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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BERTINOTTI

Fausto Milano 22 marzo 1940. Politico. Deputato nel 1994, 1996, 2001 e 2006 (Prc).
Parlamentare europeo nel 1999 e nel 2004. Presidente della Camera dal 2006 al
2008. Ex segretario di Rifondazione comunista (1994-2006). Ex sindacalista. «Tra gli indiani e i cowboy io sono sempre stato dalla parte degli indiani». [sl]


Ultime A marzo pubblica con Mondadori il libro La città degli uomini scritto insieme a Sergio Valzania • Sempre a marzo interviene ad un convegno organizzato da Cl all’Università la Sapienza di Roma e viene contestato duramente dagli studenti dei collettivi
di sinistra: lo accusano di non aver contrastato il rifinanziamento della
missione militare in Afghanistan e di aver appoggiato la missione militare in
Libano • A maggio parte per un viaggio ufficiale in Medio Oriente: in Libano incontra il
premier Fouad Siniora, poi tiene un discorso al Palestinian legislative Council
(il parlamento palestinese): «Dopo Auschwitz l’esistenza di Israele è una realtà, ma anche un luogo dello spirito e per questo, lo dico con il cuore in mano a
voi che conoscete la diaspora senza colpa, c’è una sola via: due stati per due popoli che vivano vicini in pace e democrazia». Il discorso finisce nella freddezza generale
• In giugno esce il primo numero della rivista Alternative per il socialismo
(Editori Riuniti), da lui creata e diretta. «Si tratta della base teorico-politica della sinistra radicale del prossimo
futuro» (Riccardo Barenghi). Nell’editoriale Bertinotti non scrive mai la parola comunismo • Alla parata militare del 2 giugno 2007 esibisce di nuovo una spilletta pacifista
al bavero della giacca • In dicembre polemiche dichiarazioni a Massimo Giannini (la Repubblica) sul
governo Prodi: «Dobbiamo prenderne atto: questo centrosinistra ha fallito. La grande ambizione
con la quale avevamo costruito l’Unione non si è realizzata. Come vedo Prodi, mi chiede? Con tutto il rispetto, di lui mi viene da dire
quello che Flaiano disse di Cardarelli: è il più grande poeta morente...» • Nel gennaio 2008 il suo secondo viaggio istituzionale in Sudamerica, nel corso del quale
incontra il presidente boliviano Evo Morales. «Più di una volta nei colloqui la parola “socialismo” viene superata, preferendo l’“indigenismo” che “significa far partecipare chi è escluso, dialogare con chi è diverso”» (Andrea Garibaldi). Si trova a Caracas quando Mastella rassegna le dimissioni,
aprendo la crisi di governo
• Alle elezioni politiche dell’aprile 2008 si candida come premier per la Sinistra-l’Arcobaleno, formazione che riunisce Prc, Pdci, Verdi e Sd. I risultati
elettorali sono però disastrosi, la lista non supera lo sbarramento né alla Camera né al Senato, e non porta nessun candidato in Parlamento. In seguito Bertinotti
conferma il suo ritiro da ogni incarico di direzione politica: «Farmi chiamare compagno dà un senso alla mia vita, ma per i ruoli dirigenziali c’è un limite di età...»
• Al congresso di Rifondazione nel luglio 2008 appoggia la candidatura di Nichi
Vendola, che viene inaspettatamente sconfitto da Paolo Ferrero.



Vita Padre ferroviere (morto nel 1961), madre casalinga. «Papà Enrico — socialista anticlericale “che preferiva Pietro Nenni a Palmiro Togliatti” — è stato “il mio primo iniziatore alla politica”» (Fabio Martini) • «Eravamo poveri, vivevamo in una casa di ringhiera con il bagno in comune, ma la
mia era una famiglia allegra. Ricordo ancora la gioia di mia madre quando le
misero in casa il rubinetto dell’acqua» • Si diplomò nel 1962, con tre anni di ritardo, come perito elettronico all’istituto Omar di Novara. Già nel 1960 si era iscritto al Psi, in seguito aderì al Psiup, per poi entrare nel 1972 nel Pci. [sm]


