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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

GERVASO

Roberto Roma 9 luglio 1937. Scrittore. Giornalista. Scrive su Mattino e Messaggero. Ha
iniziato al Corriere della Sera. Conduce ogni mattina su Rete4 Peste e corna, breve editoriale su fatti di costume o di attualità. Grande intervistatore (domande e risposte brevissime). Forte interesse, negli
ultimi anni, per i temi medici. Divulgatore, attraverso molti libri, di
biografie storiche • «La mia vita non è stata facile. In certi momenti, è stata difficilissima. Ho sempre combattuto, e spesso, contro tutti. E non perché sia un donchisciotte, ma perché sono, o m’illudo di essere, un uomo libero. E la libertà, in un Paese di pecore e di conigli come il nostro, si paga cara. Cara e in
contanti. Nato nel 37, quando, nel giugno del 1940, scoppiò la guerra avevo tre anni. E quando, nell’aprile del 45, finì, otto. Ne ho molti ricordi, più tristi che lieti. Vivevo a Torino con i miei genitori e con mia sorella e ho
conosciuto, non dico la fame, ma il bisogno, gli stenti, che mi sono stati di
grande insegnamento e hanno contribuito a plasmare il mio carattere. A scuola
me la sono sempre cavata, ma la mia pagella era più irta di sei e di sette che di otto, di nove, di dieci. Un po’ meglio sono andato all’università, ma mi sono laureato a ventotto anni. E non perché battessi la fiacca, ma perché, a ventitré, con il viatico di Montanelli, entrai al Corriere della Sera. Ero reduce da un
infelice viaggio negli Stati Uniti dove, con una borsa di studio Fulbright,
avrei dovuto fermarmi due anni. Ma dopo soli tre mesi mi buscai un devastante
esaurimento nervoso e dovetti rientrare in Italia. Al Corriere della Sera
feci per un anno e mezzo il cronista di nera. Avevo i nervi a pezzi e atroci
coliche renali, ma strinsi i denti e i pugni e mai cedetti alla tentazione di
piantare tutto, di dire addio al giornalismo. Montanelli che — come me — ciclicamente soffriva di depressione, mi fu molto vicino. Quando si rese conto
che non ce la facevo, ottenne il mio trasferimento a Roma, dove lui viveva con
la moglie Colette. Io mi acquartierai a casa di mio nonno e delle mie quattro
zie finché non mi emancipai e con i diritti d’autore del primo libro,
L’Italia dei secoli bui, scritto a quattro mani con il grande Maestro, affittai una bellissima mansarda
dietro piazza Navona. Più tardi conobbi Vittoria e ci sposammo. Lasciai il Corriere della Sera e scrissi su molti altri giornali, feci tanta radio e tanta televisione. Erano
gli anni Settanta, la contestazione aveva lasciato nella società rovinosi strascichi di permissivismo e, insieme, d’intolleranza. Chi non militava a sinistra, era, ipso facto, di destra. E chi era
di destra, non era un liberale, un conservatore, un moderato. Chi era di
destra, era un fascista. Io, e non per eroismo, ma per temperamento, non
abiurai la mia fede politica e questo mi valse le censure e gli anatemi di
molti colleghi, intruppati nel gregge che aveva il suo infallibile profeta e il
suo inflessibile pastore nel principe rosso. Fui messo al bando come un
reprobo, da additare al pubblico ludibrio. Anni da dimenticare, anni che
seminarono l’odio e la violenza, in nome di falsi idoli e di valori traditi soprattutto da
chi con tanta enfasi e baldanza li proclamava. Sono state esperienze dure e
amare, che in parte ho rievocato nei miei libri perché ne facessero tesoro le nuove generazioni»
• Il suo nome era nella lista della P2 e Berlusconi sostiene che fu proprio lui a
presentargli Licio Gelli • Indossa sempre e solo il papillon • Dalla moglie Vittoria ha avuto una figlia, Veronica, giornalista a Mediaset.