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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BENIGNI

Roberto Misericordia (Arezzo) 27 ottobre 1952. Attore. Regista. «La merda della maiala degli stronzoli nel culo delle poppe piene di piscio con
gli stronzoli che escon dalle poppe dei budelli dei vitelli con le cosce della
sposa che gli fotte fra le cosce troppe seghe dentro il cazzo troppi cazzi
dentro il culo» (lamento di Cioni).



VITA Premio Oscar come miglior attore protagonista 98 per La vita è bella (Oscar anche come miglior film straniero e migliore colonna sonora). Studi al
tecnico commerciale Datini di Prato. Debutto nel 72 al Metastasio di Prato con Il re è nudo di Eugenij Schwarz. Lascia quindi Vergaio (periferia di Prato), dove la
famiglia si era trasferita, per seguire a Roma gli amici Donato Sannini, Carlo
Monni e Lucia Poli. Tre anni con Lucia Poli ai Satiri e al Teatro San Genesio
di Roma, qualche comparsata in televisione (Le sorelle Materassi), ingaggio nel 75 da parte di Giuseppe Bertolucci che lo porta all’Alberichino (il teatro più off dell’epoca) per fargli interpretare il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia: monologo del contadino Mario Cioni che racconta della sua grama vita di paese,
il sesso, il partito, gli amici, la madre morta. Nel 77 debutta in televisione
con Onda libera, che in un primo momento doveva chiamarsi Televacca. è sempre il Cioni che, dalla sua stalla, irrompe nella normale programmazione tv
devastandola col proprio irriverente scilinguagnolo (altrove definito «torrentizia scurrilità genitale»). Quattro puntate e molte polemiche. Bertolucci, essendo tra l’altro in crescita la popolarità di Benigni, gli fa portare Cioni sullo schermo: il film si chiama Berlinguer ti voglio bene e racconta la storia del contadino Cioni, il quale crede di sfuggire alle
angherie della vita grazie alla rivoluzione mondiale che sarà portata dal segretario del Pci Enrico Berlinguer (è di quest’epoca, tratta da uno spettacolo al Pincio, la celebre foto in cui Benigni tiene
Berlinguer in braccio. Vedi anche BETTINI Goffredo). Con la chiamata in tv per
fare il critico cinematografico di Arbore ne L’altra domenica e con l’interpretazione del maestro elementare di Chiedo asilo (di Marco Ferreri) comincia l’ascesa sicura di Benigni verso la consacrazione e il successo. Arbore gli fa
fare il Pap’occhio (1980) e FFSS Che ti ho portato a fare sopra Posillipo se non mi vuoi più bene (1983). I problemi con la censura e con Fellini (che vuole querelare Arbore per
FFSS, film basato sull’idea che la sceneggiatura sia volata via dalla finestra del regista) ne
aumentano la popolarità. Nel 1983 fa la sua prima regia cinematografica (Tu mi turbi), durante la quale conosce sua moglie Nicoletta Braschi, cui segue Non ci resta che piangere, grande successo di pubblico (lo dirige e interpreta insieme a Massimo Troisi).
Gira due film negli Stati Uniti con Jim Jarmusch (Daunbailò del 1986 e Coffee and cigarettes del 1987) e ottiene la consacrazione definitiva nel 1989 quando Fellini lo
chiama a interpretare il suo ultimo lavoro, La voce della luna. Comincia, dopo Fellini, la collaborazione con Vincenzo Cerami, dalla quale
nascono quattro film: Piccolo diavolo, Johnny Stecchino, Il mostro e soprattutto La vita è bella con cui nel 1999 ottiene nove nomination e tre Oscar. Da ricordare che, quando
venne pronunciato il suo nome, Benigni attraversò la platea camminando sulle teste degli spettatori e ringraziando poi il
pubblico in un inglese alla Cioni che mandò in visibilio gli americani. Il film suscitò una marea di polemiche perché raccontava il lager con un tono da molti giudicato troppo leggero e sorridente.