Nel 1964 entrò in Cgil, diventando presto segretario della Federazione Italiana Operai
Tessili. Nel 1975 venne eletto segretario piementose della Cgil, incarico che
ricoprì fino al 1985. In quegli anni il principale avversario del sindacato torinese
era la Fiat. Bertinotti fu protagonista di una linea di chiusura ad oltranza
che nel 1980 sfociò nei 35 giorni di sciopero e nella marcia dei 40 mila colletti bianchi. La
strategia adottata dal sindacato, e appoggiata dal Pci, si rivelò in quel caso totalmente sbagliata. Anni dopo Bertinotti ha rivisto le sue
posizioni: «è stata una sconfitta e di fronte ad una sconfitta bisogna dire: abbiamo perso». Nel 1985 entrò nella segreteria nazionale della Cgil, rimanendovi fino al 1994. «Da lì è partita la sua scalata romana. Una strada lungo la quale avrebbe vissuto
momenti non esaltanti, come la scarsa popolarità in Cgil dovuta al piglio sabaudo o i pochi contratti chiusi e non proprio
memorabili (vedi quello per la formazione lavoro), ma anche momenti di
innegabile coraggio, come quando nell’86 denunciò le miserie del suo stesso sindacato, bisognoso “di un vero e proprio processo di rifondazione nella cultura, nella politica e
nel suo modo d’essere”. O quando nel 92 parlò di corruzione dentro la Cgil, beccandosi la censura del direttivo» (Riccardo Bocca).
[sn]


In seguito alla svolta della Bolognina (vedi OCCHETTO Achille), su pressante
invito di Pietro Ingrao, aderì al Pds, non senza polemiche. La corrente che si era opposta allo scioglimento
del Pci aveva dato vita nel 1991 al Partito della Rifondazione Comunista, con
Sergio Garavini come segretario e Armando Cossuta come presidente. Fu proprio
Cossuta a far entrare Bertinotti in Rifondazione nel settembre 1993 e a
candidarlo come segretario nel gennaio 1994. Da questa elezione nacque la
diarchia Bertinotti-Cossutta che guidò il partito fino al 1998
• Nel 1997 fu protagonista della crisi del primo governo Prodi: Rifondazione, che
appoggiava il governo dall’esterno ma i cui voti erano decisivi, tentò di imporre una svolta a sinistra e il 1° ottobre non votò la finanziaria e negò la fiducia. Il 9 Prodi si dovette dimettere. Il 10 Bertinotti si disse pronto
ad un accordo di programma per un anno. Ottenne dal presidente del Consiglio la
promessa di una legge sulle 35 ore e permise a Prodi di continuare a governare
per un anno. Ma quando il 16 settembre 1998 il governo presentò la finanziaria 1999 Rifondazione si spaccò: Bertinotti, considerando la manovra economica troppo riformista sui temi del
lavoro, delle pensioni e dello stato sociale, voleva rompere con Prodi, mentre
Cossuta era per la trattativa. In una drammatica riunione di comitato passò la mozione di Bertinotti con 188 voti contro i 112 della mozione cossuttiana.
Cossuta si dimise dalla presidenza del partito e il 9 ottobre Rifondazione non
votò la fiducia al governo, che cadde per un solo voto. Due giorni dopo i
sostenitori della mozione di Cossutta abbandonarono il Prc e crearono il
Partito dei Comunisti Italiani. Il 21 ottobre nacque il governo D’Alema (vedi D’ALEMA Massimo).
[so]


Suo grande avversario, fin dai tempi del sindacato, è Sergio Cofferati, che per un certo periodo — quello in cui vennero in auge i cosiddetti “girotondi” — sembrò contendergli la leadership della sinistra radicale • Eletto presidente della Camera nel 2006 (alla guida di Rifondazione fu
sostituito da Franco Giordano) pronunciò un discorso in cui dedicò la vittoria «alle operaie e agli operai», fatto che indusse gli esponenti del centrodestra ad accusarlo di
veteromarxismo (molti commentatori osservarono che la classe operaia di
Bertinotti non esisteva più). Questo elemento fece passare in secondo piano alcuni passaggi che
denunciavano una notevole apertura verso l’opposizione: il ringraziamento caloroso al suo predecessore Pier Ferdinando
Casini, a cui riconobbe «capacità e senso delle istituzioni», e soprattutto: «Sono un uomo di parte, un uomo di parte che, perciò, non teme il conflitto; che sa che la politica chiede scelte, confronto tra
tesi diverse, anche opposizioni e persino contrapposizioni. Ma una cosa vorrei
che fosse bandita dal nostro futuro politico: quella di lasciare scivolare la
politica nella coppia amico-nemico, in cui c’è la negazione di quello che pensa diversamente da te. Abbiamo bisogno, insieme
alle differenze, e persino ai contrasti, di costruire un concorso per
realizzare un’Assemblea, questa, che parli a tutto il paese il linguaggio della convivenza,
della convivenza anche oltre la politica, della convivenza come valorizzazione
delle differenze, delle diversità da non negare ma, anzi, da nominare e da riconoscere »
[sp]


