Ex sprinter. Medaglia d’oro dei 200 metri alle Olimpiadi di Mosca (80, bronzo a Monaco 72). Primatista
mondiale sulla stessa distanza (19”72) dal 12 settembre 79 (Città del Messico) al 23 giugno 96 (quando Michael Johnson corse in 19”66 alle Olimpiadi di Atlanta). Ai Mondiali ha vinto l’argento con la 4x100 e il bronzo nei 200 nell’83. Agli Europei ha vinto il bronzo con la 4x100 nel 71; l’oro nei 200, l’argento nei 100 e nella 4x100 a Roma nel 74; l’oro nei 100 e 200 a Praga nel 78. Passato in politica, è stato prima con Di Pietro, poi con Berlusconi
• «Città del Messico, 2.248 metri sul livello del mare. Era il 12 settembre del 79.
Universiadi. 19’’72, record del mondo, nei 200 metri. “Il pubblico urlò. Io capii, ma non ero sicuro. Non c’erano tabelloni elettrici, allora. Mi girai. L’unico cronometro era alla partenza. Guardai le cifre che segnalava, poi mi
vennero tutti addosso, ci fu una grande confusione. L’avevo cercato e trovato, il record. Non era un caso, mi ero preparato per
quello, senza tregua”. Quel giorno l’Italia scoprì un altro Coppi. Veniva dal meridione, era magro, un po’ storto, molto contorto. Figlio di un sarto. Suo padre tagliava abiti, lui si
cucì l’atletica addosso. Corse i primi cento in 10’’34 e i secondi in 9’’38. Quell’anno l’Italia capì che correre alla Mennea era una scienza. Il professor Vittori studiava la
formula, Pietro Paolo la realizzava. Sempre dandosi del voi, tenendosi lontano
dalle confidenze, e dalla leggerezza del dilettantismo» (Emanuela Audisio)
• «Nell’estate dell’80, un bipede tutto ossa e nervi, in perenne fuga da se stesso, sequestra l’Italia per duecento metri. Si chiama Pietro Paolo Mennea, vince la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca, vent’anni dopo Livio Berruti. Non è un altro Berruti, di più: è l’anti-Berruti. Nel fisico, non ha nulla che possa spingere l’esploratore a pronosticargli cento di questi sprint. Mascella scavata, mento
alla Totò. Apparentemente fragile, intimamente di ferro. Lo allena Carlo Vittori, un
tecnico che non lascia nulla al caso. Il sodalizio sfiora la sindrome di
Stoccolma: vittima e aguzzino costretti a vivere sotto lo stesso tetto e a fare
gli stessi sogni. Ma uno con fischietto e cronometro, l’altro con i pesi e in non più di venti secondi alla volta. A Berruti bastavano gli avversari. Mennea ha
bisogno di nemici. Un ragazzo venuto dal basso, in senso atletico e geografico,
discriminato, rabbioso, mai pago anche perché mal pagato: così, almeno, sostiene la mamma. Una scheggia, però. E a Mosca, la sera del 28 luglio, il più veloce fra coloro che avevano accettato di esserci. La finale fu un riassunto
della sua vita: lento in avvio, staccato in curva dallo scozzese Allan Wells,
poi venti metri, gli ultimi, da urlo. E quel ditino alzato a sorreggere il
mondo capovolto, lui, uno di Barletta finalmente numero uno» (La Stampa)
• «è un uomo molto riservato con una spiccata predilezione per le frasi tronche.
Lascia molto al non detto, al lavoro di fantasia di chi l’ascolta; non indugia nell’articolazione e rifugge da ogni consecutio. Carattere spigoloso e una visione
molto personale della vita. Dopo aver corso per vent’anni, ed aver vinto per vent’anni, si dedica agli affari. Apre una concessionaria d’auto. Gli va male. Cocciuto, tenta con una agenzia di viaggi. Chiude. Decide per
la toga. S’innamora di Di Pietro: “Andai a Montenero di Bisaccia e firmai la sottoscrizione in suo favore, mi
piaceva l’uomo”. Torna a Barletta, poi va a Roma. Fa l’avvocato e una moltitudine di altre cose: “Sono tributarista, revisore dei conti, procuratore di calciatori”. Non si sa come né perché ma un giorno lo chiama Di Pietro: vuoi candidarti all’Europarlamento? Lui ci sta. è il 99 e viene eletto. Passa un anno a Bruxelles e si fa vedere all’opera. L’Europa, l’Unione, i problemi transnazionali. Berlusconi s’accorge che l’atleta, giustamente appesantito da una pancetta parlamentare, può risolvere i problemi della Casa delle libertà a Barletta. Gli dice: “Guarda che fare il sindaco è un grande onore. è la tua città natale, hai una responsabilità in più. Io avrei tanto voluto fare il sindaco di Milano”. Gli piacciono quelle parole e cambia campo» (Antonello Caporale).