Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CATTELAN
Maurizio Padova 1960. Artista. «L’idea che sia l’artista a manipolare la materia non mi appartiene. Non so disegnare. Non so
dipingere. Per me l’arte è vuota. Sono gli spettatori a fare il lavoro degli artisti» • «Tra gli artisti italiani viventi è il più quotato in assoluto. Un suo lavoro, la Nona ora, che raffigura il Papa schiacciato da un meteorite, è stato venduto da Christie’s per un milione di euro» (Paolo Vagheggi) • «Ha capelli fitti, corti e grigi. Occhi accesi. Naso fuori misura. Il tono della
sua voce è uniforme. Nessun accento. Le risate spezzano le linee circolari della sua
storia. Quando ha impiccato i tre bimbi in vetroresina a una quercia di Milano è finito sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo: “Volevo dire qualcosa di chiaro su ciò che stiamo facendo al nostro futuro”. Chiama le sue opere: “Cose”. Chiama l’arte: “La mia ultima spiaggia”. Dice: “Se sapessi a cosa serve l’arte, farei il collezionista”» (Pino Corrias)
• «Ho fatto di tutto. Sono scappato di casa a 18 anni e per mantenermi ho fatto l’infermiere, il becchino, l’antennista, l’elettrotecnico e l’operaio. All’arte sono arrivato per esclusione: ogni lavoro era una tortura, all’improvviso mi è sembrata una possibilità interessante, un’occupazione senza cartellino. Poi ho capito che se non ci sono orari, lavori
sempre» • «Cavalli appesi ai soffitti, il Papa abbattuto da un meteorite, il volto di Moro
con dietro la stella a 5 punte delle Br trasformata in Cometa di Natale, le
rovine del Padiglione d’Arte Contemporanea esposte dopo l’attentato mafioso come un’opera... è dalla fine degli anni Ottanta che lancia sberleffi al sistema dell’arte che lo ripaga, dall’America all’Europa, con venerazione e quotazioni miliardarie. Prima di fare l’artista lavorava nel design, ideava mobili impossibili, sedie inospitali. Da
quel mondo l’hanno “cacciato a calci”. Ma proprio quell’uso di spiazzamento continuo sulla realtà è l’immagine che ora, nello “spazio” delle gallerie, dei musei, delle aste, funziona e gli viene chiesto di
progettare. è un inventore di gadget, di icone, un divoratore di immagini cinematografiche e
televisive, un “minatore” fra pile di giornali, riviste, cataloghi, lavori dei suoi colleghi, dove
qualcosa c’è sempre, “quando sono bravi”, qualcosa da prendere. Anni fa prese un olivo centenario, con una grande zolla
di terra, e andò a esporlo proprio a Rivoli e poi a Parigi. Mentre giura di averlo riportato e
fatto ripiantare vicino a Pescara, spiega che gli interessano le immagini
facilmente riconoscibili, come un albero, un cavallo, Hitler o il Papa. Le “immagini” sono altri a costruirle, imbalsamatori, artigiani della cera, falegnami» (Nico Orengo)
• «Un caso. Una grande casa vuota da abitare. è lì che comincia tutto. Il vuoto mi fa venire la nostalgia dei mobili. Ma non ho i
soldi per comprarli. Così comincio a pensarli. Un paio di amici disegnano quello che penso, altri
costruiscono, usando oggetti che scelgo, tipo rami d’albero, ferro, plastica, scarti. Le cose che nascono, lampade, tavoli, piacciono
a un sacco di gente. All’improvviso mi invento che posso fare il designer» • «Uno Zorro dell’arte, cinico e moralista al tempo stesso (nel 1993 si era voluto “autoritrarre” mentre incideva una Z su una tela alla maniera di Lucio Fontana). Uno Zorro,
forse non bello come Antonio Banderas, ma abilissimo nel giocare con i
massmedia, nel creare e nel negare attenzione, nel viaggiare continuamente tra
Milano e New York quasi cercando sfogo a quella sua “vena aggressiva, beffarda e un po’ dadaista”. E i risultati si vedono: nella classifica recentemente stilata da Artfacts.net
dedicata agli artisti più celebri del mondo, Cattelan è il primo degli italiani (al quinto posto), subito dopo Picasso e Warhol» (Stefano Bucci)
• «Posto che sia arrivato da qualche parte, sono arrivato all’arte per tentativi» • «Per me il buon gusto, come il gusto, sono cose da gelatai» • «Non ho mai fatto niente di più provocatorio e spietato di ciò che vedo tutti i giorni intorno a me. Io sono solo una spugna. O un
