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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

MAZZOLA

Sandro (Alessandro) Torino 8 novembre 1942. Ex calciatore. Con la Nazionale è stato campione d’Europa nel 68, vicecampione del Mondo nel 70 (in tutto 70 presenze e 22 gol).
Con l’Inter ha vinto quattro scudetti (63, 65, 66, 71), due coppe dei Campioni (64,
65), due coppe Intercontinentali (64, 65). Secondo nella classifica del Pallone
d’oro 71 (dietro Johan Cruyff), 8° nel 65 e nel 70, 10° nel 67, 14° nel 66 e 73, 15° nel 72, 17° nel 68, 19° nel 64
• «La bandiera interista più grande di ogni tempo» (Matteo Marani) • «A un certo punto, l’etichetta di figlio del leggendario Valentino divenne quasi ingombrante.
Sandrino Mazzola era nato a Torino, dove il padre era il leader della squadra
granata destinata alla storia. Presto i genitori si separarono, lui rimase col
padre, facendo da mascotte nelle partite casalinghe. Quando l’aereo della squadra si schiantò a Superga aveva appena sei anni. Si ricongiunse alla madre, a Cassano d’Adda, e al più giovane fratello Ferruccio e cominciò presto a sentire il richiamo del sangue per la sfera di cuoio. I primi calci
nella Milanesina, la squadretta dell’oratorio, e l’interessamento di Benito Lorenzi, compagno di Nazionale del padre, che fece
ingaggiare Sandrino e Ferruccio come mascotte dell’Inter tricolore di Foni, furono l’anticamera del provino per i colori nerazzurri. A 14 anni Sandrino entrò a far parte della grande famiglia, ma a diciannove si sentì snobbato dai tecnici e andò a Torino col patrigno, Piero Taggini, a chiedere invano un provino granata all’ex presidente Ferruccio Novo. Due mesi dopo, per protesta, Moratti mandava in
campo la squadra ragazzi per la discussa ripetizione della partita con la
Juventus, il 10 giugno 61, concedendogli l’esordio, condito dall’unico gol (su rigore) dell’1-9 finale. Helenio Herrera mise gli occhi su di lui e lo convinse a cambiare
ruolo: non più centrocampista di regia, ma interno di punta, a sfruttare le rasoiate del suo
dribbling. Un’altra presenza nella stagione successiva, poi il lancio in prima squadra.
Scontento della lentezza di Maschio, il Mago lancia il ragazzino dal cognome
esagerato e nasce una stella. I suoi dieci gol sono un viatico per il primo
scudetto della Grande Inter e il mondo del calcio scopre che Valentino Mazzola
ha lasciato un degno erede. Esile e agile, con uno scatto bruciante e un
controllo di palla perfetto, diventerà celebre nel mondo per alcuni gol sensazionali: su tutti, il primo segnato al
Vasas Budapest, in coppa dei Campioni, l’8 dicembre 66, dopo aver scartato in un fazzoletto d’area cinque giocatori. Il 12 maggio 63 esordisce in Nazionale, 3-0 al Brasile di
Pelé» (Carlo F. Chiesa)
• «In Nazionale emerge la grande rivalità con Gianni Rivera, alimentata anche dalla miopia di alcuni commissari tecnici,
Valcareggi in testa, i quali ritengono impossibile la convivenza dei due
fuoriclasse. Famosa la staffetta ai Mondiali di Messico 70» (Germano Bovolenta) • Momento peggiore della carriera ai Mondiali del 66: «Italia-Corea. Lo spogliatoio in lacrime, il senso di tragedia. Poi la comicità involontaria di Fabbri: “La comitiva si scioglie, ognuno va a casa da solo”» • «Cosa pensa che la gente ricordi, di lei? “La correttezza e i gol”. Quali gol? “Quello di Budapest, entrando in porta con la palla. A Vienna, con il Real. A
Basilea, con la Nazionale, dopo sette palleggi consecutivi”. Alla fine, non teme di passare alla storia solo per la staffetta? “Abbiamo giocato insieme 50 partite, e si ricorda solo di quelle tre in cui ci
siamo dati il cambio: il solito vizio italiano. Fra l’altro, quella staffetta è nata da un mal di pancia”. Ovvero? “Mi colpì la vendetta di Montezuma alla vigilia della partita con il Messico, passai la
notte in bagno. Il giorno dopo, Valcareggi capì che potevo giocare solo un tempo e programmò la staffetta. Curioso: si è parlato tanto di una cosa nata per una questione di cacca”. Quanto le è pesato chiamarsi Mazzola? “Un macigno: ero soltanto il figlio di Valentino, un erede neanche troppo degno.
Pensai pure di smetterla con il calcio, tant’è vero che mi diedi al basket. Feci un provino con la Simmenthal: mi presero, ero
un buon play. Ma poi mi sono detto: che diavolo ci faccio qui? E sono tornato
al calcio, nonostante mia madre non volesse”. Perché? “Perché il calcio gli aveva portato via il marito e temeva che distruggesse pure me. Mi
requisiva il borsone, le scarpe. Poi raggiunse un compromesso, con me e mio
fratello Ferruccio: se fossimo stati promossi a scuola, avremmo potuto giocare.
è per questo che mi sono diplomato in ragioneria”» (da un’intervista di Emanuele Gamba).