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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FALETTI

Giorgio Asti 25 novembre 1950. Attore (da ultimo il professore cattivo di Notte prima degli esami). Cantante (secondo al Festival di Sanremo 94 con Signor tenente). Scrittore (di bestseller come Io uccido). «Antonio Ricci dice: se Giorgio si mette in testa di fare il lampadario vedrai
che se si appende prima o poi gli uscirà la luce dal sedere» • «Non mi piaceva studiare, la laurea in Giurisprudenza l’ho presa solo per non deludere mio padre che era una persona metodica e
pragmatica. Papà faceva il venditore ambulante e per me avrebbe voluto una vita diversa. Sicura,
ordinata, precisa, magari con il posto fisso» • «Con la laurea in tasca il giovane Giorgio non ci pensa nemmeno a fare l’avvocato. Preferisce aprire, insieme con due amici, uno studio pubblicitario ad
Asti, la sua città. È un’attività creativa e indipendente, ma a ventisei anni lui, che la vena comica ce l’aveva nel sangue, scopre che con l’umorismo si può anche campare. E sale sul palcoscenico. “Mi piaceva talmente che lavorare per me era come un’eterna vacanza”. Recita al Derby club di Milano e non solo. E con molti comici oggi di
successo, Teo Teocoli, Massimo Boldi, Claudio Bisio, Francesco Salvi. Debutta
in tv con Raffaella Carrà e, a metà degli anni Ottanta, approda al mitico
Drive in. Passa, tra l’altro, per Emilio e per Zelig e inventa personaggi esilaranti come il Vito Catozzo le cui “vita e gesta” sarebbero poi state raccontate nel libro Porco il mondo che ciò sotto i piedi. Poi un giorno si fa male a un ginocchio, sta fermo per due mesi e muta ancora.
“Sentivo che quello che stavo facendo non mi bastava più. Ma, mentre ero sicuro di quello che non volevo, non sapevo ancora che cosa
avrei voluto fare. Poi, grazie a quello che avevo imparato fino ad allora,
percepii la differenza che c’È tra essere un musicista, e l’essere, come me, un musicale. Il primo È qualcuno che ha studiato e che ha una cultura specifica e mirata. Il secondo È solo un appassionato. Mi accorsi che la tecnica poteva fornire aiuti preziosi a
tutti e che, ormai, perfino un semplice tasto È in grado di garantire accordi già pronti”. Detto e fatto, eccolo raccogliere la nuova scarica di adrenalina. Il primo
album
Disperato ma non serio lo produce Mario Lavezzi e vende ottantamila copie. E quando Faletti va avanti
non si ferma più. Nel 94 arriva secondo al festival di Sanremo con Signor tenente e scrive canzoni per Angelo Branduardi, Fiordaliso, Gigliola Cinquetti e Mina» (Silvana Mazzocchi) • «Dopo Minchia signor tenente ho inciso altri due album e ho riprovato ad andare a Sanremo. Mi hanno risposto
no grazie, vogliamo i professionisti. E pensare che nel 94 ero arrivato secondo
e avevo vinto il premio della critica! Il mercato discografico È mosso da logiche imperscrutabili. Ma io non credo ai geni incompresi. Forse non
avevo le qualità... » • «Far ridere È un dono, una qualità magica. E sentirsi dire che sei un grande scrittore È meraviglioso. Ma vuoi mettere quando sali sul palco con una chitarra in mano?
