Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DULBECCO
Renato. Catanzaro 22 febbraio 1914. Scienziato. Premio Nobel per la Medicina nel 75. «Dio potrebbe esserci. Ma non lo vedo» • A 16 anni entra all’Università di Torino, dove si laurea nel 36. Si iscrive alla facoltà di Fisica, che frequenta fino al 47, quando lascia l’Italia per gli Stati Uniti. Lavora come ricercatore all’Università di Bloomington, nell’Indiana, poi al California Institute of Technology. La sua scoperta più importante riguarda il meccanismo con cui i virus attaccano le cellule
modificando il loro contenuto genetico. Nell’86 la proposta di costruire una mappa del genoma per decifrare il patrimonio di
centomila geni che compongono la struttura umana
• «Laureato in Medicina a soli 22 anni, Dulbecco è stato il padre della virologia moderna, uno dei pionieri dello studio del
cancro, l’alfiere della lotta contro il fumo, l’ideatore del Progetto Genoma, un divulgatore di talento, un opinionista da prima
pagina, il presentatore di un Festival di Sanremo, il testimonial d’onore del Telethon e, dulcis in fundo, l’ispiratore di un personaggio di fumetti chiamato Dulby. Ha studiato a Torino col
professor Giuseppe Levi, e ha avuto come compagni di studi Salvatore Luria e
Rita Levi Montalcini» (Piergiorgio Odifreddi)
• Non è strano che da una stessa scuola siano usciti tre premi Nobel? «Statisticamente, è un po’ improbabile. Però bisogna tener presente la personalità di Levi, che ha avuto un’influenza molto utile e benefica. Lui incoraggiava molto a fare, ma era
estremamente critico: quando uno aveva un risultato e glielo faceva vedere,
bisognava convincerlo. Il più delle volte trovava i punti deboli, che è quello che ci vuole per fare uno scienziato: può essere una ragione per cui queste tre persone sono poi arrivate a certi
traguardi. Con Luria ho lavorato negli Stati Uniti per due anni. Con la Levi
Montalcini dividevamo l’ufficio a Torino, e per combinazione siamo partiti per l’America sullo stesso vapore polacco, che si chiamava Sovietsky. Là non stavamo lontani, io a Bloomington con Luria e lei a Saint Louis, per cui
ogni tanto ci trovavamo, chiacchieravamo, parlavamo di quello che facevamo. è stato un gruppo sempre unito anche in seguito. Dopo la guerra, quando sono
ritornato a lavorare da Levi, l’idea dei geni mi affascinava. Ma nessuno ne sapeva niente e non se n’era mai parlato a Medicina, nessuno ce li aveva insegnati. Io credevo che l’unico modo per studiarli fosse di usare radiazioni, e mi sono iscritto a Fisica
per sapere come le radiazioni funzionano, e come poterne analizzare gli
effetti: il fatto è che la fisica mi è sempre piaciuta, e anche la matematica. Già nella scuola media ero il più in gamba in quelle materie»
• In occasione del Nobel prese una posizione netta contro il fumo: «Vennero quelli del gruppo di Richard Peto, che aveva dimostrato che il tabacco
produce il cancro del polmone, e, siccome avevo preso il Nobel, mi dissero che
era un’occasione da non perdere. Io mi sono entusiasmato e ho fatto quella
dichiarazione: quando arriva il Nobel si diventa un po’ matti. Dopo il Nobel decisi di concentrarmi su cancri di significato medico, ad
esempio quello del seno. Era chiaro che molti geni dovevano cambiare attività col cancro, ma non si sapeva quali. A quell’epoca se ne conoscevano pochissimi, e ho pensato che bisognava assolutamente
studiarli sistematicamente e sequenziare il genoma. Lo proposi nella primavera
dell’85, in una conferenza a Cold Spring Harbor, e mi ricordo lo scetticismo
generale, pensavano fossi matto. Poi però qualcuno cominciò a dire che non era poi un’idea così pazzesca, e io scrissi l’articolo per Science. Era il marzo 86. Avevo fiducia, e l’ho scritto. Non avevamo le tecnologie, ma se la gente ci si mette le tecnologie
arrivano. E infatti sono arrivate».