è sposato con Gabriella Fagno più nota come Lella Bertinotti (Varallo Pombia, Novara, 1945), ex funzionaria
statale nelle amministrazioni provinciali di Novara, Torino e — dall’85 — all’assessorato alla Cultura della provincia di Roma. Nozze in chiesa nel 1965: «Ci siamo conosciuti un’estate, avevo 16 anni e lavoravo come assistente alla colonia elioterapica
organizzata dal comune, Fausto era il direttore. Aveva cinque anni più di me e da allora non ci siamo più lasciati...». Bertinotti: «è un legame che è fatto certamente di sentimenti tra due persone, un legame amoroso, di affetti.
Ma è dovuto anche a un processo di costruzione, a una relazione in cui la
condivisione, la solidarietà, forse la complicità, occupano tanta parte della tua vita. Ed è impastato dalla vicenda politica. Lella mi dice, sfottendo: “Le mie amiche andavano a ballare, e noi facevamo riunioni”»
• Hanno un figlio, Duccio, che suona musica reggae e ha fondato con dodici amici
la società One Love Hi Pawa, sede di un negozio di dischi di musica giamaicana.
Chiacchiere e foto sui giornali per il matrimonio di Duccio con Simona Olive,
la “figlia del fascista”, dato che il suocero è un importante esponente di Alleanza Nazionale. Duccio: «La verità è che io non sono comunista e che mia moglie non è fascista». La coppia ha reso i Bertinotti nonni tre volte grazie alle nascite di Davide,
Lisa e Anita.
[sq]


Critica «Tra i dirigenti della sinistra italiana, è il più irregolare, il più difficile da catalogare, il più capace di stupire. L’unico sindacalista ad aver fatto meglio in politica che nel sindacato, e l’unico socialista (prima della confluenza forzata nel Pci, nel 72, era stato
lombardiano e psiuppino) ad aver avvertito irresistibile il bisogno di
rifondare il comunismo dopo il tracollo dell’impero sovietico, e l’unico neocomunista a suo agio tra aristocratici, borghesi e proletari nel tempo
dei vetero, degli ex e soprattutto dei post» (Paolo Franchi)
• «è uno snob che gode ad essere aristocraticamente anti-storico e possibilmente
minoritario» (Alberto Statera) • «Ha un’insopportabile erre moscia che fa arrapare le signore dei padroni» (Pietrangelo Buttafuoco).



Frasi «La mia è l’utopia concreta di Bloch. L’ispirazione a essere liberi e uguali. La critica alle basi materiali dell’ineguaglianza e dell’alienazione, che hanno assunto le forme della globalizzazione ma portano ancora
il nome terribile di capitalismo. E la base da rimuovere restano i rapporti di
proprietà» • «La sinistra, purtroppo, ha il torto di essersi per troppo tempo cullata nell’idea che la destra fosse rozza e ignorante. Io stesso, per anni, ho pensato che “bene e sinistra” fossero equivalenti. Vi faccio un’esempio. Una volta, se mi chiedevano un giudizio su Sironi... beh, rispondevo
che preferivo ragionare su Picasso. E invece, ecco, adesso nel mio studio a
Montecitorio ho proprio un Sironi e vi dico, credetemi, è uno spettacolo commovente...»
• «La definizione migliore è quella che è scritta in tutte le nostre tessere: “Il comunismo è il movimento che abbatte l’ordine delle cose esistenti”».



