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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CUTICCHIO

Mimmo Gela (Caltanissetta) 30 marzo 1948. Puparo • «Il più potente cuntista della scena italiana, michelangiolesco scultore di sillabe,
omerico cantore di cicli cavallereschi, superbo uomo siciliano dotato di barba
storica e di sapienza fisica, padre putativo di una genia di raccontatori,
artista-mito dell’Opera dei Pupi, Cuticchio è la personificazione delle teorie di Kleist sulla marionetta, della pittura
corporea di Covili, della lezione accentratrice e sinfonica di Carmelo Bene, e
di suo ci mette una malia da remoto racconto d’inverno shakespeariano non esente da ghigni» (Rodolfo Di Giammarco)
• «Lo guardi e pensi a Polifemo, perché è grande, forte, nero. Ma lui dice di avere l’anima di Icaro. Salire verso il Sole è per lui un rovello e uno scopo. Anche disobbedendo a Dedalo, il padre. E lui al
padre ha disobbedito. Fu a Torino, in una tappa del viaggio in treno che da
Parigi riportava a Palermo padre e figlio, nel febbraio del 67. Seduto nella
sala-museo di via Bara all’Olivella, proprio di fronte al teatrino in cui ogni giorno danno spettacolo i “Figli d’arte Cuticchio”, Mimmo ricorda quell’episodio come la svolta radicale. Aveva diciannove anni. Fino a quel momento era
stato il compagno più fidato di suo padre Giacomo. Vivevano e lavoravano in Sicilia, dove suo padre
aveva cercato di salvare una tradizione che guerra ed emigrazione avevano quasi
cancellato. Mimmo ricorda che suo padre mise i pupi sul carretto e fece un
viaggio a ritroso nel tempo: portò i pupi nei paesini dove non esisteva alcuna forma di divertimento: nei paesi di
mare in inverno, in montagna d’estate. In ogni luogo montava un teatrino dentro i magazzini che affittava e non
smontava alla partenza: li lasciava pronti per il ritorno. Mimmo visse così per diciannove anni, passando per tutte le fasi del lavoro con i pupi,
cambiando continuamente casa che era anche teatro, cambiando scuola e compagni.
Oggi dice: “Sono fortunato, perché ho la tradizione addosso”. Ma a diciannove anni, a Parigi, capì che suo padre era Dedalo e lui Icaro. Palermo aveva donato all’Ambasciata d’Italia stucchi e arredi di un palazzo famoso. Giacomo Cuticchio fu invitato a
inaugurare la sala dell’Ambasciata in cui furono rimontati gli stucchi. Altri spettacoli furono portati
nella “cave” di una libreria in Boulevard St. Michel, nel quartiere latino. Ma Giacomo
Cuticchio non ci si trovava. Lo imbarazzava avere un pubblico di bianchi e di
neri. Domandava: “Ma chi devo far vincere, i saraceni?”. E decise di tornarsene a casa. La libreria era diretta da Enrico Pannunzio,
che gli disse: “Lasciami tuo figlio”. E lui: “No, ti lascio il mio aiutante”. Sul treno che correva verso Palermo, quella decisione ronzava nella testa di
Mimmo, che improvvisamente sbottò: “Ma come! Lasci i pupi, lasci un estraneo, e non lasci me?”. La tappa di Torino fu fatale. Mimmo scese dal treno e al padre allibito disse:
“Vai avanti tu, io prendo il prossimo”. Invece andò a comprare un biglietto per Parigi. Lui non si era mai chiesto se doveva far
vincere i bianchi o i neri» (Osvaldo Guerrieri).