Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
RICUCCI
Stefano Roma 11 ottobre 1962. Finanziere. Immobiliarista. Marito di Anna Falchi.
Protagonista nell’estate 2005 del tentativo di scalata alla Rcs, la casa editrice del Corriere
della Sera. In quell’occasione, leggendo sui giornali i resoconti delle intercettazioni telefoniche
che lo riguardavano, gli italiani appresero due sue espressioni romanesche,
entrate subito nel linguaggio comune: «Ma che stamo a ’ffà, i furbetti der quartierino?» (di cui nessuno ha saputo ricostruire l’origine storica) e «Ma che volete fa’, i froci cor culo dell’artri?»
• Figlio di Matteo, autista di pullman e militante democristiano, e di Gina,
casalinga. Infanzia e giovinezza a Zagarolo (fino a che non è entrato nel consiglio d’amministrazione della Lazio, carica accettata nonostante la sua fede romanista, è stato dirigente e sponsor della locale squadra di calcio), studi all’Istituto odontotecnico Eastman di Roma (la sorella Susanna invece era stata
iscritta al classico), al termine dei quali viene impiegato dallo studio
dentistico Parrone, sedi a Zagarolo e a Roma. I titolari dello studio sono il
dottor Giovanni Parrone, medico, e suo fratello Giuseppe, odontotecnico e
compagno di scuola di Ricucci. Hanno un altro studio a Ragusa: «Tra Zagarolo e l’isola è un viavai di clienti su macchinone importanti e pure Ricucci, qualche volta,
attraversa lo Stretto per dare una mano» (Giacomo Amadori)
• Nell’83 si mette in proprio con uno studio a Carchitti (frazione di Palestrina,
sempre in provincia di Roma) e un altro nel centro commerciale di San Cesareo.
Fa interventi anche da dentista, cosa non consentita, e viene denunciato due
volte per truffa ed esercizio abusivo della professione • Si dimostra molto attaccato al denaro, pretende il pagamento sull’unghia dallo zio Genesio Ferracci e non esita a ipotecare il terreno del fabbro
del paese (Ponzo Antonio) e poi a mandarlo all’asta quando questi non lo salda. Amadori racconta che lo chiamavano Acciacca,
perché camminava sempre svagato, cioè con la testa tra le nuvole e pensando a chissà che, col rischio quindi, passeggiando, di acciaccare chi sa che • La carriera di immobiliarista comincia, secondo quanto ha raccontato lui
stesso, all’inizio degli anni Ottanta, in occasione del varo del piano regolatore di San
Cesareo (il piccolo centro era appena diventato comune autonomo): su un terreno
della madre e grazie a un prestito del padre costruisce un piccolo centro
commerciale, lo vende e guadagna 186 milioni. «Ricucci deposita i soldi in banca e chiede nuovi affidamenti. Così dopo San Cesareo “con 1 miliardo ho comprato un’altra area, ceduta dopo sei mesi a 1,7 miliardi”. Racconta Ricucci che grazie a questo meccanismo fa crescere il suo gruppo che
controlla con la lussemburghese Magiste: vende sulla carta, deposita in banca,
chiede fidi, compra di nuovo e così via. E, fido dopo fido, si lega alle banche che lo finanziano, alle quali
inizia a vendere sportelli bancari: “Facevo circa 50-60 sportelli l’anno e scontavo gli affitti per avere altri affidamenti”. La finanza arriva a metà degli anni 80. “Avevo 25 anni e circa 2 miliardi da parte. In quel periodo stavano nascendo i
fondi comuni e ho messo i soldi in Imi Capital e Abbondio Professionale. Sei
mesi dopo mi sono ritrovato con 4 miliardi”. Con il consueto meccanismo arrivano altri affidamenti, altre operazioni e “nel ‘90 mi trasferisco a Roma dove con la prima operazione guadagno 20 miliardi sui
quali mi sono fatto dare affidamenti”. Nel 2001 la Magiste International arriva a possedere immobili per 500 milioni
di euro che “ho iniziato a vendere: 100 milioni di immobili a Generali Immobiliare e 240
circa alla Iil di Emilio Gnutti, conosciuto in quell’occasione”. Un incontro “fatale” quello con il finanziere bresciano (“un fenomeno”) , che gli apre le porte della Hopa, di cui attraverso la Magiste Ricucci
acquista il 3% e, soprattutto, un posto in consiglio d’amministrazione “accanto a banchieri e imprenditori molto importanti per uno piccolo come me”. è lì che impara che “le relazioni sono tutto” e che “i soldi non bastano se poi non ti invitano a far le operazioni”. E Gnutti lo invita nella Bell, che controllava Olivetti: “In sei mesi ho guadagnato 100 milioni di euro”. E grazie a Gnutti conosce Gianpiero Fiorani, l’amministratore delegato della Popolare di Lodi “un coetaneo con cui c’è stato subito feeling”, che aprirà altre porte e gli regalerà il privilegio “di sedere a tavola con il governatore Antonio Fazio, l’anno scorso a Lodi”. Ma “se non mi invitano - racconta - mi invito da solo”» (Federico De Rosa)
