Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GERONZI
Cesare Marino (Roma) 15 febbraio 1935. Banchiere. Presidente di Capitalia. Fino al 21
febbraio 2006, giorno in cui la magistratura lo ha interdetto per due mesi
dalle funzioni direttive, è stato uno degli uomini più potenti d’Italia, seriamente candidato ad occupare il centro della scena
economico-finanziaria lasciato scoperto da Enrico Cuccia (su questo vedi anche
FAZIO Antonio) • Famiglia «dignitosamente povera» ai Castelli Romani, nel 1960 entra in Banca d’Italia («un saio che ti porti sempre addosso»), Carli lo manda poi in Svizzera a far pratica sul mercato delle valute e
quando torna lo mette a capo dell’Ufficio italiano cambi, il fixing da cui si governa la difesa della lira dalle
speculazioni internazionali (Florio Fiorini, che all’epoca guidava un team di speculatori sulle valute, ogni tanto riceveva una
telefonata di Geronzi — da loro soprannominato il dottor Koch — il quale gli diceva: «State esagerando» e Fiorini e i suoi si prendevano subito qualche giorno di vacanza)
• «Quando Guido Carli si dimise da governatore (1975) e il dottor Koch ebbe la
definitiva certezza che i suoi amici Antonio Fazio e Lamberto Dini avrebbero
fatto più carriera di lui, se ne andò con Rinaldo Ossola al Banco di Napoli» (Alberto Statera). «Dal Banco di Napoli il direttore generale della Banca d’Italia Mario Ercolani lo indirizzò alla Cassa di Risparmio di Roma di Remo Cacciafesta. Da dove è cominciata la sua scalata» (Sergio Rizzo)
• La carriera di Geronzi si sviluppa a questo punto in due sensi. Un senso, per
dir così, verticale: Geronzi, alla testa della Cassa di Risparmio, cresce attraverso un’impressionante serie di acquisizioni e fusioni, rese possibili dal potere
politico e al termine di ciascuna delle quali lui è sempre il numero uno di una realtà sempre più grande; e un senso orizzontale: Geronzi, finanziando generosamente i soggetti
più diversi, stabilisce una rete di complicità e alleanze in tutte le direzioni, partiti politici, grandi o pseudograndi
imprenditori, squadre di calcio (le squadre di calcio sono il tramite per
formidabili connessioni sociali)
• Raccontiamo l’ascesa verticale. Sergio Rizzo: «La Cassa di Risparmio di Roma era una banca pubblica, piccola e neanche messa
troppo bene. Fra i soci dell’istituto c’era tutta la nobiltà papalina, ma anche politici e imprenditori legati alla politica. Un salotto
forse un po’ polveroso, che aveva il suo principale punto di riferimento nel leader della Dc
romana, Giulio Andreotti. Ma che ben utilizzato poteva diventare un formidabile
strumento di potere. E Geronzi (che allora qualcuno considerava appoggiato dai
socialdemocratici) accettò di buon grado di diventare il simbolo di quel mondo andreottiano, punta di
diamante di una sorprendente espansione nel mondo della finanza. Il sistema
bancario era quasi tutto in mani pubbliche e l’unico modo per crescere era ovviamente comprare banche pubbliche, cioè controllate dalla politica. Il primo colpo fu l’acquisizione del Banco di Santo Spirito dall’Iri di Romano Prodi»
• Ecco l’operazione Santo Spirito nel racconto di Giancarlo Perna: «Nell’89, agli sgoccioli della prima presidenza, Prodi vende a prezzo stracciato il
Banco di Santo Spirito alla Cassa di Risparmio di Roma. Una decisione
imperiale, senza gara al migliore offerente e neanche uno straccio di perizia,
denunciò scandalizzato Pietro Armani vicepresidente dell’Iri. Ma era quanto desiderava Andreotti, d’accordo con l’amico Cesare Geronzi che, direttore generale della Cassa, diventa, con l’acquisizione, anche amministratore delegato del Santo Spirito. Quando poi le due
banche, completando il piano segreto, finiscono nel Banco di Roma, Geronzi
presiede l’uno e l’altra. Andreotti è appagato e Romano rinsalda un antico rapporto»
