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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

«PROSCIUTTO ITALIANO ADDIO. E’ OTTIMO, MA COSTA TROPPO»


La crisi del settore Costi raddoppiati e prezzi di vendita fermi da dieci anni

Allevatori disarmati dalla concorrenza (sleale) europea

BRESCIA - «Se va avanti così, non c’è neanche più da lanciare grida di allarme. A fine anno si chiude e ciao ciao prosciutti dop. E ciao marchi». Andrea Cristini, 40 anni, un allevamento (con i fratelli) da 15 mila maiali l’anno, vicepresidente di Coldiretti Brescia, è una delle tante voci di un settore, quello suinicolo, che non solo non conosce i (pur modesti) segni di ripresa registrati dal resto del mondo agricolo, ma peggiora.
Meno 19% dal 2007 al 2010: gli allevamenti erano 4.341, sono 3.530. Eppure, al supermercato continuiamo a comprare prosciutto e salumi. E allora? «Allora, per spiegarmi faccio un paragone automobilistico - dice Cristini dalla sua cascina di Isorella, nel cuore della Bassa bresciana -. È come se noi producessimo belle macchine di lusso: ma poi ce le vendesse il salone di qualità bassa, diciamo (con rispetto) di auto cinesi. Non ci possiamo stare dentro».
È come per il latte, come per i formaggi: il prodotto italiano è di qualità superiore. Ma a causa dei costi di produzione non sopporta la concorrenza europea. E, in tempi di bilanci familiari sempre più stretti, la crisi si moltiplica.
La grande distribuzione, ancora una volta, è messa sotto accusa dal mondo agricolo. «I nostri prosciutti sono fatti con la coscia di un animale "maturo": vuol dire che ha raggiunto i 9, 10 mesi e sopra la polpa ha uno strato di grasso di un paio di centimetri. E quello che permette al sale di essere assorbito nel modo giusto, perché il prosciutto sia saporito e dolce: il Dop, quello che va prodotto in un certo modo, da animali che mangiano certe cose e vengono allevati con criteri precisi». Al supermercato, dicono gli allevatori, mettono sul bancone i prosciutti dop a fare da «specchio per le allodole»: perché costano 30, 35 euro al chilo. Tanta gente al momento di fare la spesa si fa però ingolosire dal crudo senza marchio, che costa 22, 23 euro.
È quello prodotto con la carne importata dal Nord Europa: da Olanda e Danimarca nel 2010 sono arrivati 500 mila maialini (+40%), tanti quanti ne sono mancati nelle stalle «nostrane» costrette a chiudere. Perché costano meno i maiali stranieri? «Perché vengono macellati più giovani, a 6-7 mesi e perché non sono allevati secondo i nostri disciplinari, molto più severi». Però da quei suini, troppo magri, si ricava un prosciutto che costerà anche meno, ma «sa soltanto di sale». Con questa crisi ha qualcosa a che fare l’immagine del maiale che ha la carne grassa, pesante? «No. Anche perché la carne del maiale, ormai, è tra le più magre e con meno colesterolo».
Gli allevatori vendono allo stesso prezzo da dieci anni, mentre i costi di produzione (per esempio quelli dei mangimi: mais, soia e frumento) sono raddoppiati. «Siamo al punto di non ritorno» conferma il presidente di Coldiretti Lombardia Nino Andena. Alla Regione gli allevatori hanno chiesto aiuto per le rate dei mutui e gli interessi sui finanziamenti, ma il capitolo più importante, quello decisivo, sarebbe l’obbligo di indicazione di origine dei prodotti. Intanto in Lombardia (che realizza il 40% della produzione nazionale) l’assessore Giulio De Capitani ha chiesto lo stato di crisi per il settore già tre mesi fa: sta ancora aspettando risposta.

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IL TOTALE DEL CAPI: 4.909.623 in Lombardia; 13 milioni in Italia

IL TOTALE DEGLI ALLEVAMENTI: 3.530 in Lombardia, 7.500 in Italia

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• Capi:
Bergamo 323.043
Brescia 1.466.352
Como 11.554
Cremona 1.018.937
Lecco 2.837
Lodi 455.717
Mantova 1.294.665
Milano 71.091
Monza-Brianza 3.539
Pavia 269.264
Sondrio 1625
Varese 999

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• Allevamenti:
Bergamo 488
Brescia 1.004
Como 126
Cremona 385
Lecco 97
Lodi 208
Mantova 631
Milano 153
Monza-Brianza 40
Pavia 186
Sondrio 106
Varese 106

Fonte: Regione Lombardia