Contrastanti anche i giudizi sui suoi film successivi:
Pinocchio (dal libro di Collodi, il cui nome però non compare sui manifesti) e La tigre e la neve che ha come tema la guerra in Iraq • Benigni ha costruito un copione pressoché fisso delle sue apparizioni tv: grida, sorpresa e soprattutto, ormai atteso da
tutti, tentativo di toccare i genitali del presentatore o della presentatrice
di turno (la prima volta con la Carrà, un’altra volta con Pippo Baudo a Sanremo: suoi slanci sotto le gonne delle due
vallette Vittoria Belvedere e Manuela Arcuri) • Nel 1996 il libro E l’alluce fu (Einaudi) • Sua maschera fissa: abito intero scuro e camicia bianca aperta, che tende a
uscire dai pantaloni. Finta aria trasandata, negata dalle scarpe costose • Misericordia è la frazione di una frazione nell’hinterland di Arezzo. I Benigni (Luigi e Isolina, contadini prestati all’industria tessile) abitavano in un casermone, padre e madre e tre sorelle più Roberto, in un lettone unico, senza luce elettrica. E senza cesso. «Scendere in campo per Berlusconi significa gettarsi in campo. Anche mio padre
scendeva in campo, ma per liberarsi l’intestino» • A Prato frequentò la stessa scuola di ragioneria dell’attrice Pamela Villoresi, di cui Benigni era segretamente innamorato. La
Villoresi: «Un giorno mi passò a prendere a casa e disse a mio padre: “Su Villoro, mandaci giù la maiala della tu’ figliola, che le si fa qualche servizino”. Io pensai che il mio babbo avrebbe chiamato la polizia e invece si mise a
ridere a crepapelle» • A 16 anni andò a Milano per bussare alle porte del Clan di Celentano, dove nessuno gli aprì. Non contento, si presentò al Cantagiro dove ricevette un altro rifiuto e finì nelle mani di uno pseudodiscografico, che si prese un milione di lire per
produrgli un disco e sparì subito dopo avergli consegnato una decine di copie (alcune delle quali ancora
in circolazione). Tra le canzoni Vogliamo un mondo più migliore, Zappa zappa contadino e Son finito in manicomio («Canto di dolore di un operaio tessile alienato») • è dotato di una memoria prodigiosa, è capace di riconoscere dopo molti anni qualcuno visto per pochi minuti e di
chiamarlo per nome • Andrea Scanzi, sulla Stampa (18 ottobre 2005), l’ha messa tra gli intoccabili, quelli di cui non si può mai parlar male (insieme a Baricco, Muccino, Virzì la Guzzanti ecc).



FRASI «Fellini usava spesso Pinocchio come un volume divinatorio: apriva una pagina a caso e poi diceva: “Vediamo un po’ cosa ci dice oggi Pinocchio”. è come la Bibbia e il Corano. Mi hanno rimproverato perché non c’era il nome dell’autore nei titoli del film. Ma che importa? è come dire: tratta dall’omonimo romanzo di Dio, ecco a voi la Bibbia». «Dante si descrive proprio come Pinocchio, “legno sanza governo portato via dalla divina povertade”» • «Il mi’ babbo quando vuole farmi un bell’augurio continua a dirmi “ti auguro di guadagnare sei o settecento milioni”, senza capire che sarebbe la disfatta totale» (nel 98) • «La cosa straordinaria è il fatto che la gente mi voglia bene e io voglio bene a chi mi vuole bene» • Dicono che i suoi film sono molto pudichi: c’è sempre l’amore sublime che tutto vince, non il sesso: «Sicuro che c’è, il sesso! Senza sesso non c’è storia. Sì, il sesso! I miei eroi hanno sempre uno spaventoso desiderio di amore! Non
vogliono solo parlare l’uno con l’altro, non vogliono l’amore platonico ma l’amore nel senso che ci si spoglia e si ama con il corpo. Tre volte al giorno!
Questa è la grandezza del vero amore. Un amore biblico, un erotismo che diventa
religione. Santo e meraviglioso. E vero. Molto sesso! Non esiste commedia senza
sesso».



CRITICA «Ai tempi di Onda libera e L’altra domenica, cioè nel 1976, Umberto Eco pubblicò sull’Espresso un pezzullo in cui, spiegato perché non gli piacesse (troppo ciarliero, troppo lutulento, troppi toscanismi),
scrisse: “Benigni è un comico che deve essere messo a tacere. E allora, quando può prendere la parola, vince”. Un quarto di secolo dopo gli risponde indirettamente, in un capitoletto del
libro Pensieri così (2002), Vincenzo Cerami, amico di Benigni e suo sceneggiatore: “Roberto attira ai suoi spettacoli la stessa folla di giovani che di solito si
accalca nei concerti di musica rock. è solo su un palcoscenico nudo, una chitarra poggiata alla sedia, un microfono.