• Seguì «l’assorbimento del Banco di Roma dall’Iri di Franco Nobili, manager legatissimo ad Andreotti, con un’incredibile operazione a costo zero, “intorno alla quale”, commentò il futuro commissario della Consob Salvatore Bragantini, “i registi dell’operazione hanno saputo creare un insolito consenso politico”. Mica tanto insolito, se si considera che quell’operazione aveva la targa del Caf, l’asse Craxi-Andreotti-Forlani che allora governava l’Italia. Il potere di Geronzi cresceva comprensibilmente incontrastato» (Rizzo)
• E poi: «L’ambizione di Geronzi è sempre stata quella di trasformarla, la sua banca. A costo di seminare nel
fango. A metà degli anni 90 sfilò allo scalcagnato conte Auletta la disastrata Bna. A metà del 2002 (dopo aver acquisito anche Mediocredito centrale e Fineco — ndr) ha “ingoiato” Bipop e Banco di Sicilia, piene di sofferenze e buchi di bilancio, e ha dato
vita finalmente al colosso bancario che aveva sempre sognato. Con Capitalia,
Geronzi è riuscito a trasferire Piazzetta Cuccia a Via del Corso» (Massimo Giannini) • Capitalia: duemila sportelli, trentamila dipendenti. Ma, osserva Alberto
Statera, «per gli sportelli il dottor Geronzi non ha smodata passione» • Lo sviluppo in senso orizzontale, cioè la costruzione in tutte le direzioni possibili di una fitta rete di relazioni,
comincia già ai tempi della Banca di Roma. Ancora Statera: «Di equilibrismi il dottor Koch ha vissuto tutta la vita. Nato con la politica da
banchiere pubblico, ha prosperato con la politica da banchiere privato. Prima o
seconda repubblica per lui “pari son”: da An alla Quercia, dagli amici del Manifesto a Forza Italia». Rizzo: «Siccome il denaro non ha odore, tutti (o quasi) i partiti si abbeveravano alla
Banca di Roma. Il Psi, la Dc, i liberali e i socialdemocratici. Uno snodo
centrale fu quando Geronzi intuì che Silvio Berlusconi e le sue reti televisive avevano un futuro: mentre le
altre banche gli voltarono le spalle, il banchiere romano intervenne a fianco
del leader di Forza Italia. Ma anche il Pds, che nel 97 arrivò ad essere esposto con l’istituto di Geronzi per 203 miliardi di lire. Soprattutto, quel rubinetto
alimentava molti imprenditori considerati parte integrante di quel mondo nel
quale la politica c’entra sempre qualcosa, come Domenico Bonifaci, Giuseppe Ciarrapico, Sergio
Cragnotti. Fino all’inevitabile coinvolgimento nell’affare del calcio, che ha portato Capitalia ad essere addirittura il primo
azionista della Lazio. In un intreccio di rapporti, anche personali, sempre più fitto, che la fine politica di Andreotti non ha affatto scalfito e che negli
anni successivi ha conosciuto nuovi sviluppi»
• Geronzi non ha esitato, per favorire le sue relazioni, a coinvolgere i
familiari: la moglie Giuliana Iozzi era in società nel settore farmaceutico con Piergiacomo Jucci e Eugenia Cataldi,
rispettivamente figlio e moglie di Roberto Jucci, ex comandante dei carabinieri
già responsabile della sicurezza di Andreotti. La figlia Benedetta è stata messa a fianco di Franco Carraro a curare il marketing della Federazione
Gioco Calcio; l’altra figlia Chiara era socia della Gea, la società di Alessandro Moggi all’origine dello scandalo noto come “Calciopoli” (quello che ha portato alla retrocessione della Juve e all’inibizione di Moggi, Giraudo, Della Valle). A un certo punto, tramite la banca,
Geronzi aveva in mano i destini di sette squadre, e tra queste la Roma, la
Lazio, la Fiorentina, il Perugia. Tra i suoi grandi accusatori c’è oggi proprio l’ex padrone del Perugia, latitante a San Domingo. Giulio Mola e Corrado Zunino
hanno scritto che Luciano Gaucci, latitante a Santo Domingo, ha chiesto 75
milioni di danni alla famiglia Geronzi. Di questi oltre 51 milioni sono per
danni morali, il resto sono denari e beni che ritiene gli siano stati estorti
dal banchiere romano. Gaucci dice di aver regalato un po’ di tutto: un quadro di Guttuso (1 milione di euro), due di Campigli (1 milione
e mezzo), uno di Carra (1 milione), un Rolex d’oro (25 mila euro), gioielli per 745 mila euro, una fontana dell’Ottocento (50 mila euro), due statue d’epoca (50 mila euro), cinque servizi d’argenteria e cinque di piatti (50 milioni di lire), quaranta pezzi d’argento (80 milioni di lire), tre televisori (4.650 euro), cinquecento pacchi
