Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
VIZZARI
Enzo Varallo Sesia (Vercelli) 18 giugno 1946. Giornalista. Direttore delle Guide dell’Espresso • «È il “most wanted” per chef e produttori di vino in tutta Italia. L’aspetto È quello di un manager bonario, con un plus di chili che senza dubbio non lo
apparenta a quei maniaci del “light”, tutti sushi e palestra. Appartiene a un’altra scuola. Dopo un inizio in Pirelli e 25 anni in Confindustria, È approdato al timone della più grande macchina da guerra enogastronomica italiana» (Maria Paola Anticchia) • «A differenza dei miei predecessori D’Amato e Raspelli, io entro nel gruppo L’Espresso come dirigente per occuparmi di tutti i prodotti del settore
enogastronomico. Nella mia famiglia c’era il culto del mangiare bene. Non necessariamente cose costose: però cose buone. E poi si diventa golosi esercitando la gola, come ho sempre fatto.
Dai tempi in cui scrivevo su Brescia Oggi e poi sul Giornale di Brescia, con lo
pseudonimo di Aldo Corte, una rubrica che si chiamava Peccati di gola, all’avventura, cominciata nell’83 e mai più interrotta, con la Guida dell’Espresso di quello straordinario personaggio che era Federico Umberto D’Amato. Non capiva niente di vino, pasteggiava a vodka, ma che gourmet!»
• «A 18 anni, i miei coetanei sognavano la prima automobile. Io mi sono fatto
portare dai miei genitori da Peppino Cantarelli, nel cuore dei luoghi verdiani.
Mi ricordo ancora l’emozione del viaggio, attraverso la pianura padana... Gustai spalla cotta,
culatello, savarin di riso, tortelli e il suo mitico soufflé di lingua. Poi, come capo ufficio stampa della Pirelli e quindi direttore delle
relazioni esterne, e successivamente in associazioni confindustriali, ho avuto
modo di girare e di investire i primi guadagni. Dal viaggio in 500 fino a
Genova per provare i piatti del mitico Bergese alla Santa, fino alle
esplorazioni in California e in Cina. Mi ricordo che a Pechino — si era negli anni 80, quando i turisti erano una rarità — con mia moglie Franca eludemmo l’organizzazione e andammo a mangiare in un posto frequentato dai “locali”. Nessuno che parlasse altro che il cinese, per cui ho dovuto indicare al
cameriere con il dito le cose che ci interessavano. Abbiamo provato il
serpente, le oloturie e credo il cane».