• Il nome Magiste viene dalle iniziali dei nomi di battesimo dei genitori (Ma-Gi)
e sue (Ste) • Mario Gerevini ha dimostrato — citando anche i numeri dei conti correnti — che le date degli affidamenti bancari sui quali Ricucci ha costruito la sua
fortuna negli anni Novanta e che furono concessi prima dalla Banca Agricola
Mantovana (Bam, dal 95), poi (dal 4 marzo 98) dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura (conto corrente 4778K, quindici miliardi di lire di credito, cioè 30 volte il valore di Magiste, garantiti da “terzi ignoti” e finalizzati esclusivamente alla compravendita di azioni in Borsa), infine
(dal 2000) Cariverona che presta a Ricucci 20 miliardi, coincidono con quelle
degli spostamenti del banchiere Massimo Bianconi, più tardi top manager di Unicredito e SanPaolo Imi e infine direttore di Banca
delle Marche. Bianconi lo lascia a se stesso però quando Ricucci entra nel giro Gnutti-Fiorani. Gerevini: «Ritorniamo a fine anni Novanta e ripensiamo a date, nomi e circostanze: la Bam,
il primo prestito consistente ottenuto da Bna nel 98 per trading borsistico, il
rapporto con Gnutti.... La Banca Agricola, oltre ad essere la culla finanziaria
di Ricucci, è anche la culla dell’Opa Telecom. Gnutti è uno dei migliori clienti di Bam oltre che grosso azionista. Roberto Colaninno,
che sta risanando con successo Olivetti, è un influente consigliere della banca. L’assalto a Telecom parte da Mantova e Brescia ma non è diretto: prima vengono rastrellate le Olivetti attraverso la lussemburghese
Bell (1998), poi (1999) scatta l’Opa su Telecom che viene lanciata da una controllata di Olivetti, la Tecnost.
Nel 98 Olivetti mette a segno in Borsa un rialzo clamoroso: +508%, grazie al
risanamento di Colaninno ma anche alla scalata di Bell. L’anno successivo è Tecnost che fa una cavalcata sbalorditiva: +746% nei 12 mesi, miglior
performance del listino che complessivamente guadagna il 22%. Qual è il titolo su cui punta Ricucci nel 98, muovendo decine di miliardi? Olivetti. E
nel 99? Tecnost. In entrambi i casi rappresentano almeno i due terzi del
patrimonio investito. Vuol dire grande convinzione, sicurezza, tocco magico e
capacità non comune di muoversi tra le insidie del trading. Piazza Affari gli dà grandi soddisfazioni e anche sul fronte degli immobili il progetto di medio
periodo comincia a dare buoni frutti. L’immobiliarista è diventato ricco. A Torino gli aprono le porte quelli di Banca Intermobiliare e
lui spedisce 70 milioni di euro da gestire. è il momento di uscire allo scoperto. Ricucci entra in Hopa, è il 21 aprile 2001. Comincia una nuova era»
• Gianni Dragoni ha ricostruita la fase successiva, quella che arriva alle soglie
del rastrellamento in Borsa di azioni Rcs: «Stefano Ricucci appare per la prima volta nelle cronache finanziarie il 20
aprile 2001. Accade quando viene nominato nel cda della Hopa, la finanziaria
bresciana di Emilio Gnutti che nella primavera 1999 aveva accompagnato Roberto
Colaninno nella scalata a Telecom Italia. Nel luglio 2001 i “capitani coraggiosi” si arricchiscono vendendo Olivetti-Telecom a Marco Tronchetti Provera e
Gilberto Benetton, con una plusvalenza di quasi due miliardi di euro. Nell’aprile 2001 Ricucci spunta nelle cronache anche come azionista della Iil Spa, l’immobiliare nata il 23 luglio 1999 per scissione dalla Cmi-Falck. Il 72,6% di
Iil era stato acquisito nel settembre 1999 dalla Hopa, mentre indiscrezioni su
una fusione con Hopa e Fingruppo, pur infondate, fecero volare il titolo Iil.
Il 17 maggio 2001 la Magiste di Stefano Ricucci dichiara la riduzione della
quota nella Iil dal 7,7 al 5%, Hopa scende dal 76,8 al 50,99%; due giorni prima
Banca Antonveneta ha comprato il 4,7% di Iil. Nel giugno 2002 la maggioranza di
Iil venne comprata con un’Opa dalla Banca popolare di Lodi guidata da Gianpiero Fiorani, che la fuse con
Iccri-Bfe e Popolare di Crema: quest’aggregato si trovò in Borsa con il marchio Bipielle Investimenti. Società di cui Ricucci è stato consigliere fino ad aprile 2004. Ricucci, Fiorani, Antonveneta, Gnutti.