dono natalizi e pasquali con relativa consegna (2.170.000 euro), cinquantadue
forniture annuali di alimenti per 14 anni (188 mila euro), cinquantadue
forniture annuali di buoni benzina per 14 anni (3.760 euro), piante (15.495
euro), quindici tessere annuali di tribuna d’onore per quindici anni per le partite di Roma, Lazio e Perugia (46.480 euro),
manutenzioni delle tre case tra Roma e Marino di Cesare e Chiara Geronzi
(867.650 euro). Quest’ultima avrebbe anche «intascato 7 milioni e 750 mila euro in nero sulla compravendita di 9 giocatori:
pretendeva contante e niente scritti». I Geronzi hanno querelato, la magistratura indaga
• Geronzi e Capitalia appaiono infine coinvolti nei due crack più gravi degli ultimi anni, quello della Cirio e quello della Parmalat. Per la
Cirio, si sa che la banca, dopo aver lungamente finanziato Cragnotti ed
essergli andata dietro in tutte le sue avventure (comprese quelle riguardanti
la Lazio), lo lasciò a un tratto a secco di finanziamenti e impossibilitato a rimborsare un bond di
150 milioni. Per la Parmalat, le accuse sono più gravi: Capitalia avrebbe costretto Tanzi a comprare a carissimo prezzo aziende
gravemente indebitate con Capitalia, come per esempio la Ciappazzi di
Ciarrapico. I soldi sborsati sarebbero serviti al venditore per ripianare il
suo debito. Parmalat avrebbe trovato i denari per l’acquisto emettendo un bond che la banca avrebbe piazzato sul mercato, scaricando
quindi la sofferenza sui risparmiatori e lucrando fortemente sulle commissioni
e sugli interessi applicati ai denari anticipati. Geronzi s’è difeso dicendo che di queste pratiche (messe in atto da tutte le altre banche
che avevano rapporti con Parmalat e specialmente dalle banche estere) lui non
sapeva nulla: erano faccende di ordinaria amministrazione di cui si occupavano
i suoi funzionari. E tuttavia: «Senza la complicità interessata di Capitalia, Parmalat sarebbe fallita almeno un anno prima, con
circa tre miliardi di euro di passivo in meno» (il procuratore della Repubblica Gerardo la Guardia). Eugenio Favale, dal
luglio 2002 numero 1 del Large Corporate di Capitalia, si era accorto che
nonostante le ingenti liquidità indicate a bilancio, i fidi Parmalat risultavano costantemente sfruttati «a palla». Per saperne di più aveva chiesto chiarimenti al collega Andrea Del Moretto, il quale aveva
scoperto che i conti erano truccati grossolanamente a partire dalla quantità delle obbligazioni in circolazione. Luca Fazzo: «Ma Del Moretto non venne ascoltato. E per dodici, interminabili mesi, a Tanzi
venne concesso di continuare a vendere ai risparmiatori bond spazzatura»
• Molto severo è infine il giudizio del gip di Parma Pietro Rogato che ha deciso per la
sospensione di due mesi da tutte le cariche. Ma ancora più severe risultano le parole del tribunale di Bologna che ha respinto il ricorso
presentato dall’avvocato di Geronzi, Guido Calvi: a quel giudice (Alessandra Arceri) l’interdizione di due mesi appare troppo poco: «Di tutt’altro spessore ed afflittività avrebbe potuto e dovuto essere la misura riservata a Cesare Geronzi in
considerazione della gravità dei fatti che gli vengono ascritti, considerato oltretutto che la sua
inclinazione delinquenziale specifica non si è dimostrata certo inferiore a quella dei principali protagonisti della nota
vicenda Parmalat […] Un uomo che sfruttando una incommensurabile potenza ha reiteratamente commesso
crimini di gravità inaudita mostrando la più totale insensibilità nei confronti di chi ne sarebbe stato la vittima più indifesa (il popolo dei risparmiatori) e non facendosi scrupolo di anteporre
personale sete di potere ai canoni di trasparenza e correttezza che devono
guidare l’operato di strutture bancarie che godono della fiducia della nazione intera». Il giudice di Bologna rileva anche che a causa delle operazioni volute da
Geronzi tra il 2000 e il 2003 il buco Parmalat è aumentato più che in tutti i dieci anni precedenti
• Si tenga conto che il processo per i fatti contestati a Geronzi deve ancora
essere celebrato.