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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

ANTONIONI

Michelangelo Ferrara 29 settembre 1912. Regista. «Spiegarmi a parole non è affar mio».



VITA Famiglia borghese, laureato in Economia e commercio, si esercita nella critica
cinematografica, prima al Corriere Padano, poi a Roma nella redazione di
Cinema. A Parigi è assistente, nel 42, di Marcel Carné per L’amore e il diavolo • «Il suo primo documentario, Gente del Po, comincia nel 1943, per concludersi, a causa delle vicissitudini belliche, solo
nel 1947. è sceneggiatore di Caccia tragica di Giuseppe De Sanctis nel 1946 e di Lo sceicco bianco di Fellini nel 1952. Si impone all’attenzione della critica per il rigore formale dei documentari Nettezza urbana (1948) e L’amorosa menzogna (1949) entrambi premiati con un Nastro d’Argento. è del 1950 il suo primo lungometraggio, Cronaca di un amore, con Lucia Bosè e Massimo Girotti, quasi un giallo - un pretesto stilistico ricorrente in molti
dei suoi film - per raccontare conflitti psicologici e aridità morale dell’ambiente borghese. Mentre il mondo proletario, in un paesaggio padano, offre lo
spunto a Il grido, realizzato nel 1957, con Alida Valli e Steve Cochran. Degli anni Cinquanta
sono anche I vinti (1952), tre episodi ambientati in Italia, Inghilterra e Francia, La signora senza camelie (1953) ritratto di donna con Lucia Bosè e Le amiche (1955), da Tre donne sole di Pavese, con Eleonora Rossi Drago e Valentina Cortese. La notorietà gli arriva nel 1959 con L’avventura che scatena invettive e entusiasmi al festival di Cannnes. Ne è protagonista, insieme a Lea Massari e Gabriele Ferzetti, Monica Vitti, con cui
Antonioni inizia un rapporto professionale e sentimentale e che sarà interprete dei suoi film successivi. L’avventura è il primo capitolo della cosiddetta trilogia esistenziale che comprende La notte (1960), con la Vitti, Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, e L’eclisse (1962), con Monica Vitti e Alain Delon. Tre film che impongono Antonioni all’attenzione internazionale come uno dei maggiori registi del dopoguerra. Primo
film a colori, Deserto rosso, del 1964, con Monica Vitti e Richard Harris, ha come tema l’incapacità della borghesia di uscire dalla propria prigione esistenziale. A questo punto
Antonioni esce, per raccontare le proprie storie, dai confini nazionali. Blow up (1966), con David Hemmings e Vanessa Redgrave, trova la sua ambientazione nell’Inghilterra della rivoluzione giovanile, Zabriskie Point (1970) in quella dell’America della contestazione, il documentario Chung Kuo: Cina (1972) è sulla rivoluzione culturale cinese, Professione reporter (1975) analizza il rapporto tra Occidente e Terzo mondo. Antonioni sperimenta l’uso di nuove tecnologie in Il mistero di Oberwald nel 1979 mentre torna alle sue tematiche degli inizi in Identificazione di una donna (1982). Nel 1985 è colpito da un ictus che gli impedisce quasi del tutto di parlare» (Roberto Rombi) • «Io sono sempre vissuto fra le donne: prima le mie cuginette e le loro coetanee,
poi la mia prima moglie, Letizia Balboni, le sue quattro sorelle, le loro
amiche e le amiche delle loro amiche. Insomma, i problemi delle donne hanno
sempre riempito la mia casa, la mia vita» • Ha avuto per otto anni una relazione con Monica Vitti: «Sono stati una delle coppie più famose ed insolite del cinema internazionale: non esuberanti e presenzialisti,
né presi dal terrore di essere ignorati dai paparazzi. Al contrario, erano l’incarnazione dell’incomunicabilità trionfante nella famosa trilogia (L’avventura, La notte, L’eclisse) portata poi all’ennesima potenza in Deserto rosso; due amanti con un’immutabile espressione di rassegnata tristezza, di noia, di inaccessibile
lontananza. Non esisteva quasi confine tra il leitmotiv dei film e della vita
di coppia. Ma per Monica Vitti, stregata dal regista, non era naturale quell’aria annoiata, da intellettuale e profeta inascoltato, propria di Antonioni. E
lo si capì nel gennaio 64, quando la Sacra Rota annullò il precedente matrimonio del cineasta con Letizia Balboni. Allora l’attrice esplose di felicità. Non riuscì a mascherare la sua vera e reale speranza: “Finalmente possiamo riposarci”. Dopo sette anni di convivenza particolare (una sola casa in via Tiberio, a