Lo accecano i riflettori, all’inizio lo assordano le grida d’entusiasmo dei suoi spettatori. Ma appena parla, è il silenzio assoluto: la macchina Benigni si mette in moto e via via aumenta la
sua implacabile andatura... Quella di Roberto è una vera orgia, un bagno quasi metafisico dentro quell’umanità che non gli chiede altro che farla ridere, farla emozionare”» (Morando Morandini)
• «è una straordinaria maschera comica (uno Stenterello nostro contemporaneo) e ha
una grande forza comica, ma ha sempre bisogno di altri a “scriverlo”, a guidarlo. La mia convinzione è che egli sia stato un grande con Giuseppe Bertolucci e che sia diventato uno
qualsiasi con Vincenzo Cerami. Certo con Cerami, che non sembra amare il cinema
e i suoi spettatori come (forse) ama la letteratura e i suoi lettori, e che è sceneggiatore per motivi altri che l’amore dell’arte, ha fatto più denari che con Bertolucci, ma ha perso originalità ed è diventato un altro dei mille santini comici e brillanti di cui il nostro
ridanciano buonismo ha sempre bisogno. è più bravo, forse, di tutti i comici “scritti” dalla tv e dal cinema, ma a me non sta più simpatico. Tanto più quando fa la “furbata” di voler far ridere e piangere con un bambino e con il lager» (Goffredo Fofi)
• «Benigni è un incompreso. Scrive testi come l’Inno del corpo sciolto e lo paragonano ad Omero e Aristofane. Fa film comici che fanno piangere e film
tragici che fanno ridere. Chi ha sbagliato mestiere, lui o i suoi critici?» (Antonio Socci) • «Gioca benissimo con due note, a partire da Madonna maiala, e fa apparizioni straordinarie una volta all’anno: è bravo e ha fiuto, in un paese in stallo narrativo. Benigni non fa scandalo ma
fa incassi. Tanto di cappello, intendiamoci. L’hanno capito Mamet e Spielberg, che a proposito del suo film hanno parlato di “Shoah-business”. La sua forza è la simpatia, e l’intelligenza» (Luca Barbareschi) • Benigni è un poeta comico o un comico poeta, «come ha capito tutto il mondo. Poetico qualsiasi cosa dica, qualsiasi argomento
tratti, dal pisello di Pippo Baudo in su. Uno che ha la grazia di trasformare
perfino la merda in sublime, come nel suo straordinario Inno del corpo sciolto. Ed è forse questo che gli attira l’odio di chi, in genere, riesce naturalmente nell’operazione opposta» (Curzio Maltese) • «Nessun attore italiano (donne incluse) sa fare, per esempio con le gambe, quello
che sa fare lui. Ha un corpo “a disposizione” ed è qui la sua sapienza. A disposizione come quello di Pinocchio al quale somiglia
non per ribalderia, ma perché a Pinocchio bruciano le gambe, Pinocchio viene impiccato dal Gatto e dalla
Volpe, fa il cane da guardia col laccio al collo, viene inghiottito dal
Pesce-cane. Tutte cose che ci aspettiamo da Benigni. Tutto in funzione dell’effetto spettacolare, come in Benigni. Risulta imbarazzante, Benigni, quando
imposta lo sguardo pensieroso o dolente su primi piani della macchina da presa,
quello che ha imparato a stamparsi sulla faccia da Fellini (col quale ha
fornito la peggiore interpretazione della sua vita, per noi). Non a caso nella
gag che è anche il suo marchio di fabbrica, Benigni tiene i pugni in tasca mentre si
masturba e non sa decidere dove cade l’accento: “Berlìnguer o Berlinguèr”, recita. è una questione importante: con l’accento cambia il ritmo e col ritmo “la goduria”. E “godere come le vipere” è il primo dovere dell’uomo» (Dante Matelli)
• «Se è vero che non siamo solo ciò che siamo, ma anche ciò che siamo stati, allora Roberto Benigni è davvero difficile da ritrarre. Oggi, per quella strana omologazione che viene
conferita alle persone dal grande successo, Benigni è diventato una specie di gloria nazionale, e questa percezione che si ha di lui
finisce per cancellare il suo passato tutt’altro che istituzionale - un po’ com’è accaduto a Sandro Pertini quando è diventato presidente della Repubblica. I ragazzi intorno ai vent’anni, per esempio, se si limitassero a farsene un’idea per ciò che di Benigni hanno direttamente conosciuto (l’enorme successo degli ultimi anni, appunto, i premi Oscar, l’abbraccio nazional-popolare delle sue recenti apparizioni televisive) potrebbero