Tifo Milanista: «Sono cresciuto in un quartiere popolare di Milano (Precotto — ndr) che stranamente, per quei tempi, era una ridotta interista. Un po’ per vis polemica, un po’ perché il rossonero mi ricordava i colori degli anarchici, un po’ perché il Milan allora non vinceva lo scudetto da quarant’anni, decisi di tifare per quelli che noi chiamavamo i “casciavit” (i cacciaviti — ndr), mentre gli interisti erano i “bauscia” (i bavosi, nel senso di sbruffoni — ndr)» [sr]


Vizi Fuma il toscano: «è anche una metafora. Nasce da un incidente, una partita di tabacco che la
pioggia rovina. Il tabacco marcisce e dall’utilizzo del tabacco marcito esce un tabacco superiore. Questo dimostra che la
superiorità può nascere da un incidente, cioè dal caso. E da una perdita: il carattere puro del tabacco» • «Quando disse di voler essere un monopattino; di amare penne e matite, Hammet e
Chandler, impermeabili e vestiti usati, il Florian di Venezia e il Grand Hotel
dell’isola Borromea, il jazz e La battaglia di Algeri, i portaocchiali e la lozione da barbiere professionista Floid; di avere una
casetta di 40 metri quadri a Dolceacqua; di portare in tasca solo pochi euro “perché al resto pensa mia moglie Lella”; di aver rinunciato all’unico capo in cachemire mai posseduto; di aver chiamato il figlio Duccio come
Duccio Galimberti. E poi quando una giuria di 14 giornaliste parlamentari lo
elesse “il più virile” insieme con D’Alema, “il più gentile” insieme con Gianfranco Fini e “il più elegante”, da solo (le lettrici di Anna lo designarono invece “il più vanesio”, davanti a Berlusconi); quattro signore di Bologna fondarono il fan club “Bertinotti ti amo”; e Ambra Angiolini lo accolse in tv urlacchiando “Fausto quanto mi piaci!” (ma forse era Gianni Boncompagni in cuffia). E ancora quando invitò a bruciare le cravatte di Hermes per protesta contro i test nucleari francesi,
o giustificò l’assalto di José Bové ai McDonald’s (“Rifondazione preferisce la cucina mediterranea” fece anche scrivere in un comunicato)» (Aldo Cazzullo)
• Nomea di vanitoso: si dice protestasse quando il giornale del partito
(Liberazione) scriveva troppo grosso il nome di Armando Cossutta; si racconta
di quando a Las Vegas avrebbe infilato apposta l’hotel più frequentato, il Caesar Palace (contro il parere degli amici che gli
consigliavano discrezione), per esser riconosciuto da un gruppo di italiani
mentre giocava alla slot machine (immediato il coro «Ber-ti-not-ti, Berti-not-ti»). [ss]


«Non so se sono elegante. Ho messo la cravatta dopo i cinquant’anni. Forse perché stavo invecchiando e così mi sono permesso un po’ di restauro» • «Non sono credente, e lo dico solo come elemento descrittivo perché non do giudizi se sia migliore la condizione di chi ha fede o di chi non ce l’ha. Ma ho un interesse enorme per il fenomeno religioso». Nell’estate 2007 visse per due giorni la vita dei monaci del monte Athos (la comunità ortodossa che ha creato un’enclave autonoma all’interno della penisola greca) • Ad ottobre 2007 interpretò il padre della patria Piero Calamandrei nello spettacolo teatrale è vietato digiunare in spiaggia, ritratto di Danilo Dolci, con la regia di Franco Però • Detiene il record di presenze a Porta a Porta (oltre ottanta). Bruno Vespa: «Fausto davanti a una telecamera è come Kaká in Champions League: un fuoriclasse. è tra i pochissimi che parla di contenuti. E se per una volta i contenuti
scarseggiano, li incarta con tale maestria che comunque si è meritato l’invito». A chi gli rimprovera un presenzialismo eccessivo risponde: «Io posso fare queste cose perché non temo la contaminazione. Vado serenamente in tv, nei salotti, sui rotocalchi
perché chi ha valori radicati, chi è di sinistra nella profondità del suo animo, non può essere contaminato». Ultima apparizione da Vespa nell’aprile 2008: ha annunciato che non si sarebbe più fatto vedere a
Porta a Porta.