Un quartetto alleato nelle vicende di queste settimane. La vicenda Iil ha avuto
uno strascico per Gnutti e un altro bresciano, Ettore Lonati: condannati per
insider trading dal Tribunale di Brescia, per i guadagni realizzati con i
rialzi anomali del 1999. Ricucci è entrato in Iil l’anno successivo, nello stesso periodo in cui entrava in Hopa, da cui è uscito a fine 2004. Ettore Lonati e il fratello Tiberio sono oggi nel
contropatto Bnl, a fianco di Ricucci e di Danilo Coppola (
veniva battezzato all’epoca • A fine 2003 aveva sorpassato il 2 per cento di Rcs e ne diede comunicazione
alla Consob. Nessuno lo prese sul serio. Ma metà maggio 2005 era arrivato al 13,5 per cento, investendo qualcosa come 700
milioni (denari provenienti da affidamenti, dalla vendita a Consorte del
pacchetto Bnl e da denari prestati soprattutto dalla Bpi di Fiorani che
accettava in garanzia le stesse azioni Rcs) e spingendo il valore del titolo
dai suoi normali 4 euro o 4 euro a mezzo a più di 6 euro. Nonostante il grande allarme del cosiddetto salotto buono (i 15
azionisti Rcs riuniti nel patto di sindacato, uno dei quali almeno, però, si teneva pronto, nel caso Ricucci ce l’avesse fatta, a tradire i suoi soci), lo sciopero del Corriere della Sera («per far intervenire qualcuno a fermarlo» fu la giustificazione di quella strana protesta), la ridda di voci secondo le
quali dietro Ricucci c’era Berlusconi (che aveva due miliardi in cassa per via della vendita all’estero del 17 per cento di Mediaset) oppure Caltagirone (che però si sfilò subito vendendo a Consorte la sua quota Bnl) oppure De Benedetti oppure
Berlusconi e De Benedetti insieme oppure D’Alema o anche i francesi di Hachette oppure il genero dell’ex premier spagnolo Aznar, Alejandro Agag Longo, oppure Livolsi per conto di chi
sa chi, Ricucci continuò a comprare ed era al 15,1 al 30 maggio (quota che ne faceva il primo azionista
del Corriere), sopra il 18 al 13 giugno, al 20,1 il 4 luglio. Intanto un
rastrellamento parallelo di azioni Mediobanca da parte di Ricucci e degli altri
immobiliaristi Zunino, Statuto e Coppola e soprattutto la pubblicazione delle
intercettazioni telefoniche dell’indagato Fiorani (patron della ex Banca Popolare di Lodi ora divenuta Banca
Popolare Italiana) mostravano che Ricucci agiva probabilmente in collegamento
con lo
stesso Fiorani, che in quel momento stava tentando di impossessarsi della Banca
Antonveneta, e di Consorte, che era pronto a lanciare un’Opa su Bnl per conto di Unipol. Alle spalle dei tre, il governatore Antonio
Fazio. Cominciò quindi la discesa: la gip Clementina Forleo sequestrò ai primi di agosto tutte le azioni Antonveneta acquistate da Fiorani, Ricucci e
dagli altri, Fiorani e Ricucci furono interdetti, l’intervento dei magistrati fece intanto scendere il valore delle azioni e questo
diminuì anche la garanzia che Ricucci aveva offerto alle banche. Cominciò la vendita dei titoli, però lentamente e in parte (secondo quello che hanno sostenuto i magistrati) anche
per finta, cioè attraverso società fittizie che si trovavano all’estero ed erano controllate dallo stesso Ricucci. Infine i magistrati, dopo aver
congelato un pacchetto del 14,6% di azioni Rcs che si trovava in deposito alla
Banca Popolare Italiana, accusarono Ricucci di aggiotaggio, e il 18 aprile 2006
lo arrestarono, azione che lo stesso Corriere della Sera criticò e giudicò eccessiva. Del 14,6 per cento di azioni Rcs, che Ricucci aveva in carico a 5,3
euro, la metà venne poi acquistata, nel giugno 2006, dai Benetton e l’altra metà dall’immobiliarista Toti per una somma di poco superiore ai 4 euro per azione (Toti s’è fatta finanziare l’acquisto da Capitalia, a sua volta socio di Rcs)
• Prime nozze, all’inizio degli anni Novanta, con Linda Maria Imperatori, cugina di Gianfranco
Imperatori, ex vicepresidente del Banco di Sicilia, ex presidente di
Mediocredito e attuale segretario generale dell’associazione Civita. Un figlio, Edoardo, nato nel 1993. Separazione e divorzio
senza drammi, la ex moglie parla benissimo del marito • Le prime notizie della sua storia con Anna Falchi risalgono al 2001. Panorama,
luglio: «Anna Falchi è stata fotografata in atteggiamenti affettuosi su una spiaggia della Costa
Smeralda con il suo nuovo fidanzato, Stefano Ricucci». Matrimonio celebrato il 9 luglio 2006. Vedi FALCHI Anna.