addirittura crederlo un semplice fenomeno di massa, come il Gabibbo o
Chicken Little - familiare, industriale, e dunque sostanzialmente inoffensivo -, prendendo un
granchio enorme» (Sandro Veronesi) • «Per certi aspetti il suo percorso è l’esatto contrario rispetto a quello compiuto da Carmelo Bene. Carmelo dissipa e
getta via (i soldi, la voce, il teatro stesso); Benigni invece inventa e
folgora, ma sa anche conservare, amministrare e amministrarsi, investire con
oculatezza, in questo simile più a Chaplin, che invecchiò da miliardario svizzero, che a Buster Keaton, che finì a stento, facendo anche la comparsa per Franco&Ciccio. Dopo aver fatto arricchire altri produttori (i Cecchi Gori
specialmente), assistito da Nicoletta Braschi, solida compagna di vita e di
schermo, fonda nel decennio 90 una casa produttrice indipendente, la Melampo, e
partecipa alla spartizione degli incassi» (Claudio Carabba)
• «Il serbatoio affettivo di cui gode Benigni è sconfinato. Perfino un disastro come Pinocchio è stato un successo al botteghino. L’artista non è più quello di Berlinguer ti voglio bene, ma lo spettatore lo segue ancora, constatandone lo slittamento da guastatore a
comico “zuppo d’amore, santo, regalo dal cielo”. è un pubblico fedele ma disorientato, che sogna nuovi monologhi di “patonze” e “batacchi”, di fronte a Carrà fintamente attonite. Proprio gli show a corpo sciolto, dove le volgarità perdevano le grevità, costituiscono il collante del patto tra autore e spettatore» (Andrea Scanzi)
• «Da lontano si possono fare tanti pensieri sul Benigni “divo” ma trovarselo davanti è un’altra cosa. è una questione di fisico, come sempre nei grandi comici. Una volta ha detto che
i grandi comici, visti da vicino, fanno paura. “Pensi a quel che c’è dietro. Ci vogliono secoli di miseria e stenti per comporre la faccia di Totò”. Chissà quante generazioni di fatica e sudore nelle campagne toscane ci sono volute per
creare l’alchimia leggera di un Benigni» (Maltese)
• «Benigni? Il più grande di tutti. Io lavorare con lui? Ma va’. E per far cosa: il cameraman? » (Giorgio Panariello) • «La cultura da cui viene è “anda e rianda”, come dicono a Vergaio, periferia di Prato. “Anda e rianda” vuol dire questo e quello, su e giù. Più giù che su. “Noi siamo quella razza/ che al cinema s’intasa,/ per vedere donne ignude/ e fassi seghe a casa” dice Carlo Monni nel film Berlinguer ti voglio bene, piccolo misconosciuto capolavoro diretto da Giuseppe Bertolucci. Benigni ci
faceva il Cioni Mario, sottoproletario di campagna. è la migliore interpretazione cinematografica di questo attore, una spanna sopra
a tutti i film diretti da lui stesso (La vita è bella incluso), da Fellini, Citti e Ferreri e anche da Renzo Arbore che lo usò bene nel Pap’occhio. La razza e il contesto in cui è cresciuta la pianta Benigni includono il prete incazzoso che urla “Ti venga una paralisi ai coglioni”, il segretario del Pci che si domanda se “è giusto che la donna competa con l’uomo nel senso della parità”, la bella Bambina dai capelli turchini che seduce una biondina promettendole
cunnilingus da dodici ore per volta, un imbianchino frocio: “In questa notte/ scura come l’inferno/ meglio esser buco/ che uomo moderno» (Matelli)
• è un prete mancato: «è vero. Ma in seminario ci sono stato solo due mesi. I gesuiti vennero a casa
nostra e mi chiesero se sentivo qualcosa. Una vocazione. Io risposi: sì, sento qualcosa. I gesuiti dissero: vieni da noi domani. I miei genitori erano
poveri e ovviamente mi mandarono subito a Firenze nel seminario. Poco dopo ci
fu la grande alluvione, quella del 1966, e io me la svignai”» • «Un “Wojtylaccio” sparato a sorpresa al festival di Sanremo turbò le anime pie che già si erano imbarazzate per certi scherzi surrealmente blasfemi, come il più volte replicato decalogo dei peccati di Dio (“I sette vizi capitali, lui ce l’ha tutti, in pieno. Superbia oh, se c’è uno più superbo di lui: ‘Io sono l’essere perfettissimo, presentissimo, meglio di me non c’è nessuno. Nembo Kid lo piglio di tacco, in confronto a me Buddha è un imbecille’”» (L’Europeo)
• «Benigni me lo ricordo trent’anni fa: faceva i numeri ai tavoli dei ristoranti romani, almeno quelli gli