Roma, ma due diversi appartamenti uniti da una scala a chiocciola) Maria Luisa
Ceciarelli - in arte Monica Vitti - desiderava diventare la signora Antonioni.
Anche se confessava: “Non cambierà nulla tra noi, si tratta di una pura formalità e, almeno per ora, non lasceremo neppure la casa di via Tiberio, ideale per una
coppia come la nostra”. Due anni dopo, non solo il matrimonio non è stato celebrato, ma cominciano a circolare voci su una rottura tra i due. La
bella attrice inglese Vanessa Redgrave - ancora moglie del regista Tony
Richardson - si profila all’orizzonte come una possibile rivale della trentaduenne Ceciarelli (il regista ne
ha 52), che tuttavia finge di non sapere cosa sta succedendo. E ribalta le
parole di due anni prima: “Per la gente come noi, attori o registi, per noi artisti sposarsi è un vero pericolo, può voler dire rischiare di perdersi”. Non si sposano perché si vogliono troppo bene, disse qualche agiografo. Invece le strade di Vitti e
Antonioni cominciarono a dividersi proprio nel 66. Il regista andò prima in Inghilterra a girare
Blow-up, poi in Usa (nel 70) per Zabriskie Point. Fu una progressiva separazione professionale e affettiva, che vide il regista
sempre più identificato con la sua immagine di intellettuale pensoso, sofferto e
disilluso, mentre lei rovesciò il carattere delle sue interpretazioni, scegliendo la commedia» (L’Europeo) • Adesso è sposato con Enrica Fico, quarant’anni più giovane di lui, che dice di apprezzarne soprattutto «la parte femminile, che è grande...» • Oscar alla carriera nel 95. Orso d’oro a Berlino per La notte nel 61. A Cannes Premio della Giuria per L’avventura (60) e L’eclisse (62), Palma d’oro nel 67 per Blow-up. A Venezia, Leone d’oro nel 64 per Deserto rosso, Leone d’oro alla carriera nell’83 • «Il mio regista preferito è Kieslowski: adoro Film rosso» • «Archetipo dell’Artista lontano dal cinema come mestiere e routine professionale, come
intrattenimento, clamore. L’Autore per eccellenza, artefice di un cinema indifferente alle ragioni della
produzione e del commercio. Non che non contasse e non conti il suo essere
cineasta, certo che no: al contrario il suo sguardo ha profondamente mutato l’idea stessa di cinema, la concezione dello spazio cinematografico. Ma avrebbe
potuto essere uno scrittore o un pittore, un filosofo. Un filosofo con la
macchina da presa» (Paolo D’Agostini)
• «è il primo autore del dopoguerra ad abbandonare le sacche dell’Italia arretrata e rurale, per accostare, senza il moralistico bisogno di
condannarlo dall’inizio, quello della borghesia. Dai primi film ha cercato di sostituire il
viaggio verso il Sud e le zone più lontane e sottosviluppate del paese compiuto da scrittori, pittori e registi
negli stessi anni, con un viaggio alla scoperta dei prismatici e illusionistici
giochi dell’apparire e dell’essere. Agli spazi reali ha sostituito il tentativo di percepire le distanze tra
gli spazi interiori. Il visibile - grazie a lui e a Fellini - si presenta come
una realtà a
n dimensioni. L’autore dell’Avventura e di Deserto rosso respira più di tutti lo spirito di una parte della pittura contemporanea che va da Morandi
a Burri, da De Chirico fino a Bacon» (Giampiero Brunetta) • «Un linguaggio sempre più rigoroso ed essenziale, uno stile cadenzato su ritmi lenti, lunghe
inquadrature, tempi drammaturgicamente “morti”, al limite del formalismo o dell’astrattismo, ci hanno dato, della realtà contemporanea, una rappresentazione prospettica, sfaccettata, totalmente libera
dai canoni figurativi e spettacolari tradizionali. Quasi un nuovo modo di
vedere il reale» (Gianni Rondolino) • «Senso di panico, di incomunicabilità, le parole, sempre più inadeguate, si rarefanno allo scorrere dei fotogrammi, la trama si dissolve...» (Giorgio Carlevero) • Nel pieno del trionfo di Blow Up, gli disse scherzosamente il suo grande amico Monicelli: «Tu dieci anni fa facevi film in anticipo di dieci anni. Adesso coincidi. Tra
dieci anni farai film vecchi di cinque anni...».



VIZI «è uomo assai permaloso; subito si fa vivo per protestare se non condivide i
giudizi espressi; non li tollera se non dall’entusiasmo in su» (Alberto Arbasino).