Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GREGOTTI
Vittorio Novara 10 agosto 1927. Architetto. Designer. In Italia fra i più conosciuti della sua generazione. Ha esordito con opere ispirate a inizio
secolo: Case d’affitto (57) ed Edificio per uffici (60). Nel 66 ha pubblicato il libro Il territorio dell’architettura nel quale vengono esposte le sue teorie sull’architettura come modificazione dell’ambiente fisico su grande scala. Sue opere più importanti: il quartiere Zen di Palermo (69-73), gli edifici nella Lützowstrasse a Berlino (79-82), il Centro ricerche Montedison a Portici (77-82),
il Centro olimpico di Barcellona (83-85), la Pirelli-Bicocca (86-88), lo stadio
Giuseppe Ferraris di Genova (86-88), il Centro culturale Belém a Lisbona (88-92) • «Ero arrivato all’architettura passando prima attraverso la musica. La nostra è una famiglia di industriali tessili, io ho trascorso i primi anni della mia
vita a Novara. è importante il fatto che sia cresciuto in una fabbrica, ero abituato al lavoro
di gruppo. Presto mi accorsi di voler realizzare un’attività creativa, di gruppo. Avrei potuto diventare anche un regista. Ero un bravo
studente liceale ma la facoltà d’Architettura fu invece per me una grande delusione, al di sotto delle mie
aspettative. I professori mi sembravano di scarsa qualità. Ero compagno di scuola di Gae Aulenti, solo più tardi abbiamo lavorato insieme» (da un’intervista di Alain Elkann)
• «Nell’estate del 52 stavo per laurearmi in Architettura a Milano: lavoravo già in studio con Ernesto Rogers che mi aveva chiesto di organizzare la
partecipazione italiana a un seminario del C.I.A.M. (Comité International de l’Architecture Moderne) nei dintorni di Londra. Soddisfatto per il mio primo
lavoro, l’architetto Rogers decise di mandare anche me in Inghilterra. Ricordo che partii
in treno con l’architetto Franco Albini con cui poi divisi la stanza. Io avevo ventiquattro
anni, Albini una cinquantina, era un bellissimo uomo, elegante, gli piacevano
le donne e le corteggiava quasi tutte. Durante il lungo e disagevole viaggio in
treno lo interrogavo sulle donne e lui mi disse che una delle cose fondamentali
per piacer loro era di essere sinceramente interessati. Quell’agosto del 52 in Inghilterra è stato molto importante per il mio futuro. A quel seminario partecipavano tra
gli altri Walter Gropius e Le Corbusier. Nel refettorio, c’erano dei tavoli dove si mangiava in sette o otto e chi sedeva a capotavola
serviva gli altri. Fu una strana impressione per un ragazzo di ventiquattro
anni farsi servire a tavola da Gropius, un mito vivente, l’ex marito di Alma Mahler. Le Corbusier, che poi rividi in altre circostanze
quando cominciai a lavorare per la rivista Casabella, non era un uomo
simpatico. Era molto svizzero, meticoloso, e quando parlava non parlava all’interlocutore che aveva davanti ma al mondo. Era un piccolo borghese, un geniale
orologiaio. Gropius era diverso, un tedesco elegante, un po’ come Thomas Mann. Fumava il sigaro, era un grande borghese. A quel seminario
partecipò anche Alexander Calder, l’ho conosciuto molto bene, diventammo amici, e io andai a trovarlo negli Stati
Uniti. Ero una vera spugna, non avevo ancora strategie. Guardavo Le Corbusier
rovesciare tutto un concetto con un breve schizzo. Io avevo il mito dell’avanguardia tra le due guerre e Gropius mi faceva sognare»
• «Tutto cominciò nel 53, a Novara, negli anni in cui si avviava a conclusione la ricostruzione e
si avvicinava il boom. Fu allora che Vittorio Gregotti, fresco di laurea, fondò con Lodovico Meneghetti e Giotto Stoppino lo studio Architetti Associati. Oggi
la Gregotti Associati - di cui fanno parte, con lo stesso Gregotti, Augusto
Cagnardi e Michele Reginaldi più una sessantina tra architetti e collaboratori - è il primo studio italiano che appare nella lista di World Architecture, che
statuisce i duecento maggiori studi del mondo e che da soli, complessivamente,
impiegano oltre ventimila architetti. Ovviamente ha lasciato Novara, opera da
Milano» (Paolo Vagheggi)
• «Quando ho cominciato, l’architettura non aveva una grande popolarità. Non ce l’ha nemmeno adesso ma oggi gli architetti si sono trasformati in qualcosa che
somiglia al modo di essere dei calciatori o dei cantanti. Cercano di
conquistare il pubblico, la massa. L’architettura è diventata più popolare ma nei suoi aspetti più estetici e più esteriori. Un tempo l’architetto portava pochi progetti nella società che venivano guardati e discussi con attenzione. Ora gli architetti sono
migliaia. Questo è il guaio. In Italia ci sono sessantamila studenti di architettura, in Francia
tredicimila»
• In Italia i suoi lavori sono stati contestati: lo stadio di Genova, detto per
non vedenti, il quartiere Zen di Palermo...: «Il progetto del quartiere Zen lo rifarei uguale. Non è mai stato finito. Non è mai stato completato. Non ci sono servizi, energia elettrica. è rimasta un’idea, che ancor oggi è valida. Come tessuto urbano è infinitamente migliore dei quartieri speculativi di Palermo. Si è creata una leggenda metropolitana intorno allo Zen. è come il Corviale di Roma dove non sono mai stati portati i servizi. Io lo
difendo. Quanto a Genova... Abbiamo lavorato in condizioni pessime, il
presidente della Sampdoria voleva ricattare l’amministrazione. è uno slogan inventato dai media. Non è vero che c’è una zona dove non si vede. è rimasta l’etichetta».