venivano bene. Non ricordo invece un suo film riuscito, tranne forse Johnny Stecchino» (Zeffirelli)


POLITICA Il suo pronunciamento contro Berlusconi, in un’intervista con Biagi in prima serata su Raiuno alla vigilia delle elezioni 2001,
è uno dei tre attacchi televisivi che hanno provocato l’ira di Berlusconi (gli altri due sono quelli di Santoro e Luttazzi). Biagi,
Santoro e Luttazzi, dopo le elezioni del 2001, sono stati allontanati dal
video. Benigni ci è invece tornato spesso come ospite, da ultimo anche durante il Rockpolitik di Celentano (2005). Nel 2002 la notizia che sarebbe andato a Sanremo provocò l’annuncio di un lancio di uova da parte di Giuliano Ferrara, rivelatosi poi una
beffa (Ferrara se ne restò nella sua casa in campagna e lanciò sei uova contro il teleschermo durante l’esibizione di Benigni) • «è il classico furbacchione di regime» (Giuliano Ferrara) • «Ognuno di noi è orgoglioso delle sue scelte, anche di nominare il ristorante dove va a
mangiare. Perché devo nascondere la mia parte politica? Io do più fiducia a certi che a certi altri. Che c’è di male?» • «Quando parla di politica dovrebbe citare di più la sinistra, e non solo Fassino, che è il migliore. Quello di Berlusconi rimane un problema edipico. Vuole essere
ecumenico piuttosto che trattare male. è un genio del marketing. è l’uomo meno politico del mondo. Ha preso per i fondelli la sinistra da vent’anni, baciando e abbracciando i D’Alema di turno, ma come tutti i veri artisti è egoista di fondo, settario. Una cattiveria di segno positivo, per me» (Barbareschi)
• «Non sono mai stato in un partito. La vera impronta me l’hanno data i vecchi partigiani, nel paese e a casa. Per me erano eroi omerici.
Non si voleva l’uguaglianza. Si voleva solo un po’ meno disuguaglianza. Mi ricordo ancora che una volta, nel mio paese, il Pci
prese il 53 per cento dei voti. Ed ecco tutti a dire: compagni, siamo troppi!
Comunque non sono mai andato a una dimostrazione o una riunione di partito» • «è dovere del comico attaccare il governo. Ma non è dovere del governo attaccare i comici» • «In Italia basta che io dica: Silvio Berlusconi! e tutti scoppiano a ridere. Già il nome di Berlusconi preannuncia un clown».


VIZI è sposato con la collega Nicoletta Braschi, che impiega in tutti i suoi film: «Per spiegare la “sindrome Yoko Ono”, quando cioè la moglie di un artista esce dalla sfera privata per influenzare pesantemente
la carriera del marito, occorre risalire a una esibizione lontana. Al Teatro
Ariston di Sanremo. Fu allora, all’interno della rassegna del Club Tenco, che un giovane Benigni cantò Voglio sposare la moglie di Paolo Conte. Un gioco, una dedica divertita alla compagna del musicista astigiano. Due anni
dopo, nel 1983, il comico aretino ha conosciuto invece (e poi sposato) un’attrice cesenate, Nicoletta Braschi, sul set di Tu mi turbi. Da allora, per ogni suo film da regista, tranne Non ci resta che piangere (ma solo perché alla regia c’era anche Massimo Troisi), la Braschi compare ineluttabilmente in ogni
pellicola. Tu mi turbi era il suo primo film e, tranne rari casi (Giordana, Virzì, Cristina Comencini), la Braschi ha lavorato soltanto con il marito. Quando,
nel Mostro, la Braschi si improvvisò femme fatale per scatenare le presunte turbe erotiche del protagonista, la critica cominciò a esprimere dubbi sul suo eclettismo espressivo. Nel frattempo, era divenuta
anche mente economica dell’impero familiare. Con la svolta drammatica della Vita è bella e La tigre e la neve, le perplessità si sono tramutate in recensioni spietate (in internet, almeno). Benigni rischia
di essere cinematograficamente ricordato come un’occasione persa. Il suo talento puro andrebbe preservato. In due modi. Dovrebbe
essere diretto da un regista vero; e dovrebbe accettare che si può essere felliniani anche senza voler dimostrare che tua moglie è l’erede di Giuletta Masina» (Scanzi) • Sa Dante a memoria e, nelle sue apparizioni tv, ne recita volentieri un canto • Bravissimo nei calembour e nel far versi con costrizioni notevoli (una poesia
con tutte parole che cominciano per “f”, ecc.) • Gli piace giocare a poker.