Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
POLI Paolo Firenze 23 maggio 1929. Attore. «I difetti di pronuncia chi li ha se li tenga cari» • Attore di meravigliosa femminilità
POLI Paolo Firenze 23 maggio 1929. Attore. «I difetti di pronuncia chi li ha se li tenga cari» • Attore di meravigliosa femminilità. Crea spettacoli tutti suoi, dove appare per quanto possibile travestito da donna. La Santa Rita da Cascia, nel 67 all’Odeon di Milano, provocò l’intervento della polizia e la fine della serata. A quell’epoca faceva anche La nemica di Nicodemi ed era, naturalmente, la perfida madre che non ama il figlio suo • «Ho capito di essere gay fin da piccolissimo. C’era il fornaio: lo adoravo. Poi andai al cinema a vedere King Kong e capii che mi garbava. Allora alle femmine si regalava la bambola e ai maschi il fucilino. Mi sparai in un occhio, stetti un anno con la benda. Che, per la verità, mi dava un fascino piratesco... Il mio babbo e la mia mamma lo seppero da sempre e mi amarono per quello che ero, non per quello che avrei dovuto essere. Mia madre aveva una cultura laica, era una maestra montessoriana. Diceva: “Se è intelligente, il bambino impara da solo”. Ho fatto la terza perché sono andato a scuola da me, la prima e la seconda le ho saltate. Sapevo leggere e scrivere fin da piccolino. In casa avevo l’Artusi, L’arte di mangiar bene. Un libro delizioso: “La cucina è una bricconcella che spesse volte fa disperare. Fatevi avanti signor polpettone”. E così via» • «Sono uno di sei figlioli di un carabiniere, sicché 5 da capo, 5 da piedi, sfollamenti, bombe. A volte mi sveglio di notte, allargo le gambe e non c’è nessuno. Che gioia. Tanto siamo sempre soli, anche se hai uno di fianco che russa» • «Si passa alla storia o come grandi amatrici o come grandi lavoratori. Io come troia non so se ho avuto tutto questo seguito. Oggi c’è più apertura. Ma solo di parata. Quando ero giovane nessuno mi ha mai ammazzato. Sono stato bionda ossigenata. Che per una donna voleva dire essere poco seria, e per un uomo essere finocchio» (Enrica Brocardo) • «Un maestro della parodia, uno che ha lasciato un’impronta indelebile nel teatro italiano, fin da quando, nel 49, cominciò a calcare le scene. “Ma mi lasci raccontare la mia vita come fossi il notaio di un romanzo di Jane Austen: sono nato nella prima metà del secolo a Firenze, ho fatto studi regolari, mi sono laureato in Lettere con una tesi sul teatro francese dell’800. Sono stato attore amatoriale, poi radiofonico nei primi anni 50; quando arrivai a Cinecittà feci, nella nuova edizione strappalacrime delle Due orfanelle insieme a Milly Vitale e Miriam Bru, la parte che con la Valli e la Denis faceva Osvaldo Valenti. Poi ho insegnato al liceo francese, a Roma ho incontrato Aldo Trionfo, che faceva l’aiuto di Visconti in Senso, e con lui, a Genova, ho fondato la Borsa di Arlecchino. Poi siamo venuti a Milano, al teatro Gerolamo, la cui dimensione, per me che avevo fatto anche il burattinaio, era entusiasmante”. Eccetera eccetera. Arriva anche la tv, perfino una Canzonissima nel 61, e poi inizia a fare il capocomico di se stesso con una serie di spettacoli colti e originali che portano il suo copyright intellettuale. “Io ho fatto il teatro perché l’ho amato da sempre, non come un rifugio, come fanno oggi quelli che non hanno più successo al cinema o alla tv. Mi piace il teatro perché è vivo, così come mi piaceva insegnare, osservare gli occhi cattivi di quei bambini: insomma, diciamo che mi sono speso per far attecchire un po’ di cultura, in un momento in cui basta disegnare O col bicchiere per diventare filosofi. Mi sono applicato alla pratica e non alla grammatica, come mia mamma diceva della Montessori: abbiamo lo stesso difetto. Il complimento che