altoparlante» • «Bolla o non bolla, al centro del mercato mondiale dell’arte contemporanea in questo momento c’è lui: L’“erede di Andy Warhol” in jeans e scarpe da tennis. L’ultimo, a giudicare dai modi e dalla condotta, che potrebbe alimentare questo
turbinio di denaro. Per tante ragioni. Primo: delle cifre stratosferiche che i
collezionisti sono disposti a sborsare per un Cattelan, nelle tasche dell’artista non arriva neppure uno spicciolo. Secondo: se pure è l’artista più cool, chic e discusso del momento, a New York vive ancora nella sua prima casa
in affitto e in condivisione (“non ha minimamente cambiato stile di vita”, raccontano gli amici). Terzo: possiede e gestisce forse l’unico esempio di galleria d’arte no profit al mondo, la Wrong gallery (galleria sbagliata), in uno spazio
minuscolo sulla ventesima strada, quartiere Chelsea, New York, dove le opere d’arte non si vendono e non si comprano. Si espongono e basta. Per offrire
occasioni» (Corriere della Sera)
• «Non faccio lavori per provocare, uso cose, immagini che esistono nella realtà e con quella ambiguità che dà all’opera la possibilità di una lettura che non si esaurisce guardandola. Proprio il contrario della
vita breve, propria della provocazione» • «Mi piace trovare una idea che riesca a trasformarsi in immagine e che quell’immagine abbia audience, venga riprodotta, buchi sui media. Con l’Adolphino, per esempio, non è facile...» • «Mi guardo continuamente intorno. C’è chi dice che copio. Io posso anche guardare come gli altri affrontano i miei
stessi problemi. Ma non penso mai: questa è una cosa che esce da Warhol, da Koons... Quanto all’idea di maestro... è una parola che mi mette a disagio. A scuola non ero tra i migliori. Per me
maestri sono tutti i compagni di classe. A volte li puoi sbeffeggiare, altre
volte copi i compiti o fai un lavoro di gruppo. Tutto è lì fuori e sarebbe un errore non guardarlo»
• «Mi chiedono di dare calci in culo e io li do. Se l’idea è giusta scateni energia. E io provo una sensazione erotica che non credo nessuna
donna sia in grado di procurare. Tutto nasce dai problemi che abbiamo e che
dobbiamo risolvere. A me, ora, tutto funziona così bene che l’unica cosa che temo è quella di star guarendo» • «Le riflessioni sulle quotazioni del tuo lavoro cerchi di tenerle fuori dalla
testa perché ti intrappolano. Sei responsabilizzato perché ogni volta che presenti una cosa nuova hai una pressione: devi essere all’altezza. Ma se pensi solo a questo non vai più avanti. Devi essere libero da qualsiasi cosa, i soldi, lo stile. La sfida è liberarsi di se stessi» • «Vivere a New York è per me molto importante. Quasi tutti i lavori nascono in questa città. C’è qualcosa... forse le dimensioni della città. è un posto dove tendenzialmente mi sento molto piccolo perché tutto è gigantesco. Questo mi influenza e lavoro per ritagliarmi un angolo, anche se
poi vivo come fossi in una qualsiasi altra città» • Com’è la sua casa? «Una finestra, moquette, un letto, un computer, una tv sotto il letto che tiro
fuori solo se devo guardarla, stereo infilato sotto il letto. Una stanza vuota,
20 metri quadrati, e non a tutti è permesso entrare» • «Mi sveglio alle sei: controllo posta, piscina, controllo posta, telefono.
Pranzo. Pomeriggio: posta, telefono, posta, edicola, telefono. Se è sabato: mostre e gallerie. Cena, cinema o televisione o libro, controllo posta.
Domenica: messa» • Prima stava con la collega Vanessa Beecroft, adesso con Victoria Cabello. Si
conobbero «in montagna, a una ciaspolata... Le passeggiate con le racchette sulla neve
fresca, che poi ti vengono due cosce da Maradona. Dovevamo tornare a Milano e
abbiamo preso il treno insieme. Finalmente soli, lui era timidissimo. Io,
vedendo che non succedeva niente, per levarlo dall’imbarazzo gli ho scritto il mio numero di telefono su un pezzo di carta e gli ho
detto: “Se hai bisogno di qualcosa, mandami un sms”. Non gli pareva vero: è stato l’inizio del gioco. Si è messo a mandarmi sms per il resto del viaggio, senza mai parlare, seduto
davanti a me»
• Che cos’è un’opera d’arte? «La vita con le parti noiose tagliate» • è vero che, come ha dichiarato, è stato un fallito per gran parte della sua vita? «Sono ancora un fallito».