Non c’È niente di più eccitante. È un’emozione impagabile» • «Inventare personaggi comici come Vito Catozzo non È mica facile, serve una tonnellata di creatività ma da centometrista perché il pezzo di cabaret dura cinque minuti. Che cosa È successo poi nella mia testa? È stata la canzone Signor Tenente che mi ha cambiato la vita. Mi sono reso conto che potevo esprimermi in altri
modi. Ho iniziato a scrivere raccontini seriamente, li ho fatti leggere a
qualcuno che mi ha esortato a cercare un editore (ma il primo che ha avuto in
mano Io uccido neanche mi ha considerato: chissà se se n’È mai reso conto?). Mi sono scoperto in possesso di un’autodisciplina che non sospettavo» (da un’intervista di Gloria Satta) • «Forse non mi sarei mai messo a scrivere se nel frattempo non fosse arrivata la
videoscrittura. La possibilità di poter spostare blocchi, cambiare, rifare, mi ha conquistato. Trascinato» • Con il romanzo d’esordio Io uccido ha avuto subito grande successo di pubblico e di critica: «Io non riesco a capire a priori che accoglienza avranno le mie opere. Per
esempio ero convinto che i miei dischi con Branduardi fossero dei capolavori e
invece non È successo nulla. È stata quindi una sorpresa il boom di Io uccido. Per Io uccido ho avuto davanti a me un tempo illimitato. Fare lo scrittore assomiglia per
certi versi al lavoro che si fa nel cabaret: bisogna osservare bene i caratteri
dei personaggi della vita reale, e poi fissarli in un testo, in un
comportamento. In più, per un libro devi visitare i luoghi (e io l’ho fatto). Ho disseminato il romanzo di soggetti folli, in cui c’È davvero della pazzia a volte cattiva e pericolosa, a volte solo derivata dall’incapacità di elaborare il dolore. E mi È piaciuta l’idea di concentrare questi caratteri, che non fanno mai ridere, al contrario di
Vito Catozzo, nel posto che È l’icona della normalità, il Principato di Monaco. Dove ho abitato per quattro anni ai tempi in cui
correvo in auto (e poi sono fuggito per noia). Ambientarlo lì o a Matera costava la stessa fatica. Tanto valeva scegliere un posto di fama
internazionale» (da un’intervista di Mario Luzzatto Fegiz)
• «Io uccido È un libro di quasi settecento pagine, che segue alla lettera la tradizione del
thriller americano di alto artigianato e dove nulla denuncia la cittadinanza
dell’autore (niente misteri da capoluogo di provincia, neanche un filo di nebbia
padana, non un arancino, non un proverbio in dialetto) né, tanto meno, le sue precedenti appartenenze. Faletti, insomma, brucia in un
colpo lo stereotipo del giallista langhigiano che scrive del cardo gobbo e
quello del personaggio noto che riversa nella sua prima esperienza di scrittura
il mondo che conosce, secondo l’antica consuetudine per cui un giornalista ambienterà il suo giallo in una redazione e un personaggio televisivo disseminerà di cadaveri i corridoi di viale Mazzini. Mira altrove» (Loredana Lipperini)
• «Ricordo tutti i miei professori con infinita riconoscenza, a scuola ero sempre
animato da una terribile voglia di muovermi, star seduto dietro il banco era
uno sforzo terribile. Con me gli insegnanti usavano il metodo del bastone e
della carota, ma devo dire che di carote ne ho viste poche... Ero bravo in
italiano e nelle materie umanistiche, non facevo temi ma raccontini, avrei
dovuto continuare su quella strada, invece i miei genitori tenevano molto al
diploma, al famoso pezzo di carta, così mi fecero iscrivere a ragioneria. Per fortuna sono curioso, così, dopo, negli anni, ho cercato di sapere di più sulle cose che m’interessavano. Naturalmente continuo a ritenermi ignorante come una sardina, ho
delle preferenze, ci sono degli autori che mi piacciono, e che mi hanno
influenzato, ma evito di star lì a pontificare»
• «Quello che mi spinge a fare le cose È soprattutto il desiderio di rivivere l’attimo straordinario in cui ho sentito che stava per arrivare il successo» • Vive all’Elba: «Mi piace andare in barca con gli amici o giocare a tennis. Giocare a tennis, per
me, significa mandare la palla dall’altra parte della rete» • «Ho giocato, benino, a basket, ma quello È uno sport classista: se sei corto, stai a casa. Ho corso in auto, rally, dall’85 al 98, c’ero al Rally di Sanremo nel 92 con la Martini Delta. Anche se facevo più ridere da pilota che da comico» • È «vagamente juventino»: «Tifo per Del Piero perché si È fatto male, È stato in crisi, ma si È saputo risollevare con l’impegno, senza polemizzare e autodistruggersi» • Nel 2002 È stato colpito da un leggero ictus («adesso che sto meglio so che non siamo eterni e mi sbrigo a fare quello che ho
voglia di fare»).