preferisco è quello che si faceva alle signorine così così: che belle gambe, che bei capelli. Ma il genio, credo, nasce quando la Madonna, o Grace Kelly, gettano a vanvera uno schizzo d’ovuli. Ripeto con Dante: ‘Valgami il lungo studio e il grande amore’. O come diceva la Callas, di musica ce n’è tanta, ma ci vuole un artista che la renda viva. Le grandi conquiste dell’arte sono piccolezze di cui l’uomo volgare non si accorge, così come non vede la differenza tra il Pontormo e Raffaello. Ma la differenza c’è e qualcuno va pure applaudito: o Darwin o Geova”» (Maurizio Porro) • «La Callas era insopportabile. Pisciava nei lavandini per la paura del pubblico: alzava le sottane e faceva un’amazzone veloce sul lavello, il primo che trovava. Uno schizzo a uomo. Ho voluto bene a Laura Betti, che è morta a 80 anni. Se n’era cavata dieci: sulla carta d’identità c’era una macchia di scolorina e non si riusciva a leggere bene. No, non abbiamo avuto nessuna storiella. C’era intimità, quello sì. Non chiudeva la porta neanche se era sul cesso. Quando pisciavo veniva lì. Una virago. Tutte le donne che ho conosciuto erano delle virago, altrimenti non ce l’avrebbero fatta. Ai tempi della Dolce Vita con Laura Betti si campò una settimana a noccioline e whisky. Però che belle magre eravamo, io e lei. Belle e magre: bisogna imparare a fare il plurale al femminile. Quelle di adesso son tutte bonine, raccontano i loro matrimoni. L’unica che stimo è mia sorella Lucia. Lei è un genio. Il suo uomo sta al piano terreno, lei al primo, il figlio al quarto, un grattacielo di felicità» • «Fellini era una personalità di grande spirito, umanità e statura. Era una persona luminosa, la Madonna, era il miracolo [...] Quando gli chiedevano in quale posizione si poneva di fronte a qualcosa di intellettuale, lui diceva: di profilo. Così, ribattevo io, a me resta da dire “alla pecorina”» • «Mi offrì una parte nella Dolce vita, ma avevo già firmato per il teatro. Veniva in camerino, mentre mi cambiavo: “Non ti vergogni mica a levarti le mutande?”, “No, no”, rispondevo. Mi guardava. L’ultima volta che lo vidi avevo 60 anni: “Cominci a metter su pancia anche tu”, mi disse» • Alla Rai degli anni Sessanta faceva soprattutto programmi per famiglie, sketch graziosi dove recitava cantava e qualche volta danzava e in cui la sua forza eversiva era totalmente ignorata. Fece coppia con la Mondaini alla Canzonissima 61-62: «Si fece una robina-ina-ina. Lei sapeva fare la bambina piccina e allora anch’io feci il bambino. Io ero quello buono e lei quella cattiva, che mi faceva i dispetti. Le famiglie si divertivano: “Guarda, proprio come la nipotina”». «Non ricordo l’ultima cosa che ho fatto in tv. Dei fegatelli, con il mago Zurlì, con Gaber. Vendevo quelle canzoni che non piacevano né a Cristo né al diavolo, che non disturbavano le famiglie. Dovevo sopravvivere. In teatro d’estate non si fa nulla e io, che non andavo alle Bermuda, stavo a Milano e lavoravo per la tv. La cosa migliore erano le Kessler. Allora, l’italiota col culo basso vedeva queste con le gambe lunghe sei metri e godeva assai. C’era pure la macchina da presa a terra che allungava la prospettiva. Però, erano carine davvero. Come i carabinieri, facevano poco, ma preciso. Sono di nuovo in tv? Sì, però la mucca è più bella giovane» • E la politica? «Noi ragazze non capiamo un bel niente di politica» • Da ultimo Palazzeschi (Aldino, mi cali un filino), Satie, Caterina de’ Medici ecc. Non va mai a teatro, «mi faccio raccontare tutto dai pompieri». Nella stagione 2006-2007 porta in scena Sei brillanti; testi di Mura (Maria Volpi Nannipieri), Paola Masino, Irene Brin, Camilla Cederna, Natalia Aspesi, Elena Gianini Belotti. Scene di Emanuele Luzzati, musiche a cura di Jacqueline Perrotin.