Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CROPPI

Umberto Roma 1 gennaio 1956. Assessore alle Politiche culturali e alla Comunicazione
del comune di Roma. Giornalista. Direttore generale della Fondazione Valore
Italia (Esposizione permanente del Made in Italy e del Design italiano) • «Mio padre fu ufficiale della Rsi. Fascista di sinistra, anticlericale. Scampò alle vendette, ma si fece un paio d’anni in carcere. Era la persona più buona, colta, liberale che abbia mai conosciuto. E mi regalò Il Capitale di Marx. Per questo non ho mai creduto alla retorica antifascista. Anzi, a 14
anni ero molto più a destra di papà. Lefevriano. Ma cambiai in fretta. Tifavo per i marines; cominciai a tifare per
i vietcong. La prima tessera fu quella del Msi. Nel 75, a 19 anni, fui il più giovane consigliere comunale d’Italia, a Palestrina, la città di mia madre. Divenni dirigente del Fronte della Gioventù: il capo era Buontempo, c’era anche Fini ma un po’ isolato, distante nel suo impermeabile bianco, infatti lo prendevamo in giro.
Buontempo portava l’eskimo, io avevo i capelli lunghi e gli scarponi comprati a Porta Portese,
sembravamo punkabbestia, non a caso Almirante ci chiamava castristi. Per lui
provavo un misto di odio e amore: ne ammiravo il coraggio, ma avevo idee e
gusti opposti. Leggevo Kerouac e Tolkien. Ho visto tutti i grandi concerti
degli Anni 70, da Santana ai Jethro Tull. Mi pestarono in quaranta. Quaranta
contro uno. Mi massacrarono. Due costole rotte, una lesione al nervo ottico. Mi
ero candidato alle prime elezioni universitarie, nel Fronte anticomunista. A
giurisprudenza prendemmo la maggioranza, ma per entrare in università bisognava passare tra due fila di autonomi: una forca caudina. Il peggio
avveniva dentro, dove c’erano quelli del Manifesto e della Fgci. Tanti pestaggi, tutti individuali.
Cominciò il terrore. Dopo Primavalle si erano rifugiati a Palestrina i Mattei, divenni
loro amico. Vivevo con i miei genitori anziani, la sera ogni rumore diventava
un allarme. Comprai una pistola, poco più di uno scacciacani. Poi pensai: ma sono diventato matto? E la buttai in una
fogna» (a Aldo Cazzullo)
• «Uscì dal Msi (“Quattro anni prima di Fini”, scherza) e fece qualche giro dalle parti dei Verdi, dei Radicali, della Rete,
dell’Asinello. Infine, per i casi della vita, è diventato direttore editoriale di una casa editrice storica sulla via del
fallimento, la Vallecchi» (Claudio Sabelli Fioretti) • «In vita mia non ho mai utilizzato vocaboli del fascismo. Non ho mai detto
camerata, se non per gioco. Le mie circolari cominciavano con “Cari Amici”. Non ho mai portato una camicia nera. Non ho mai avuto un ritratto del Duce in
casa. Non ho mai fatto il saluto romano. Nei primi anni mi sono sentito
fascista. Ma non ho mai pensato che si potessero recuperare il nucleo di
pensiero né le forme statuali del fascismo che c’era stato» • Ha curato la campagna di comunicazione di Gianni Alemanno per l’elezione a sindaco nel 2008 • «Il momento è propizio. A Roma, in Italia. La sinistra vive il suo 8 settembre. è crollata, non ha più linea di comando, il gruppo consiliare in Campidoglio va per conto proprio. E
la sconfitta romana non è di Rutelli; è di Veltroni. La destra deve aprirsi. C’è una crisi di consenso, di cui la destra deve approfittare. Parlando non solo ai
suoi, ma rivolgendosi a loro. Sparigliando le carte» • Fumatore • Sposato con l’americana Jennifer Lou Vieley, dalla quale ha avuto Sofia e Giuliano.